“È l’altezza giusta, ti dico. Vedrai se mi sbaglio. Vedrai se non è così!” I due addetti alla sorveglianza del traffico seguivano attenti il movimento degli autoveicoli, sul grande numero di monito situati nella cabina di comando situata a lato della strada di scorrimento Cahill, non lontano da una delle maggiori criticità della città di Sydney. Ma la loro concentrazione, risultava facile capirlo, era principalmente dedicata al grande parallelepipedo color blu cobalto, con il logo di un famoso mobilificio: un autocarro semi-articolato del tipo che, tanto spesso, finiva per causare dei problemi all’ingresso dell’Harbour Tunnel. “Eccolo che prende lo svincolo. Si. Si, sta andando proprio da quella parte. Inizio a capire cosa intendi.” Disse il collega, allentandosi il nodo della cravatta. A quanto pare, la sua giornata stava per diventare sensibilmente più complicata. Poiché tutti sapevano nel suo dipartimento, e di sicuro ne erano coscienti i due occupanti di quel piccolo ufficio, dell’esistenza di una particolare misura veicolare in senso dell’altezza. Che non era sufficiente a rilevare con troppa evidenza il pericolo d’urtare uno specifico architrave o traversa, purtuttavia risultando indubbiamente capace di farlo. Con un urto fragoroso da parte della cabina o del rimorchio, subito seguito dal maggior terrore immaginabile per chi aveva trovato la sua storia professionale in quel particolare campo: l’ostruzione inamovibile all’interno di una principale arteria cittadina. Come l’SHT, sottopassaggio della baia costruito nel 1992, proprio perché il ponte pre-esistente aveva la sgradevole tendenza ad intasarsi negli orari di maggior movimento. Finendo per diventare ad oggi, quasi trent’anni dopo, un punto di passaggio non meno importante dell’arteria femorale all’interno di un corpo umano. Perciò ecco perché, il camion che si avvicinava minacciosamente al punto di non ritorno, finiva per essere accompagnato da un senso latente di aspettativa e comprensibile preoccupazione operativa. Cinque chilometri, quattro, mentre l’ultimo punto di svolta per il quartiere di North Sydney compariva inevitabilmente nella stessa inquadratura del fatale autoarticolato inconsapevole di quanto stava per fare. “Gira, dannato, gira adesso. Gira… No, non ha girato!” Un’espressione neutrale compariva sulla faccia del collega, che tuttavia eseguì un leggero cenno con la testa, come a sottintendere precisamente quello che sarebbe presto accaduto. L’uomo ai comandi, allora, sgombrò totalmente il piano di lavoro, appoggiando la sua mano destra sopra un grande pulsante rosso. Imboccato a questo punto la discesa che portava alla condanna, il camion prese ad accelerare, ignorando totalmente i numerosi cartelli che invitavano a considerare l’altezza del tunnel. Una scritta automatica iniziò a lampeggiare sopra l’intera estensione della strada, ma ciò appariva chiaramente essere troppo poco, troppo tardi. “3…2…1, adesso! Vai!” La voce risuonò nella più totale assenza di rumore, connotata unicamente da un lieve senso di ansia umanamente comprensibile. La luce calò d’improvviso, per nubi fosche che passavano di fronte alla finestra. La mano calò nettamente, portando il pulsante al termine della sua breve corsa. E fu allora che quanto sarebbe stato definito totalmente impossibile, senza la lunga fase di progettazione e conseguenti prove tecniche, ebbe modo di palesarsi lungo il corso del TIR selvaggio: STOP, diceva l’ectoplasma fluttuante. FERMATI, non fare un altro METRO, compariva in modo pittografico dell’aria tersa di un terrificante pomeriggio. Tanto che l’autista, imprescindibilmente, capì all’improvviso di dover rallentare la sua corsa. Non si sfidano le forze sovrannaturali, né gli evanescenti spiriti del mondo. Con un gran stridìo di freni, il grosso veicolo diventò una cosa ferma nel bel mezzo della carreggiata. Ovviamente, non c’era verso che potesse girarsi. Ma i due responsabili del salvataggio, compiaciuti del risultato, erano già passati ad avvisare le autorità competenti. Un carro attrezzi avrebbe dovuto recarsi all’ingresso del tunnel, per spostare l’ostruzione. Senza preoccuparsi di raccogliere macerie e/o pezzi di camion, questa volta, riducendo in modo significativo il downtime…
Si dice che ogni persona possa ospitare in se stessa il piglio volitivo dell’eroe, capace d’indurlo a fare cose straordinarie nel momento stesso in cui qualcosa di terribile stava per accadere. La realtà dei fatti è che un umano salvatore è nella maggior parte dei casi soltanto l’individuo giusto, nel momento giusto e dotato dei giusti strumenti. Apparati come quello installato ormai nel distante 2013 dalle autorità della più gremita città d’Australia, con l’aiuto di una compagnia specializzata nei giochi e spettacoli di luce proiettati su alcuni dei maggiori monumenti mondiali (e non solo). Qual è dunque la relazione che associa la Laservision Media, compagnia di Sydney situata nel sobborgo di Dural, a questa intrigante applicazione dell’ingegneria civile, finalizzata a sostituire un precedente quanto inefficace sistema di passaggi a livello? Principalmente l’acqua che scroscia, e nulla più di questo…
La natura in ultima analisi, come praticamente ogni altra volta avviene, può essere intesa come fornitrice dell’ispirazione di partenza. Quando al termine di un forte temporale o pioggia monsonica, le particelle di vapore acqueo finiscono per catturare e scorporare prismaticamente la luce della Stella Solare, fino al punto di creare il più magnifico degli arcobaleni. Togliamo quindi quel fenomeno dai cieli della Terra, e spostiamolo all’ingresso del gremito SHT: che cosa potremmo mai proiettare di utile su un tale schermo evanescente e parzialmente intangibile, se non un gigantesco segnale di STOP… Quello concepito e prodotto ad hoc, per l’appunto, dai letterali specialisti della proiezione idrica in questa particolare zona geografica, rispondendo a una richiesta alquanto eclettica dell’amministrazione locale, ormai stanca di sostituire una media di 15 volte l’anno le sbarre dei passaggi a livello che dovevano impedire di bloccare i camionisti distratti. E ciò senza neppure considerare la maniera in cui, oltre all’impatto della parte superiore degli autocarri contro l’ingresso, una tale soluzione tendesse a incrementare ulteriormente il pericolo, con un’improvvisa barriera che scendeva a bloccare il passaggio, e contro la quale tendevano ogni volta ad urtare anche svariati ed incolpevoli automobilisti. Ragion per cui, l’effettivo funzionamento della Softstop Water Projection Barrier (marchio registrato) può essere descritta come un letterale toccasana in tale punto critico dell’intero sistema urbanistico e logistico di una metropoli di questa grandezza. Così come venne descritto approfonditamente ormai cinque anni fa sul grande forum Reddit, da un utente che partecipò direttamente alla sua implementazione: un sistema di pompaggio delle acque stradali, all’interno di un apposito serbatoio. Dove pressurizzate mediante l’aggiunta di aria compressa, attendono pazientemente l’attimo di essere erogate al di sopra dell’ingresso del tunnel, dove due proiettori da 100.000 lumen, tenuti costantemente in standby per minimizzare i tempi d’intervento, si occuperanno d’illuminarle con la figura del segnale di arresto. Che non è, importante notarlo, un’immagine digitalizzata bensì semplicemente la sagoma di se stesso posta innanzi alle lampadine stesse, in maniera non dissimile da quanto accade normalmente con un lucido della lavagna luminosa in un’aula di scuola. La natura stessa del sistema, con tempi d’intervento inferiori al secondo, permette dunque un recupero, per lo meno parziale, dell’acqua utilizzata. Benché gli sprechi sarebbero comunque risultati ragionevolmente contenuti, visto l’impiego della barriera soltanto in situazioni occasionali d’emergenza e non come parte della segnaletica normale del tunnel. E vuoi mettere l’utilità, di poter consentire alle auto di passare liberamente girando attorno al camion e letteralmente “attraverso” lo STOP, nel caso in cui dovessero tardare nell’attivazione dei propri stessi freni?
L’utilità di questa soluzione può apparire dunque assolutamente palese. E non pochi hanno suggerito l’installazione di un sistema simile presso il celeberrimo 11foot8, il cavalcavia situato in North Carolina dove molte dozzine di camion impattano (e continuano ancora a farlo nonostante l’intervento d’innalzamento) di continuo, con fragorose e problematiche conseguenze. Tutto ciò benché in effetti, a quanto ci è dato di comprendere, il segnale umido sia rimasto ancora ad oggi un pezzo unico, forse per la difficoltà logistica d’implementare un simile sistema funzionante al 100%, così come si sono dimostrati perfettamente capaci di fare gli specialisti della Laservision. Una compagnia con oltre 30 anni di esperienza nel settore, ed un curriculum artistico capace d’incorporare moltissimi show luminosi, installazioni temporanee e permanenti, nonché la registrazione di brevetti che oggi sono giunti a costituire dei veri e propri standard operativi del settore. Vedi ad esempio il loro sistema proprietario di processazione digitale delle immagini, il Digital Media Pump, direttamente responsabile dello spettacolo serale prodotto al concludersi di ogni giorno da circa 42 edifici nella città di Hong Kong, una letterale “Sinfonia di Luci” con LED, riflettori e schermi giganti che collaborano alludendo a diversi momenti e suggestioni di una delle più importanti città dell’Asia. Per non parlare del significativo contributo dato ai sistemi luminosi della Marina Bay di Singapore, uno dei luoghi turistici più memorabili e scenografici del suo intero continente.
Le tecniche di proiezione digitalizzata costituiscono perciò un prezioso tipo di risorsa, non soltanto per il loro effetto scenografico bensì per quello che risultano capaci di fare. Materializzare dal più assoluto nulla un’immagine, permettendo l’acquisizione di concetti utili o nozioni trasformative. Tipo quella stranamente acquisita con tempistiche fallimentari, che urtare con il camion contro l’imboccatura di un tunnel non convenga in alcun modo a nessuno. Meno che mai colui che intendeva farne uso, per ridurre al minimo i tempi d’attesa da parte del ricevente del proprio carico a bordo. In fondo, per chi ha poco occhio per le proporzioni resta sempre il ponte. E tutti gli altri non potranno che ricevere, come ultima risorsa, un letterale scroscio dell’autolavaggio con acqua piovana offerto dalla città di Sydney. Sempre meglio della terribile, irrimediabile alternativa!