La lumaca di ferro che poteva vivere soltanto sul ciglio dei vulcani sommersi

Più un consiglio che un modo di dire, poiché implica coordinazione tra le cause e gli effetti dell’esistenza. Una sorta di equilibrio che perpetra la propria continuità nel tempo, attraverso l’arzigogolata evoluzione del quotidiano: “Sei quello che mangi” Eravamo soliti dire. E per alcuni, ciò giungeva ad implicare un modus operandi capace di caratterizzare la vita stessa. Ma non è per niente facile, raggiungere l’equilibrio imprescindibile della più perfetta nutrizione, a meno di essere un eremita incline a lunghi stati di digiuno, fino a raggiungere l’agognata separazione dello spirito dal corpo prossimo al deperimento. Né uno stato in grado di durare particolarmente a lungo. A meno di poter fare affidamento, nella naturale progressione degli eventi, a milioni di minuscoli, operosi aiutanti. Comunità intenzionate a sopravvivere all’interno di un involucro sicuro, come può esserlo soltanto l’impenetrabile scorza della pelle… Umana? Non midi-clorian, né naniti tecnologici, bensì “puri” e semplicissimi batteri, del tipo che convivono col nostro ecosistema interiore, collaborando ed assistendo per quanto possibile le imprescindibili funzioni della digestione. Poiché “straniero” non significa per forza “nemico” ed è immaginabile in teoria quel tipo di creatura che potrebbe sopravvivere soltanto dell’aiuto di una simile genìa invisibile, senza il bisogno d’introdurre nessun tipo di sostanza energetica e/o nutrizionale proveniente dall’esterno. L’avete immaginata? Ben fatto. O forse no, perché difficilmente potrà essere comparsa all’interno della vostra mente, l’insolita e misteriosa sagoma del gasteropode dal piede a scaglie, scientificamente detto Chrysomallon squamiferum, un animale celebre proprio per il suo aspetto marcatamente alieno, in aggiunta alle caratteristiche notevoli del suo metabolismo. Essere individuato per la prima volta nell’aprile del 2001 durante una spedizione sottomarina a controllo remoto presso la sorgente idrotermale di Kairei, situata a 2400 metri di profondità sulla dorsale mediana dell’Oceano Indiano, e che sarebbe stata avvistata un gran totale di ulteriori 5 volte nel periodo di altrettanti anni a venire, in vari luoghi dello stesso vasto corpo acquatico del pianeta Terra. Che risulterebbe superficialmente simile a una comune lumaca di superficie, se non fosse per la presenza nella parte inferiore del suo corpo, rigorosamente non coperta dal guscio, di uno strato estremamente spesso di scleriti sovrapposte simili a pezzi di pietra, che in un universo di tipo fantastico saremmo stati pronti ad attribuire al corpo di un vero e proprio drago degli abissi dimenticati del mondo. E sono rigide, inflessibili come una vera e propria armatura, questi speciali scudi integrati in quella che in effetti diventa non più un semplice divoratore di alghe, detriti o altri rimasugli del suo specifico ambiente d’appartenenza, bensì un carro armato dell’ampiezza di 3,5-4 cm, impervio a qualsivoglia tentazione o necessità del mondo. Chi può desiderare, dopo tutto, quello che neppure esiste?
Questo perché la lumaca dei vulcani, come potremmo anche decidere di metterci a chiamarla, in assenza di fonti di cibo vegetariane risulta dotata di una ghiandola esofagea ipertrofica, molte volte più grande di quelle possedute dagli appartenenti alla stessa appiccicosa famiglia, ove risiede una significativa moltitudine di gammaproteobatteri, dei microrganismi capaci di trarre sostentamento dall’ossidazione dello zolfo. I quali tranquillamente sopravvivono e si riproducono, mentre la loro ospite tende a fagocitarne una quantità del tutto ragionevole, perfettamente sufficiente a trarne il necessario sostentamento. Una vera e propria relazione simbiotica, dunque, di un tipo molto raro nell’intero regno animale, e che permette a un organismo complesso, e non predatorio, come la lumaca di sopravvivere a profondità dove qualsivoglia tipo di vegetazione può costituire solamente un sogno irrealizzabile e distante. Semplificando notevolmente la sua vita eppure forse non abbastanza, vista la quantità di precauzioni che si è dimostrato richiedere il suo tragitto evolutivo, affinché potesse dare continuità alla propria specie dalla storia pregressa più che mai incerta…

Non tutte le lumache dal piede scaglioso hanno la stessa tonalità di grigio, come dimostrato da questi esemplari recuperati dal batiscafo Shinkai 6500, facente parte della spedizione attorno al mondo QUELLE 2013, in cui la scurezza è determinata dalla quantità di solfati assorbiti nel corso della loro vita.

L’effettivo aspetto fisico della C. squamiferum costituisce, in effetti, il prototipico esempio di un gasteropode che ha fatto l’impossibile per esemplificare le fondamentali caratteristiche della propria stessa specie, fino a diventare un qualcosa che è più di una semplice lumaca, pur essendo nel contempo radicalmente diverso. Così che al giorno d’oggi, totalmente impossibile gli riesce ritirarsi nel suo guscio come fatto tanto spesso dalle colleghe, proprio per l’ingombro costituito dal suo corposo e ruvido piede ricoperto di sclerodermi. Non che ne abbia d’altra parte bisogno, vista l’efficienza con cui quest’ultimo riesce proteggerle dai ripetuti assalti delle molte specie di granchio carnivoro, che condividono con loro lo stretto spazio ambientale delle sorgenti idrotermali sul fondale marino, delle rare oasi di vita presso profondità tanto remote da costituire un gigantesco ed oscuro deserto. Permettendo, attraverso i secoli, al suo opercolo di atrofizzarsi e progressivamente avvicinarsi a scomparire del tutto, mentre il guscio della lumaca continuava ad aumentare, letteralmente, di complessità e spessore fino all’acquisizione di tre strati distinti: quello interno, formato da carbonato di calcio grossomodo equivalente al guscio dei coralli o l’aragonite delle conchiglie; un periostracum di natura organica, conforme alla “pelle” esterna dei gasteropodi di tipo più convenzionali; ed all’esterno di tutto, qualcosa di assolutamente eccezionale, risultando del tutto privo di ulteriori esempi in natura: niente meno che un mantello costituito in buona parte di solfati di ferro tra cui la greigite, quasi del tutto impervia a qualsivoglia tipo di sollecitazione, compressione o morso. Giungendo a costituire il culmine di un sistema tanto efficiente da aver costituito, negli ultimi anni, oggetto di studio e ricerca nel tentativo di replicarne le stupefacenti caratteristiche, così da utilizzarle con pari guadagno nei campi dell’ingegneria militare e civile. Considerate, a tal proposito, come il guscio dei gasteropodi non è una produzione realizzata da materiali esterni, come avviene in taluni tipi di granchi o nei paguri, bensì un effettivo prodotto del suo metabolismo, come parte inscindibile di un fondamentale scheletro esterno. In tal senso esiste anche il caso di una delle popolazioni fin qui scoperte, quella appartenente alle sorgenti idrotermali di Solitaire, che risulta essere del tutto bianca, causa l’assenza di una sufficiente quantità di ferro. Giungendo a dimostrare l’effettivo stile di vita chemiotrofico di una creatura che non solo può riuscire a trarre nutrimento dagli arcani processi chimici generati nel suo ambiente d’appartenenza (un così raro e chiaro punto di contatto tra il mondo del sottosuolo ed il remoto fondale marino) ma anche incorporarne le notevoli qualità inerenti, fino a trarne un significativo vantaggio nella sua costante e assai difficile lotta per la sopravvivenza. E non a caso la produzione degli scleriti stessi sul suo piede radicalmente diverso da quello dei chitoni ed altri molluschi, secondo alcune interpretazioni scientifiche correnti, potrebbe offrire un contributo importante alla detossificazione dei materiali costantemente assorbiti, lasciando collateralmente immaginare l’incredibile aspetto che potrebbero assumere le lumache di pianeti o lune distanti, come quelle eventualmente site all’interno dell’oceano dalla composizione incerta che si trova sotto i ghiacci del satellite giovano Europa… Forse ospiti di relazioni simbiotiche non meno eccezionali e significative, in cui il rapporto tra creature molto diverse sembra agire mediante linee guida che parlano delle costanti stesse dell’Universo. Per la limitata misura in cui ci è stato concesso di comprenderle, e magari tentare addirittura d’interpretarle.

Si stima che l’intero areale della lumaca dei vulcani sia limitato a poche dozzine di sorgenti idotermali nell’Oceano Indiano, per di più soggette a reiterate operazioni di prospezione minerarie, giustificando il suo inserimento nell’indice delle specie a rischio d’estinzione dello IUCN. Ma non è facile stilare normative di conservazione internazionali, quando nessuno è in grado di stimare l’effettiva popolazione complessiva di un animale.

Il che ci porta all’aspetto maggiormente interessante di una simile forma di vita interdipendente. Ovvero la disquisizione, già più volte affrontata in campo accademico, su quanta dell’evoluzione di questo gasteropode fatta risalire almeno fino all’epoca del Cambriano sia l’effettiva e imprescindibile risultanza dei bisogni dei propri batteri chemiotrofici, senza i quali non avrebbe potuto esistere oltre una sparuta manciata di generazioni. Microscopiche creature, per cui la ghiandola esofagea della lumaca rappresenta i confini di un intero mondo, dal momento in cui essi riescono a manifestarsi tramite scissione delle cellule, fino alla disgregazione e trasformazione in nutritivo glucosio che possa fungere da carburante per l’astronave stessa. Una vera casa semovente, che nulla poteva essere se non indistruttibile a qualsiasi tipo di pesce e/o granchio. Perché l’alternativa, proprio “loro” non avrebbero mai potuto accettarla. Ed avrebbero fatto “qualsiasi” cosa per correggere una tale strada indesiderabile intrapresa dagli eventi. Ma non è forse vero che qualsiasi intervento sulle strade naturali della vita, potrà essere perfetto solo quando riesce impossibile notarlo? Il più grande successo del Diavolo si dice sia stato convincere gli umani che giammai fosse esistito. E ciò è tanto maggiormente vero, per un qualcosa di batterico, che raramente possiamo immaginare di vedere ad occhio nudo. L’esercito che aspetta, sopito quietamente nelle sue lumache silenti. Di tornare a fare quello che, più di ogni altra cosa, gli riesce meglio!

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