Se c’è una cosa che quest’ultimo anno ha dimostrato, ancor più di quelli precedenti, è che i grandi progetti del mondo non possono di certo fermarsi dinnanzi alle logiche di una crisi, per quanto significativa, né venire condizionati alla stessa maniera dei desideri e aspirazioni di noi, comuni abitanti del pianeta Terra. Così almeno tre diversi miliardari, impiegando il fluido mistico scaturito dalle loro tasche, hanno continuato ad avvicinare le aspirazioni dell’umanità verso lo spazio, perseguendo i propri razzi tanto spesso paragonati ad altrettante figure falliche dei nostri giorni. Mentre all’altro lato del pianeta, giù nell’emisfero meridionale, un altro appartenente a tale schiatta vedeva gradualmente crescere, e crescere il suo lungo e verticale sogno di gloria. Guadagnando per la sua creazione il soprannome preventivo di Packer’s Pecker, espressione colloquiale e che significa letteralmente “Organo maschile di [James Douglas] Packer”, incidentalmente l’erede di una delle più grandi dinastie dei media ed investimenti immobiliari d’Australia. Una visione architettonica nata per l’appunto a partire dal remoto 2012, quando il suo gruppo di casinò Crown Resorts ne presentò l’eccellente idea a Barry O’Farrell, l’allora premier del Nuovo Galles del Sud. Per un qualcosa d’originariamente ancor più grandioso, 213 metri di torre posta al termine di un molo di 150, in una maniera giudicata fin da subito eccessivamente impegnativa, perché capace di stravolgere del tutto l’equilibrio di una delle skyline più famose al mondo. Così il Crown di Sydney, la cui deriva semantica ufficiosa sarebbe cambiata ancora verso l’appellativo di [One] Bangaroo per analogia con il quartiere ospitante nonché la moglie dello storico capo aborigeno che ne vendette il territorio Bannelong, avrebbe assunto la sua forma definitiva del corrente mastodonte di 250 metri, 75 piani e una collocazione ben più ragionevole in corrispondenza dell’originale Hungry Mile (Miglio Affamato) il tratto urbano un tempo costellato di moli e bacini di carenaggio, dove veniva originariamente condotta una significativa parte delle operazioni navali di questo intero continente. Ma non e possibile parlare della forma di questo grattacielo senza entrare nel merito della visione del suo architetto principale Chris Wilkinson, che l’aveva visualizzata per la prima volta nel 2009 in forma di scultura realizzata durante una vacanza in Toscana, successivamente all’operazione cardiaca che aveva cambiato in più di un modo il ritmo della sua esistenza. Una creazione affusolata ed organica, concepita come l’avvolgersi roteante di tre foglie attorno ad un asse centrale, con la conseguente creazione di un susseguirsi atipico di spazi concavi e convessi, dove disporre idealmente lo spazio abitabile del grattacielo. Vincendo quindi all’unanimità il concorso indetto tre anni dopo dalla Crown Resorts, contro le proposte di studi rinomati come Adrian Smith + Gordon Gill e Kohn Pedersen Fox, la sua proposta avrebbe guadagnato anche l’approvazione degli osservatori del governo, venendo finalizzata entro il maggio del 2013. Lungi dal prendere forma nel giro di una manciata di mesi, tuttavia, il progetto da 2,2 miliardi di dollari sarebbe andato incontro a vari adattamenti in corso d’opera, nonché l’implementazione di una serie di soluzioni specifiche necessarie alla sua implementazione. A partire dalla bonifica dell’area di cantiere, in realtà occupata dai residui di un’antica area industriale, carica d’amianto ed altri materiali da rimuovere con le più laboriose precauzioni del settore. In un processo di scavo destinato a prolungarsi fino al 2017, mentre di pari passo, la struttura dell’edificio continuava a crescere senza subire alcuna significativa battute d’arresto. Questo grazie all’implementazione di un particolare tipo di approccio, chiamato in maniera non del tutto descrittiva top-down construction (costruzione dall’alto in basso) in realtà consistente nell’inserimento dei pali di fondazione in profondità nel sottosuolo, costituendo una piattaforma funzionale prima ancora di ultimare gli ampi spazi seminterrati del complesso. Che avrebbe potuto crescere, in tal modo, in entrambe le direzioni allo stesso tempo…
Il progetto di Packer dunque, lungi dal voler semplicemente aggiungere la propria voce al già affollato lungomare architettonico alla Città di Smeraldo, nasce da un progetto economico ben preciso, mirato a sfruttarne il clima accogliente e l’alta vivibilità per attrarre i nuovi ricchi provenienti dall’Oriente, tutti quegli uomini d’affari e giocatori d’azzardo che negli anni sono diventati dei visitatori abituali di luoghi come Macao, Singapore e ovviamente Las Vegas, considerata la capitale mondiale di una simile tipologia d’intrattenimento. Così che il corposo piedistallo del One Bangaroo, da cui si erge il suo pinnacolo conturbante, avrebbe dovuto ospitare fin dal giorno dell’apertura lo scorso febbraio la più moderna e fornita collezione di tavoli e macchine da gioco dell’emisfero meridionale, eventualità soltanto rimandata per un recente fermo alla compagnia committente, causa alcune indagini sul riciclo di denaro dalla provenienza non del tutto acclarata. Meri contrattempi e di sicuro niente affatto in grado di diminuire il fascino di questo svettante edificio, le cui caratteristiche si sono già dimostrate sufficienti a renderlo già durante la sua costruzione una delle realtà immobiliari più desiderabili dell’intera metropoli, con soltanto i piani inferiori destinati all’utilizzo come hotel, mentre lungo l’estendersi verticale del palazzo, iniziava a prender forma la più straordinaria collezione di appartamenti dalla vista totalmente priva di paragoni. Ciò visto l’orientamento della forma sinuosa del palazzo, tale da massimizzare la visibilità dell’Oceano Pacifico ed alcuni dei palazzi più famosi di Sydney, tra cui l’imprescindibile teatro dell’opera di Jørn Utzon, una delle strutture più iconiche di tutto il XX secolo. Dalle ampie finestre dei piani tra il 33 e il 63, ma ancor meglio per coloro che abitano nelle suite doppie tra il 64 ed il 65, l’ultimo dei quali dedicato in modo totalmente programmatico ad un ponte d’osservazione pubblicamente accessibile, affinché tutti coloro che lo desiderano possano vivere almeno una volta quell’esperienza. Ma non quella dei piani tra il 67 ed il 69 delle cosiddette “ville del cielo”, regge principesche dal costo unitario superiore ai 10 milioni di dollari, dedicate unicamente ai più facoltosi e convinti aspiranti ad uno spazio personale nella principale metropoli del più remoto dei continenti. Un livello di lusso difficilmente immaginabile, a meno di poter disporre della loro stessa quantità di fondi del tutto non incline all’esaurimento.
L’edificio, che si avvale di soluzioni tecnologiche particolarmente distintive tra cui l’utilizzo di pannelli di vetro consequenziali finalizzati a massimizzare l’effetto curvilineo del suo involucro esterno, data l’impossibilità di realizzare forme trasparenti dalle dimensioni tanto vaste, vede quindi uno spazio abitabile complessivo di 146.500 metri quadri, con un ottimo rapporto tra gli spazi per così dire “tecnici” e quelli dedicati all’effettiva fruizione della sua struttura, completata da una serie d’inusuali balconi con parapetto trasparente situati a quote assolutamente da capogiro. Guadagnandosi anche per questo a pieno titolo il recente riconoscimento dell’Emporis Skyscraper Award, vinto per la prima volta da un’opera australiana nel corso degli ultimi 20 anni, con un credito ulteriore ufficialmente attribuito al “progetto stravagante della sua facciata esterna”, concepita da Wilkinson proprio al fine di distinguere la torre dalla pletora di strutture anonime e squadrate del lungomare di Bangaroo. Una scelta coraggiosa da parte di ogni ente decisionale coinvolto, che avrebbe nondimeno attirato un certo numero di critiche, non soltanto relative alla supposta forma fallica del grattacielo, giudicata da taluni commentatori inclementi come uno degli esempi meno lodevoli nella lunga carriera del suo creatore. Ma le cose di portata realmente epica, questo lo sappiamo molto bene, raramente vengono apprezzate da tutti, specialmente quando si considera il fattore dell’invidia, nei confronti di un mondo non meno irraggiungibile per l’uomo medio degli altri pianeta del sistema solare, verso cui si sono ormai da tempo direzionate le mire insaziabili dei principali miliardari di questa Terra.
L’effettivo decollo dell’aspirazione principale di Packer, per il rinnovamento di Sydney come nuovo polo del gioco d’azzardo su scala globale, resta quindi momentaneamente rimandato, causa il sopracitato contrattempo di natura legale e le consuete ragioni della pandemia. Mentre la sua struttura tangibile ed osservabile da molti chilometri di distanza, allo stato dei fatti attuale, si presenta come ormai perfettamente completa in ogni sua rilevante parte.
Un chiaro esempio di come tra la costruzione e l’ingresso di un’effettiva operatività a regime, spesse volte, possano trascorrere anche parecchi mesi. Per un’apertura prevista, in linea di principio, entro l’ormai prossima fine dell’anno 2021 ma nell’epoca che stiamo vivendo, si sa, non esiste ormai alcun tipo di certezza. Ed è anche possibile che i nuovi proprietari degli immobili all’interno apprezzino la cosa, vista l’opportunità di continuare a godere di spazi solitari e contemplativi, verso l’ingresso di uno dei 10 ascensori capaci di condurli fino ai propri elevati lidi abitativi, nella (quasi) letterale torre d’avorio dell’epoca post-moderna. Un vero e proprio trampolino di lancio per la mente, verso luoghi inimmaginabili ed iperborei. A patto di poter disporre di radici abbastanza solide nel mondo degli affari e l’imprenditoria contemporanea. Questo non è un luogo in cui si possa giungere ad abitare, vincendo “semplicemente” la lotteria…