L’incredibile sconcerto esistenziale del piccione condannato a rotolare in eterno

La maggior parte di noi non è capace di riuscire a controllare, pienamente, il proprio destino. Al di là della “semplice” scelta di un percorso di studi, un compagno/a di vita, un posto di lavoro piuttosto che un altro. Ma le persone non possono decidere di essere più intelligenti, più alte o vedere oltre il velo di nebbia che offusca l’Esistenza, non più di quanto sia possibile far smettere di piovere esprimendo un desiderio, né fermare il ciclo imprescindibile delle stagioni. Che sia già scritto nelle stelle, che possa esistere un reale destino intessuto dalla percezione inusitata della scienza ineffabile o divina, non si configura come un tipo di pensiero che riesca in alcun modo ad appartenerci. Benché al tempo stesso, sia possibile attribuire almeno in parte quel percorso alle caratteristiche del codice genetico secondo cui le cellule viventi riescono a replicarsi. Un privilegio? Una condanna? Tutto dipende, come ogni altra cosa, dalla soggettiva considerazione della storia di vita di ciascun individuo. Esistono tuttavia dei casi in cui le forme di vita sembrerebbero aver pescato, per quanto possibile, la pagliuzza più corta. Il sinonimo ineffabile di un futuro particolarmente difficoltoso. Prendete per esempio il falco che si tuffa vertiginosamente verso il suolo, in mezzo ad uno spazio di pochi metri tra rami protesi, asperità paesaggistiche ed altri ostacoli potenzialmente letali. Verso il bersaglio chiaramente identificabile di un uccello intento a razzolare tra l’erba di media altezza. Un piccione, nulla più di questo, un essere le cui ben note calma e mansuetudine permettono di rimanere del tutto indifferente mentre un suo amico o parente viene fagocitato a pochi centimetri di distanza. Ebbene giusto mentre tali artigli stanno per chiudersi, serrandosi come una morsa sulle piume oggetto di una simile predisposizione, qualcosa d’inaspettato può riuscire a verificarsi: il timido columbimorfo che realizza l’esecuzione di un tentennate passo all’indietro; quindi, compiendo una perfetta capriola, ricompare a 30 cm di distanza. E poi si tuffa nuovamente in quel modo, ancora ed ancora, mentre il mondo si trasforma in un’immagine sfumata ai margini della sua corsa folle verso la salvezza. Un’azione che vista da fuori potrebbe riuscire a ricordare da vicino la caduta di una ruota giù da un ripido declivio. Fuori e lontano dallo sguardo di tutti coloro che, per una ragione o per l’altra, hanno dimostrato di volergli fare del male. Lasciando il falco delle sconvenienti circostanze notevolmente perplesso. Ma soprattutto, ancora affamato.
E non sarebbe costui un lontano parente di Sonic The Hedgehog, il bluastro porcospino che potrebbe trovarsi pienamente a suo agio all’interno di un tavolo da flipper, bensì l’effettivo appartenente ad un vasto e diffuso gruppo informale di piccioni da allevamento, creati in Scozia ed Inghilterra all’inizio dell’epoca Moderna, tramite la selezione artificiale di specifici tratti ereditari inerenti. O per essere maggiormente specifici, un gene dominante soprannominato con la sillaba ro, il cui effetto su un volatile può manifestarsi tramite un significativo cambiamento del suo rapporto con gli stereotipi pre-acquisiti del concetto di “sopra” e di “sotto”. Il che può avere molti effetti negativi nella sua semplice ma faticosa esistenza. Offrendo nel contempo alcune inutili, trasversali possibilità di riscossa… Il che rientra d’altra parte nel concetto stesso di animale addomesticato, soggetto ai vezzi e i desideri dei propri spietati custodi umani. La cui preferenza per specifiche ed involontarie esibizioni può portare, in casi estremi, a ferimenti anche gravi o la morte dell’animale. Sto parlando delle gare di velocità o distanza, popolari in determinati ambienti, in cui simili creature affette da un difetto congenito di tipo neurologico, vengono indotte a primeggiare tra i propri simili affetti dallo stesso tipo di missione. Una prova pratica di spietatezza, che potremmo individuare tra le più improbabili nella storia dell’allevamento animale…

Alcuni roller presentano un’atipica livrea a macchie bianche su fondo nero, probabile eredità (di per se innocua) dei lunghi anni di congiunzioni su stretti gradi di parentela giudicate necessarie a raggiungere la più perfetta esecuzione ricorsiva del pericoloso movimento.

Largamente soggetta ad un tardiva presa di coscienza risulta essere al giorno d’oggi, d’altra parte, l’universale percezione di linee di sangue domestiche come quelle delle razze di cani bulldog o carlino, spesso soggetti all’insorgere di problemi respiratori a causa della forma innaturale del proprio muso, o i gatti cosiddetti munchkin, le cui zampe cortissime vengono spesso accompagnate da problemi anche significativi alla spina dorsale, come l’insorgere di lordosi. Eppure addirittura tale condizione finisce per impallidire, dinnanzi al tipo di malformazione considerata “desiderabile” in tali esseri aviari, il cui riflesso innato per il volo, una caratteristica imprescindibile nella loro intera specie, si trova artificialmente condizionato dal bisogno, reiterato ed inspiegabile, di capovolgersi su se stessi più e più volte verso un’improbabile speranza di salvezza. Un qualcosa che potremmo paragonare alla condizione giudicata indesiderabile del gene “ragno” che porta taluni pitoni domestici a trascorrere la propria vita capovolti, risultando incapaci di bere o nutrirsi senza l’assistenza dei propri padroni. Con la sola differenza, significativa e nel contempo terribile, di poter essere considerati preziosi da taluni allevatori, continuando a procreare e trasmettere la propria strana inclinazione alle generazioni a venire. Il che non significa, d’altra parte, che ogni singolo piccione rotolante sia del tutto impossibilitato a volare. Esistono in effetti ben quattro razze distinte, tutte derivanti dalla specie estremamente comune del Columba livia (il piccione comune, o piccione delle rocce) caratterizzate dalla presenza dominante del gene “ro”. La più antica delle quali, l’Oriental Roller, è in effetti pienamente capace di fare una vita ragionevolmente normale, spiccando il volo ogni qualvolta ne sente il bisogno, per prodursi nell’occasionale capovolgimento soltanto quando si trova già staccato da terra, in una sorta d’evoluzione durante cui precipita, per poi riprendersi all’ultimo momento e continuare a volare senza conseguenze. Una metodologia potenzialmente utile per sfuggire al falco e condivisa anche dalle altre due tipologie più “etiche” di roller, il Birmingham ed il Galatz, la cui abilità viene considerata da giudici nel corso di evoluzioni di gruppo, il più possibile sincronizzate tra gli appartenenti alle stesse sfortunate genìe. Il cui quotidiano non è del resto in alcun modo privo del pericolo, pressoché costante, di andare in stallo per un periodo superiore ai pochi secondi concessogli dall’impietosa forza di gravità, finendo per schiantarsi e morire, una fine definita in gergo con il termine vagamente aeronautico di rolldown. Ma è il caso eccessivamente notevole della quarta tipologia, il Parlor Roller, a rappresentare la manifestazione maggiormente notevole di tale mutazione genetica, con il tipico esemplare che diventa totalmente incapace di staccarsi da terra, potendo eseguire soltanto il gesto programmato all’interno della sua compagine neuronale, simile a quello di un giocattolo monomaniaco oppure l’automa della scimmia che suona i cimbali saltando ripetutamente sul posto, mentre la misurazione della distanza percorsa e il tempo necessario a farlo determina l’assegnazione del premio finale. Il che riesce ad appassionare un certo tipo di pubblico. Colpisce innegabilmente la fantasia. Ma chi dovesse unicamente riderne, senza considerarne le implicazioni profonde, dovrebbe ammettere di aver mancato del tutto il punto al centro della questione stessa. Perché a differenza di creature artropodi o rari mammiferi come l’armadillo, il corpo di un piccione non è in alcun modo adatto a rotolare su se stesso con rapidità incrementale sul duro terreno. Il che comporta uno stato pressoché costante di sofferenza, fisica e mentale, per l’animale intento a compiere una simile evoluzione, tanto che persino tra gli appassionati più convinti è spesso sconsigliato indurre tale movimento fuori dalle circostanze ufficiali di particolari competizioni ed eventi, tenuti da lungo tempo in alta considerazione, soprattutto nelle Isole Inglesi. Considerate, a tal proposito, come lo stesso ben noto allevatore di piccioni e grande scienziato Charles Darwin, all’epoca del 1859 quando pubblicò “l’Origine delle specie”, parlò con entusiasmo delle eccezionali caratteristiche di questi uccelli, capaci di rotolare fin dalla nascita “Senza neppure aver mai visto un loro simile che faceva lo stesso.”

È innegabile l’effetto scenografico che il volo di questi piccioni può riuscire ad avere sugli spettatori ed appassionati, sebbene il pericolo di schiantarsi sia sempre in agguato. Ma è veramente mai possibile affermare che un uccello come questo, preda dei rapaci per eccellenza, sia effettivamente al sicuro?

Ciò che occorre sempre chiedersi all’analisi, per quanto superficiale, di simili branche dello scibile pregresso è se sia effettivamente possibile, che a questo mondo esistano delle persone che odiano gli animali. Quesito una cui possibile risposta, a mio avviso, potrebbe essere individuata nella maniera in cui non tutti hanno anche soltanto la stessa cognizione, per quanto concerne le altre creature viventi che condividono la nostra collocazione fisica sul terzo pianeta del Sistema Solare. Attribuendo potenziali meriti, o il diritto a un’esistenza completamente realizzata, non tanto ai singoli individui quanto alle intere dinastie o persino macro-gruppi d’individui possessori dello stesso codice genetico, quelli che lo stesso Darwin ebbe modo di definire una Specie. Lasciando ai posteri, come quasi sempre avviene, l’ardua e inappellabile sentenza. Su quale possa essere il valore di tutto questo, il merito di un gruppo di creature concepite espressamente per tentare di fare qualcosa, fallendo miseramente.
È possibile perciò che un giorno estremamente lontano, creature come queste riescano a mutare trasformando i loro corpi in una sfera pressoché perfetta ed imbottita di piume, priva di zampe e di ali ormai del tutto inutili o persino lesive? Chi può dirlo. Difficilmente, la razza umana che l’aveva creato potrà assistere alla scena, traendone un qualche tipo di cupa soddisfazione. Ed è ancor più improbabile che l’uccello stesso, se tale potrà essere definito, risulti anche soltanto parzialmente incline a sentirne la mancanza…

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