I vecchi giganti sono gli esseri che guidano i risvolti della storia, in senso positivo e negativo, perché possiedono le doti necessarie a farlo. Non soltanto la forza, e neppure le dimensioni, e di sicuro, non la durata della propria vita, raramente in grado di estendersi oltre quella degli umani. Bensì soprattutto, la saggezza che deriva dal trascorrere quegli anni in modo ancor più intenso e pregno di coloro che abitano le superfici emerse della Terra. Comprendendo, nella loro mente ponderosa, una sublime ed ineffabile legge di natura: che non c’è ragione per investire un mare d’energia, ovvero fino all’ultima risorsa, per riuscire a perseguire l’obiettivo di giornata. Quando spesse volte può bastare attendere per qualche tempo, pazientare i lunghi attimi effettivamente necessari, perché le proprie ansie vadano incontro a una catartica risoluzione… La finale conseguenza imprescindibile della catena di cause ed effetti. Fino all’auspicabile ottenimento di uno stato rinnovato di sazietà. Così com’è possibile ammirare nel breve video, in effetti uno spezzone di un documentario inglese con la voce di Attenborough, ri-pubblicato all’inizio di quest’anno sul canale Instagram del fotografo Bertie Gregory, che l’ha realizzato presso il golfo di Thailandia con il proprio drone radiocomandato. Una scena diventata subito virale su Internet, in funzione della propria apparente eccezionalità. Ma che nei fatti si scopre, approfondendo la didascalia d’accompagnamento ed un serie di articoli scientifici a riguardo, come l’effettiva conseguenza di una serie di fattori, non tutti positivi, e un segno derelitto della terribile entropia ecologica dei nostri tempi. E dubito che qualcuno possa dichiararsi sinceramente sorpreso, su questo!
Lo spezzone in questione rappresenta, dunque, una balena di Bryde o Brooder (Balaenoptera brydei) intenta nel fare ciò per cui l’evoluzione l’ha preparata in modo maggiormente evidente: trasformare le affollate e rimescolate acque dell’oceano in una fonte di nutrimento. Ma è la maniera in cui essa esegue tal gesto ad emergere, in maniera palese, dalle nozioni precedentemente date per acquisite da biologi, marinai ed appassionati. Poiché il grande essere, appartenente alla categoria delle rorqual (balenottere) ed in quanto tale caratterizzato da una lunghezza in grado di superare i 14 metri, non appare affatto impegnato nel caratteristico stile di caccia consistente nel cosiddetto lunge feeding, il “balzo” in avanti con la bocca pienamente aperta, in modo che la resistenza stessa dell’acqua possa contribuire nell’ampliarne la portata, sapientemente mirato contro i gruppi dalla maggiore densità di pesci, krill o altre creature pronte da essere trangugiate. Sfruttando piuttosto un approccio in cui è l’immobilità sostanziale a farla da padrona, con la testa fuori dall’acqua e mantenuta il più possibile mantenendosi perfettamente verticale, la mandibola superiore che punta dritta verso il cielo e quella inferiore parallela al pelo delle acque, come la bocca di un mostruoso pellicano. Il che parrebbe forse costituire una sorta d’insolita metodologia di riposo, non fosse per il “piccolo” dettaglio di una letterale moltitudine di pesci, che saltando da una parte all’altra senza soluzione di continuità, finiscono per precipitare disgraziatamente nel grande baratro della loro stessa fine. La balena, in altri termini, sta agendo al fine di creare condizioni fuori dalla loro esperienza di vita per lo più istintiva. Raccogliendo il proprio premio senza neanche il minimo dispendio d’energia preziosa, preservata per riuscire a perseguire altri compiti non meno importanti. Il che la rende, a tutti gli effetti rilevanti, ancor più simile agli umani. E non è forse proprio questo, l’effettivo cruccio tematico al centro della questione?
Ciò che spesso tendiamo a dimenticare, poiché condizionati da nozioni funzionali a idee o concetti dati ormai per scontati, è che nessun mammifero marino della Terra si è evoluto “a partire da un pesce” come potremmo immaginare sulla base di una progressione dettata dal senso comune. Costituendo piuttosto l’effettiva conseguenza di una serie di fattori ambientali, tali da spingere creature intelligenti, quadrupedi e socievoli ad immergersi nella versione odierna dello stesso brodo primordiale, in cui alle origini dei tempi risiedeva fino all’ultimo residuo del concetto di vita stessa. Il che implica adattabilità, ed una dotazioni di sinapsi non meno capaci d’interpretare l’andamento dei tempi, reagendo in modo utile, rispetto a quelle possedute da noialtri dominatori dell’odierno dramma planetario. Il che include, tra i principali catalizzatori del cambiamento, la progressiva modifica delle condizioni ambientali, in forza di quella condizione distruttiva che potremmo individuare nella produzione di sostanze inquinanti. Considerate ad esempio, a tal proposito, il processo d’eutrofizzazione: determinato dall’impiego di fertilizzanti artificiali nello sfruttamento agricolo dei territori, sostanze che immancabilmente, dopo il trascorrere di un tempo abbastanza lungo, finiscono per galleggiare tra le onde in rumorosa e inconsapevole attesa. Nitrati e altre sostanze, altrettanto funzionali allo scopo di aumentare in modo esponenziale la crescita delle alghe, fino a una saturazione tale da consumare tutto lo spazio e le risorse disponibili nelle remote profondità marine. Al che segue una morìa vegetale diffusa, con conseguente consumo d’ossigeno ulteriormente accresciuto, in un ciclo nefasto che conduce irrimediabilmente all’ipossia: il nulla. Senza più alcunché di processabile, all’interno delle loro branchie necessarie alla sopravvivenza, i pesci devono spostarsi progressivamente verso la superficie. E disperdersi, per quanto possibile, in maniera tale da rendere impossibile la tipica caccia con “balzo” in avanti delle rorqual e gli altri cetacei di grandi dimensioni, dato l’eccessivo dispendio d’energie con trascurabile ritorno d’investimento. Il che conduce, per il tramite della sofisticata intelligenza di questi esseri, alla creazione di strategie avanzate quali la rete di bolle, creata soffiando una letterale barriera da un gruppo di giovani esemplari mentre il fortunato di turno raccoglie il premio rimanendo immobile al centro di una tale formazione di battaglia. Poiché tuttavia un simile approccio è largamente acquisito successivamente alla nascita, venendo tramandato da una generazione di balene a quella successiva in maniera culturalmente simile alla nostra, non tutte le balene di Bryde, o le megattere sono in grado di farne uso. Mentre specifici gruppi hanno finito per ricorrere alla metodologia mostrata nel video di Bertie Gregory, che la comunità scientifica conosceva almeno dalla metà degli anni 2010 ed a cui aveva attribuito l’appropriata definizione di trap-feeding. Una strategia in cui il pesce stesso, accompagnato dal krill, il plankton e tutte le altre creature degli abissi, possa venire effettivamente risucchiato attraverso l’ampia bocca del cetaceo, i cui angoli vengono effettivamente lasciati sotto il pelo dell’acqua, creando un vortice dalla pressione negativa in grado di favorire un simile processo. Potenzialmente favorito anche dalla presenza degli uccelli pescatori che, tanto spesso, si affollano attorno alle balene intente in tale compito, accrescendo il senso di panico e l’apparente necessità d’affrettarsi da parte delle prede elettive della sapiente ed affamata balena. Una visione a suo modo terrificante, se si possiedono le pinne e un’esperienza di vita pregressa tra gli umidi recessi della nostra Era…
Al che segue l’inevitabile domanda su cosa, esattamente, potrebbe succedere a una persona che dovesse trovarsi accidentalmente a nuotare dentro la trappola posta in essere dalla balenottera in questione. Nozione fin troppo chiara nella sua drammaticità all’interno fiabe o storie religiose, esemplificate rispettivamente da Pinocchio ed il profeta Giona, ma effettivamente smentita dalla vicenda del giugno scorso in cui Michael Packard, pescatore d’aragoste di Capo Cod, fu accidentalmente inghiottito da un capodoglio (Physeter macrocephalus) finendo addirittura intrappolato dietro i suoi fanoni, i lunghi denti simili a una barba usati per filtrare l’acqua marina e trasportato in profondità. Immaginando un destino certamente gramo, non fosse stato per la ben nota strettezza dell’esofago di queste creature, specializzate nel consumo di grandi quantità di prede dalle dimensioni ridotte, tale da impedirgli di trangugiare l’uomo e non potendo perciò far altro che sputarlo nuovamente verso la superficie. Probabile conseguenza di un accumulo di karma positivo in vite precedenti, nonché una prova di come non sempre i singoli debbano pagare per i peccati delle moltitudini, ovvero la creazione di condizioni vigenti in cui le balene devono cacciare sempre più in prossimità della superficie, ed in maniera maggiormente scaltra ed efficiente.
Ci sono molti meriti, in conclusione, nel vedere la natura che si evolve e adatta a condizioni poco vantaggiose. Che poi sarebbe, in altri termini, la principale espressione dell’innegabile intelligenza delle creature. Mentre ciò che dovrebbe portarci ad una breve pausa di riflessione, è l’effettiva serie di cause capaci di dare i natali a tutto questo. E cosa possiamo fare, personalmente, per porre in essere le basi di un tardivo cambiamento. Sempre che ciò risulti ancora possibile, vista la deriva inarrestabile degli eventi.