Capitan Uncino dei fringuelli ricomparso all’improvviso dallo stomaco del coccodrillo

“Loro non riescono a capire, davvero. L’importanza di essere, la difficoltà di resistere, l’immane responsabilità del mio lavoro” Pensò il piccolo Kiwikiu, il cui nome significava Becco Ricurvo e Vento Fresco, due elementi rispettivamente riferiti al suo aspetto esteriore, le caratteristiche ambientali della foresta mesica, unico habitat adatto alla sua sopravvivenza con metodi naturali. Ove saltellando lievemente da un ramo all’altro dell’onnipresente ʻōhiʻa lehua, l’albero simile ad un mirto ricoperta d’appariscenti fiori rossi, scrutava attentamente la superficie ruvida della corteccia, alla ricerca di un qualcosa che soltanto lui avrebbe potuto individuare. “In sette eravamo, tre anni fa, all’interno delle gabbie del Dipartimento della Terra e delle Risorse Naturali (DLNR) prima che avvenisse il grande cambiamento…” Elaborò il malinconico pennuto, mentre continuava, imperterrito, il suo giro. Ma il morbo della malaria, senza falla, aveva colpito ancora una volta al centro esatto della piccola e prosperosa comunità di pennuti. Portando alla rapida, quanto inevitabile, dipartita di almeno cinque di loro! E una precauzionale separazione della coppia restante. “Il che non mi esonera dal compiere l’impresa quotidiana.” Pronunciò sommessamente il piccolo Kiwikiu, in un tripudio di gorgheggi, immobilizzandosi improvvisamente nella densa giungla dell’isola di Maui proprio nel mezzo del suo canto. “Ci siamo, ci siamo, ecco il mio premio.” E con un colpo rapido quanto preciso, portò il proprio becco uncinato a perforare la spugnosa scorza esterna della pianta. Quindi, con un rapido movimento rotativo, fece perno, rimuovendo quella copertura non più ritenuta necessaria. Sotto di essa, freneticamente brulicante, candida ed appariscente, la sua amata ed opulenta larva di carabide, che d’altronde non avrebbe mai raggiunto l’età adulta. Dardeggiante sciabola dell’alba, lama opportuna per gentile concessione di parecchi secoli d’evoluzione, l’uccello colpì, ghermì ed infine trangugiò il suo pasto. Molti splendidi richiami, avrebbe dovuto continuare a emettere prima dell’arrivo della sera. Molti altri umani, da evitare.
Naturalmente schivi per definizione ed alti appena 14 cm, gli Pseudonestor xanthophrys anche detti “becco a pappagallo [dell’isola] di Maui”, possono beneficiare in merito alla propria fama riservata per un semplice quanto problematico aspetto: il fatto che ne siano rimasti liberi e viventi, all’interno del proprio intero areale, un numero massimo stimato di appena 200-250 esemplari stimati sulla base di un’analisi statistica degli avvistamenti. Tutti rigorosamente concentrati, allo stato dei fatti attuale, in una piccola parte dell’intero areale originariamente occupato dalle loro piume, fatta eccezione per l’occasionale iniziativa di reintroduzione conservativa messa in atto dai diversi enti ed associazioni preposte, tra cui quella condotta nell’ormai remoto ottobre 2019 all’interno di una riserva naturale non meglio definita (per ovvie ragioni) e finita per quanto fu possibile apprezzare in totale quanto irrimediabile tragedia. Visto il ritrovamento in breve tempo di ben cinque degli esemplari coinvolti ormai del tutto esanimi sul suolo del sottobosco, avendo contratto la malattia che in larga parte aveva già in precedenza decimato la loro antica popolazione. Trasmessa da zanzare non native, contro cui non avevano alcun tipo di difesa immunitaria apparente. Almeno, fino ad ora. Poiché risale giusto all’ultima settimana di questo luglio 2021, una notizia che potremmo definire al minimo eccezionalmente lieta: l’improvviso avvistamento, ad opera del ranger locale Zach Pezzillo, di uno dei due uccelli rimanenti e giudicati in precedenza “perduti”, dopo il trascorrere di un tempo complessivo di oltre 600 giorni. Che cosa aveva condotto, esattamente, a questo evidente compiersi di un vero e proprio miracolo della natura?

Agili e scattanti mentre procedono sui rami, i kiwikiu possono essere giudicati praticanti di uno stile di sopravvivenza simile a quello del picchio, benché su scala più ridotta ed attentamente calibrata all’ottenimento di risultati.

Il problema di fascettare e tener conto di uccelli del peso di appena 20-25 grammi non è infatti in alcun modo arduo da prevedere. Laddove l’inclusione di un qualsiasi tipo di trasmettitore, nella strumentazione inclusa all’interno dell’anello di riconoscimento, costituirebbe un’inconvenienza di portata eccessiva per l’animale. Così può anche succedere che un canto inaspettato, ascoltato sulle pendici del principale rilievo dell’Isola della Valle, possa costituire l’inaspettata via d’accesso ad una ritrovata speranza. Che uccelli come questo, ricevendo le opportunità del caso, possano riuscire a superare i propri limiti ormai dati per scontati e sopravvivere persino ad un’ambiente diventato ostile. Poiché dove riesce uno, possono seguirlo gli altri. Se soltanto si riuscisse a liberarne una quantità sufficiente…
Primario problema nel preservare allo stato brado una simile creatura, benché svariate decine d’esemplari siano stati inviati negli zoo di mezzo mondo entro un periodo individuabile negli scorsi cinque anni, è la loro capacità riproduttiva in realtà piuttosto limitata. Con un singolo uovo deposto ogni uno o due anni, all’interno di un nido di rametti e licheni costruito preferibilmente sui rami di un Metrosideros polymorpha ad almeno 12 metri d’altezza, l’albero di ʻōhiʻa lehua o il koa (Acacia koa) connessi in maniera particolarmente acclarata al suo ciclo di vita ideale. Così come avviene per altre specie di piante ai rispettivi appartenenti alla sottofamiglia dei Carduelinae più comunemente soprannominati “cercatori di miele hawaiani”, benché soltanto una piccola parte di loro sia effettivamente nettarivora, mentre altre varietà preferiscono nutrirsi di semi, frutta o come nel caso dell’ormai rarissimo P. xanthophrys, direttamente gli insetti che vivono all’interno delle piante, grazie all’uso del proprio forte becco di tipo tenuirostre, capace di ricordare vagamente quello di un pappagallo. Deviazione dalla via maestra che si è creata in seguito al processo di speciazione radiante, qui giunto a verificarsi a seguito dell’arrivo dei fringillidi (o fringuelli) per un qualche tipo di anomalie marittime o meteorologiche. Così che simili uccelli, approdati sulle varie isole dell’arcipelago più remoto della Terra, si sarebbero trovati successivamente privi d’opportunità d’interscambio reciproco, diventando lungo il corso delle epoche qualcosa di straordinariamente distintivo e differenziato, nonostante il funzionamento universalmente prevedibile della natura. Fino al caso del becco da pappagallo, esponente monotipico del proprio singolare genere Pseudonestor, nonché abbastanza raro da essere rimasto fino all’epoca contemporanea del tutto privo di un nome nativo tramandato dalle genti indigene, almeno fino alla sontuosa cerimonia condotta nell’anno 2010, quando le comunità di cultura polinesiana dell’isola di Maui si riunirono rendendo omaggio al volatile con musica e danze, individuando il nuovo appellativo, ormai d’uso comune, di kiwikiu. La nascita del piccolo quindi, raramente osservata allo stato brado, si verifica dopo circa 14-15 giorni d’incubazione condotta a turno, da maschio e femmina che tendono a restare rigorosamente monogami per tutto il resto della loro vita. Una volta fuoriuscito dall’uovo, il piccolo verrà nutrito primariamente dal padre sensibilmente più grande e resistente della sua consorte, restando rigorosamente nel nido fino all’acquisizione del caratteristico piumaggio di colore verde acceso, necessario per la mimetizzazione tra i rami della foresta. Una volta raggiunta l’età dell’indipendenza, dopo un periodo che può raggiungere gli 8 mesi, i giovani becco da pappagallo inizieranno perciò a definire i limiti del proprio territorio, capaci di raggiungere tranquillamente i 2,3 ettari d’estensione, pubblicizzando la cosa con i propri riconoscibili trilli ripetuti su due toni distinti, trasformati in un peana frenetico all’avvicinarsi della stagione degli accoppiamenti.

Il conteggio e targhettizzazione dei kiwikiu è un processo in divenire che coinvolge, per quanto possibile, l’impiego di trappole a rete per poter seguire l’evoluzione degli esemplari nati liberi nella foresta hawaiana. Ogni passaggio, tuttavia, dev’essere compiuto con la massima cautela.

Le specifiche caratteristiche dell’habitat naturale di questi uccelli, concentrato tra i 1.000 e 2.000 metri d’altitudine in foreste che rimangono piuttosto fredde per l’intero trascorrere dell’anno, nonché coperte da nebbia fitta e battute dal vento, ha quindi permesso d’individuare una singola zona sicura ancora disponibile per la riproduzione. Che ad oggi, viene considerata l’ultimo baluardo nonché principale recesso dei pochi esemplari rimasti allo stato brado: le pendici del vulcano Haleakalā nella parte est di Maui, uno dei picchi più alti dell’intero Oceano Pacifico. Nonché il principale luogo da cui è stato possibile mantenere lontani i maiali ed ungulati ferali, capaci di modificare l’ecosistema al punto da favorire la diffusione della zanzara portatrice della malaria aviaria, principale causa della situazione critica in cui verte ad oggi la sopravvivenza di questo insolito uccello.
E ciò senza neppure entrare nel merito dei predatori non nativi propriamente detti, tra cui cani e gatti, inevitabili nemici di ogni specie endemica di terre colonizzate tardivamente dalla sempre accompagnata genìa degli umani. Ultimi ostacoli ed agenti del grande rettile devastatore, nell’ottenimento del risultato maggiormente auspicabile: che infine il maschio di kiwikiu fatto traslocare in altre isole come quella di Molokai possa richiamare, col suo trillo iconico, la propria controparte femminile. Dando inizio ad una nuova generazione, capace di sopravvivere all’assalto delle zanzare. Obiettivo tutt’altro che semplice da perseguire, come potremmo testimoniare a pieno titolo anche noi “potenti” ed “invincibili” umani.

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