Al trascorrere dei primi 30 minuti, il cielo iniziò a rabbuiarsi mentre nubi si addensavano all’orizzonte. Se davvero si trattava, dopo tutto, del punto esatto in cui risultava possibile osservare la congiunzione tra la Terra ed il cielo. Difficile esserne sicuri, nella più totale assenza di punto di riferimento… Fatta eccezione per la doppia strada grigia, affollata di automobili quasi a contatto l’una con l’altra, impegnate nel complesso tentativo di riuscire ad attraversare il lago Pontchartrain, mentre il notiziario dava i numeri dell’avvicinamento progressivo dell’ennesima tempesta oceanica, pronta ad abbattersi contro la città più vasta dello stato della Louisiana. New Orleans, la capitale mondiale degli uragani e tutto quei fenomeni meteorologici che pur non raggiungendo un simile livello di devastazione, aspirano a creare una quantità ragionevolmente elevata di danni alla gente ed alle loro proprietà terrene. Abbastanza da creare un giusto grado di frenesia, tale da indurre i residenti della sponda sud del lago ad avviarsi verso le proprie distanti abitazioni lasciando in anticipo il posto di lavoro, quando il futuro prossimo appare fosco e ventoso. “Nessun pericolo per le prossime due ore” aveva detto un’ora fa il Weather Channel, senza tuttavia includere alcuna disquisizione aggiuntiva sul tema del traffico, fattore potenzialmente determinante nell’esito di una simile stringente traversata. Ora guardai diritto innanzi a me, dove l’asfalto si stringeva per quanto visibile attraverso il mare d’automobili e quindi di lato, prima da una parte e poi dall’altra, oltre il basso muretto di sicurezza, facente nel presento luogo le funzioni di un patetico ed insufficiente guard rail. Nonostante la più totale assenza di nebbia, non c’era nessuna traccia d’altro che acqua, acqua ed ancora acqua, in prossimità del punto centrale dei 38 Km di viadotto, forse la strada più notevole, ed al tempo stesso terrificante, dell’intero territorio statunitense. L’ultimo luogo in cui vorresti trovarti, all’arrivo largamente prevedibile di un temporale. Ma tra il dire e il fare, notoriamente, c’è di mezzo una cospicua massa da cui emergono le linee assai riconoscibili dei continenti. Soltanto in rari casi attraversata, in mezzo a questi, da una conveniente strada che si perde verso l’assoluta cognizione del concetto stesso di “tempo” e “luogo”…
Associare tuttavia il Ponte del Viadotto del Lago Pontchartrain il cui nome significa in lingua Okwata “acque larghe” al mare propriamente detto, nonostante la natura salina delle acque che lo bagnano, sarebbe rendergli un fondamentale torto nella trattazione. Questo poiché tale significativa opera pubblica, la prima parte della quale venne completata 1956, si trova in effetti collocata nel punto più largo del cospicuo slargo d’acqua, creato dal fiume Mississipi ed i suoi molti affluenti, a partire da qualche chilometro dal Golfo del Messico ed il confinante Oceano Atlantico. Un contenitore, dentro un altro contenitore ma non per questo di ampiezza contenuta, trattandosi di uno specchio d’acqua di forma vagamente triangolare ed un’ampiezza di 1.600 chilometri quadrati. Ma profondo appena, e ciò costituisce una questione niente meno che fondamentale, tra i 3,7 e 4.3 metri nella sua parte centrale, ovvero sufficientemente pochi affinché un moderno cantiere edilizio possa riuscire a poggiarvi, senza sforzi eccessivi, i circa 9.500 piloni sovrastati dall’irrinunciabile viadotto, tale da accorciare di oltre 50 minuti il tempo necessario a raggiungere la sponda nord del lago, dall’affollato centro cittadino dell’affascinante, affollata città dove nacque e prosperò la musica Jazz. Una visione senza pari in buona parte del mondo, tanto da aver costituito per anni uno dei principali luoghi per scattare fotografie utili a dimostrare la curvatura del pianeta, e che sarebbe stata superata in lunghezza solamente nel 2011, con l’apertura del ponte cinese della baia di Jiaozhou, misurante ben 41 Km. Soltanto 25 dei quali, tuttavia, ininterrotti e sopra una singola massa d’acqua, così da aver creato un’immediata disputa in materia per il predominio sulle pagine dell’essenziale (!) Guinness dei Primati, almeno fino alla creazione di due categorie distinte entro l’anno successivo. Per restituire agli Stati Uniti un primato di cui tutti, per una ragione o per l’altra, sembravano essere eccezionalmente fieri.
Il primo suggerimento per la costruzione di un sistema di collegamento finalizzato a collegare New Orleans alla sponda settentrionale del suo lago venne quindi proposto dall’influente uomo d’affari franco-creolo Bernard de Marigny all’inizio del XIX secolo, come importante arteria necessaria alla prosperità della sua piantagione, ed altre attività concentrate nella zona che sarebbe in seguito diventata il sito della cittadina di Mandeville. Appena 11.000 abitanti in prossimità dell’accogliente sponda, dove gradualmente sarebbero stati costruiti numerosi resort, luoghi di svago e punti di ritrovo per gli abitanti dell’affollata ex-capitale all’altro lato del Pontchartrain. Se non che all’epoca e per ovvie ragioni, mancando il know-how tecnologico necessario a compiere una tale impresa, Marigny dovette tuttavia accontentarsi della mera creazione di un servizio di traghetti, mentre all’inizio degli anni venti del Novecento sarebbe arrivata l’idea di una serie d’isole artificiali collegate tra di loro con vari ponti, ciascuna delle quali finanziata mediante la vendita di case collocate su di esse, ammesso e non concesso che qualcuno avrebbe mai voluto vivere in mezzo alle acque di uno così ampio lago. Alla collettiva presa di coscienza dell’effettiva impossibilità di realizzare una simile impresa, l’Autorità Stradale della Louisiana avrebbe quindi accantonato ogni piano almeno fino al termine della seconda guerra mondiale, quando il suo direttore Ernest M. Loeb Jr. riuscì a visualizzare, nuovamente, la potenziale utilità del progetto. Integrare completamente la zona densamente abitata della sponda nord nel territorio urbano di New Orleans? Verso la creazione di una vasta, indivisa ed economicamente prosperosa megalopoli? Abbastanza da giustificare l’investimento di 46 milioni di fondi pubblici (corrispondenti a 340 attuali) per la realizzazione di un simile sogno, attraverso l’impiego di alcuni dei migliori fornitori e costruttori d’infrastrutture al mondo. Due delle figure coinvolte fin da subito furono quindi Maxwell Mayhew Upson e Walter E. Blessey, pionieri nell’impiego del calcestruzzo armato precompresso, un tipo di materiale già largamente utilizzato con successo in Europa e per diverse opere pubbliche presso le rive della città di New York. Il primo dei quali, inoltre, detentore del brevetto per l’esclusivo processo costruttivo cenviro, per la creazione ed asciugatura di forme cilindriche mediante un’applicazione attentamente controllata della forza centrifuga, abbastanza da riuscire a velocizzare sensibilmente la creazione del numero impressionante di piloni necessari a creare il ponte, pur mantenendo una resistenza strutturale di 10.000 psi. Il 13 luglio del 1953, quindi, iniziarono le prime prove tecniche necessarie per l’avviamento dei lavori, che sarebbero proseguiti speditamente e senza incidenti fino all’apertura effettuata a fine agosto del 1956, con un periodo di lavori complessivamente inferiore ai soli 23 mesi, inclusa la creazione di una sezione sollevabile presso la sponda nord, al fine di permettere il passaggio delle navi. Un risultato conseguito primariamente tramite la prima applicazione contemporanea di un sistema architettonico realmente modulare, consistente nella ripetizione continuativa di una serie di elementi: pilone, architrave, copertura, pilone e così via a seguire… La prima versione del ponte era dunque costituita da un singolo viadotto a due corsie, inizialmente percorso da qualche centinaia di migliaia d’automobili l’anno, che avrebbero provveduto a ripagarlo mediante il pagamento di un ragionevole pedaggio prima in entrambi i sensi, poi (raddoppiato) soltanto per chi si dirigeva verso la sponda sud. Mano a mano che questa sottile striscia d’asfalto diventava una primaria arteria cittadina, ci si rese tuttavia conto di come il traffico aumentasse in modo esponenziale, tanto da richiedere la costruzione di un secondo sentiero. Ulteriori due corsie, portate a termine soltanto nel 1969 al costo considerevole di altri 30 milioni di dollari (pari a 260 dei nostri giorni) che avrebbero completato l’odierno aspetto di una simile meraviglia dell’urbanistica, capace di sovvertire totalmente le comuni leggi della natura.
Fin da subito iscritta in numerose liste e celebrata su scala internazionale per il notevole risultato raggiunto, l’opera del ponte di Pontchartrain sarebbe stata presto inserita nell’elenco dei Patrimoni Ingegneristici Nazionali da parte dell’ASCE (American Society of Civil Engineering). Continuando a costituire un notevole, nonché innegabile punto d’orgoglio per la sua città, lo stato e l’intera sola ed unica nazione federale nordamericana.
Un ponte destinato ad entrare nella leggenda dunque ma soprattutto un ponte destinato a resistere alla prova del tempo. Nonché la furia degli elementi, inclusi gli occasionali uragani capaci di colpire periodicamente la regione di New Orleans, tra cui neppure il devastante Katrina del 2005 sarebbe riuscito ad arrecare danni significativi alla possente striscia percorribile da una parte all’altra del grande lago. Il che d’altra parte, non può essere detto dell’uomo stesso, viste le svariate centinaia di volte in cui il ponte sarebbe stato colpito da imbarcazioni nel corso della sua esistenza, tra cui il drammatico caso in cui l’urto da parte di alcune chiatte da trasporto avrebbe portato al crollo di un sua sezione nel 1964, con conseguente caduta di un autobus nelle acque sottostanti, che finì per costare la vita a sei persone. Mentre assai più rare riescono ad essere, d’altronde, le casistiche in cui un’automobile finisce per subire un simile destino a seguito di un incidente o guida scorretta, contro la quale unica risorsa sembrerebbero essere i molti cartelli illuminati che invitano alla guida prudente disposti lungo l’intera estensione del ponte, assieme ad altrettante telecamere di sorveglianza per l’assegnazione di multe preventive.
Ma la gente, si sa, è poco propensa a perdere le cattive abitudini. E i dati ufficiali riportano ad esempio, soltanto per l’anno 2015, una cifra di ben 178 incidenti, con 65 tamponamenti ulteriori a seguire dal primo verificarsi dell’evento. Ed è per questo forse, più che ogni altra considerazione, che il viadotto Pontchartrain richiede una notevole fiducia nel destino e nella sorte prima di essere attraversato. Almeno di essersi abituati percorrendolo ogni giorno, per il semplice e gesto di andare a lavorare. Ma anche allora, per il verificarsi di particolari eventi o perturbazioni meteorologiche, possono cambiare in modo sensibile le aspettative e i risultati di quel gesto. Quando l’unico punto di fuga è quello della prospettiva, e nessun altro…