L’agiatezza preistorica del più elevato condominio scavato nella roccia dell’Arizona

Sin dai tempi più remoti nella storia dell’uomo, si è trattato di una situazione complicata da organizzare: la convivenza nelle anguste circostanze, all’interno di un’abitazione plurima, costruita in base a logiche di praticità, convenienza ed una sorta d’ineffabile strategia situazionale. Laddove noialtri siamo, prima ancora di qualsiasi altra cosa, esseri inerentemente territoriali, che continuano a combattere istintivamente per potersi garantire l’accesso a determinante tipologie di risorse, inclusa la pace, la solitudine, il silenzio. Inframezzate da difficili momenti di confronto, le assai rinomate riunioni condominiali, in cui il bisogno della maggioranza dovrebbe anteporsi a quello dei singoli, benché tanto spesso finisca per succedere che vincano coloro che gridano più a lungo, con più enfasi o brandiscono la clava dalle dimensioni più grandi. Così come teorizzato dal famoso presidente, succeduto all’assassinato predecessore William McKinley, i cui occhiali e baffi avrebbero finito per diventare iconici, così come l’intera e nutrita antologia delle sue significative citazioni. Finché nel 1906, con quello che sarebbe passato alla storia come Antiquites Act, Theodore Roosevelt in persona designò i primi quattro Monumenti Nazionali degli Stati Uniti: lo svettante massiccio della Devils Tower, il pueblo e i petroglifi di El Morro, la Foresta Pietrificata dagli antichi depositi di legno geologicamente mutato e lo svettante, intrigante, misterioso Castello di Montezuma. Forse il più significativo esempio di un appellativo poco fortunato, non trattandosi nello specifico di una fortificazione con finalità primariamente militari, né avendo alcunché a vedere con la storia, la mitologia e l’esperienza pregressa del popolo degli Aztechi ed i suoi celebri sovrani.
Collocato a ridosso della Verde Valley nell’esatto centro dell’Arizona, ad un’altezza di 27 metri lungo le pendici verticali di uno svettante pendio calcareo, l’edificio rappresenta il singolo più significativo esempio del tipo d’insediamento scavato nella roccia dall’ancestrale cultura dei Sinagua, probabili predecessori delle tribù native degli Hopi, il cui nome odierno significa “Popolo a modo”. E di atteggiamento accomodante dovevano possederne parecchio, gli originali costruttori di una simile località di appena 381 metri quadri, abitata a suo tempo da una quantità stimata tra le 30 e le 50 persone stipate in appena una ventina di stanze. Con una comunione d’intenti ed ampia quantità di compromessi, evidentemente giustificati dai vantaggi concessi dalla particolare posizione strategica di un simile palazzo ante-litteram, edificato a partire dal 1050 d.C. e per un periodo di diversi secoli, finché nel 1425, per ragioni tutt’ora non del tutto acclarate, venne improvvisamente abbandonato. Pur continuando a mantenersi ragionevolmente intatto, per la sua inerente protezione dagli eventi atmosferici e la complessità necessaria a raggiungerlo e saccheggiarlo, nonostante fosse già successo almeno un paio di volte nel corso del XIX secolo, prima della sua nomina presidenziale e l’inizio delle operazioni di restauro. Arrecando danni irreparabili ed affrettando notevolmente processi entropici, di una delle più importanti testimonianze lasciate da un popolo precolombiano, nonché l’evidente prova che significative difficoltà potessero aguzzare l’ingegno, anche allora, mentre la mente si affrettava a elaborare una possibile soluzione.
In un significativo capovolgimento delle legittime aspettative, infatti, il principale nemico dei Sinagua (letteralmente: “Senza Acqua”) stabilitesi in questa fertile valle sarebbero stati proprio gli straripamenti occasionali del fiume Beaver, con conseguente e reiterata distruzione dei propri spazi e moduli abitativi. Finché a qualcuno d’intraprendente, con l’autorevole sostegno dei membri anziani del villaggio, non venne in mente la soluzione: mettersi a ricostruire per un’ultima e importante volta in posizione maggiormente elevata. Dove mai e poi mai, le infide acque avrebbero potuto raggiungere l’uscio delle loro case…

Il Pozzo di Montezuma, per quanto poté dimostrarsi importante al fine di garantire la sopravvivenza dell’omonimo Castello, avrebbe finito per costituire la sua stessa condanna. Non a caso la sua acqua ricca d’arsenico resta del tutto priva di pesci, risultando abitata primariamente da forme di vita invertebrate ed alcuni minuscoli gamberetti.

La costruzione del cosiddetto castello di Montezuma non fu ovviamente semplice con gli strumenti a disposizione in quell’epoca, sostanzialmente allineati ad un contesto tecnologico dell’Età della Pietra. Ragion per cui furono parecchie le generazioni, come apprezzabile dai molti rilevamenti archeologici, impegnate nella costruzione del complesso, il cui principale metodo d’accesso rimanevano delle probabili scale in corda, o di legno a pioli. Così gli operai scavarono ed ampliarono una probabile grotta pre-esistente, mediante l’uso di scalpelli e magli, prima di trasportare nella nicchia risultante i propri materiali di costruzione. Tra cui una moltitudine di blocchi intagliati nella pietra calcarea e fatti aderire l’uno all’altro mediante l’uso di una malta a base di fango, in quello che costituisce in tal senso il più antico edificio di mattoni di tutti gli Stati Uniti. I tetti e gli usci di ciascun comparto abitativo, distribuito su ben sei piani e di cui abbiamo trovato solamente alcune tracce erose dal tempo, sarebbero stati nel frattempo costruiti primariamente con legno di sicomoro, resistenti alberi della famiglia delle Moracee, mentre i loro abitanti continuavano a trarre beneficio dalle vicine fonti d’acqua e la nutrita popolazione di tartarughe locali, un’importante fonte di cibo. Il fatto stesso che il condominio fosse anche una naturale fortezza particolarmente difficile da attaccare, pur non essendo la sua principale ragione d’esistenza, costituiva inoltre un notevole valore aggiunto della situazione, permettendo agli utilizzatori di difendersi con estrema facilità dalle loro tribù locali. Quando nel 1846 al termine della dura guerra messicana, i soldati statunitensi scorsero per la prima volta le notevoli forme di questo complesso fuori dal contesto, fu per loro assolutamente naturale associarle al grande capo degli storici guerrieri Aztechi, nonché secondo portatore tra i viventi del nome di una delle loro più importanti figure mitologiche, Montezuma II. Ma l’insolito pueblo rupestre, a quel punto, era già stato abbandonato per lungo tempo ed era ben lontano dai fasti delle sue lontane origini, per una possibile serie di ragioni tutt’ora soggette all’analisi discordante da parte di diverse scuole dell’archeologia. A partire dall’ipotesi di un esaurimento delle risorse, di una nuova eruzione del vicino cratere vulcanico di Sunset come quella che aveva reso inabitabile la valle attorno alla metà dell’XI secolo, la siccità oppure una mera conclusione di un problematico processo continuato attraverso le generazioni. Quello generato dall’impiego come principale fonte di acqua del vicino e tematicamente nominato “Pozzo di Montezuma”, una dolina carsica di 118 metri di diametro, del tutto endoreica ma costantemente riempita da una significativa fonte d’acqua sottomarina. Il cui splendente fluido risultava tuttavia ricolmo, a totale insaputa dei suoi principali utilizzatori, di una percentuale significativa d’arsenico, tale da peggiorare in modo sensibilmente apprezzabile la qualità e durata di vita delle persone. Mentre forse ancor più affascinante e significativo, nel racconto della vicenda tramandato nelle tradizioni degli Hopi, è semplice il concetto che la vita presso il Catello fosse diventata stagnante e priva di alcun tipo di stimolo intellettuale, invogliando per questo i suoi occupanti a cercare fortuna altrove. Non che l’una o le altre motivazioni fossero del tutto prive della possibilità di combinarsi, giungendo alla conclusione, agli inizi del XV secolo, che avrebbe portato i Sinagua a migrare fuori dai confini della Verde Valley, ed entro le importanti pagine della storia.

La visita diretta del pueblo scavato nella roccia risulta essere oggi molto rara e concessa solo con specifiche finalità di studio, ad opera dell’Ente Parchi nazionale. Ogni aspirante archeologo, inoltre, viene attentamente controllato e ritenuto responsabile delle sue azioni.

Riscoperto perciò all’inizio dell’epoca contemporanea, il Castello di Montezuma e relativo Pozzo avrebbero finito per comparire in un alto numero di guide turistiche, intraprendendo una possibile strada di condanna ed autodistruzione. Con il numero di turisti sempre più elevato che venivano a percorrere la pista panoramica, per poi salire fino alle antiche abitazioni e sottoporle all’usura imprescindibile causata dalla loro mera presenza. Studi condotti a partire dal 1933, nel frattempo, avrebbero rivelato l’esistenza ormai perduta di un ulteriore insediamento costruito nella roccia della muraglia calcarea, chiamato dagli studiosi “Castello A”. Affinché lo stesso destino non dovesse toccare in sorte alla sua controparte ancora in essere, si decise perciò di chiuderla all’accesso diretto permettendo soltanto di scorgerla dall’altezza del suolo, un’esperienza in grado nondimeno di attirare ancora oggi un certo numero di persone affascinate dalla storia più remota del loro paese. Significative opere di manutenzione e restauro avrebbero continuato, inoltre, fino alla metà del secolo, aumentando l’interesse residuo di un simile reperto senza tempo. Benché non manchino, di contro, altrettanti esploratori delusi dall’assenza di tale possibilità di esperienza diretta, e che consigliano per questo di dare la priorità ad altri vicini siti lasciati dalla cultura Sinagua all’interno della Verde Valley, come il pueblo roccioso di Tuzigoot, successivamente ereditato dalle tribù degli Apache. Ma il fascino fiabesco dell’elevata e misteriosa “fortezza” avrebbe nondimeno continuato a popolare l’immaginario delle persone, come pienamente esemplificato dalla sua comparsa del 1952, Red Feathers (La cavalcata dei diavoli rossi, regia di Ray Enright) in qualità di sito usato per lo scenografico combattimento finale. Un luogo in cui, d’altronde, gli appartenenti al popolo nativo degli Yavapai facenti parte del cast si rifiutarono di entrare, causa il suo ereditario significato religioso e presunta appartenenza alle anime dei defunti, costringendo la produzione a far venire un altro gruppo di Navajo, prelevati da una vicina riserva. Giungendo a rinnovare in questo modo, ed in qualche modo andando ad aggiungere ulteriori storie, alla lunga e travagliata leggenda di quell’improbabile insediamento roccioso. E più i racconti mutano, maggiormente restano gli stessi…
Plasmato dalle mani del Grande Spirito all’interno dell’argilla primordiale, la figura mitologica di Montezuma avrebbe appreso, lui soltanto assieme al suo aiutante Coyote, il modo per sfuggire al gran diluvio destinato devastare la Terra. Così che i due costruirono delle improvvisate canoe, destinate a reincontrarsi sulla cima della catena montuosa di Santa Rosa, da cui avrebbero assistito il Creatore nel distribuire i nuovi popoli e animali della Terra. Ma diventato a un certo punto arrogante, ed allontanato l’amico, Montezuma avrebbe costruito una casa in grado di raggiungere le nubi stesse, che potesse sconfinare dentro il regno dei più puri e irraggiungibili esseri sovrannaturali. Proprio per questo il possente tuono punitivo inviato dal Grande Spirito e tutto ciò che lo avrebbe seguito, la confusione dei linguaggi, la sofferenza dei popoli ed infine l’invasione degli Spagnoli, può essere considerata una diretta risultanza della prima disputa di condominio al mondo. E nessuno, da quel fatidico momento, si sarebbe più preoccupato d’individuare il giusto nome per le cose, o persone.

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