Una questione di conoscenze pregresse, per non dire in altri termini… Punti di vista. E non c’è visione più pragmatica, né giustamente preoccupante, che quella percepita coi tentacoli, approfondita con lo sguardo ed elaborata in una serie di sinapsi efficientemente distribuite. Da parte di una grande seppia, nelle oscure profondità marine. Cefalopode alle prese, per qualche saliente attimo, con il più riconoscibile nemico della sua specie; un’ombra sghemba ma sinuosa, la bocca simile a una spazzola, occhi grandi, tondi e neri ed il collare simile ad un ornamento di un sovrano medievale. Se soltanto quest’ultimo, per opera e volere del demonio, fosse stato fuso con il proprio abito istituzionale. E di una corona neanche l’ombra. Perché di sicuro questo non è il Re del suo territorio di caccia, e neppure il duca, il conte o il cavaliere. Ma piuttosto una presenza permeante, che in maniera subdola si muove consumando minime risorse funzionali. Per colpire quando meno te lo aspetti, per nutrirsi della propria preda come un mistico vampiro senza nome o bandiera. Chlamydoselachus anguineus o squalo dal collare, un nome programmatico per quello che costituisce a pieno titolo un pericoloso fossile vivente. La prova ben tangibile, per chi ha avuto modo di conoscerlo, che un tempo i dinosauri (assieme ad altre bestie misteriose) camminarono e nuotarono su questa Terra. Ed in un certo senso lo fanno ancora, o per meglio dire vivono ai confini più remoti della percezione umana. Dove nessuno può toccarli, né disturbarli, finché non finiscono accidentalmente nella rete di un pescatore. Che tirandoseli a bordo, fino all’imporsi del pensiero logico-scientifico, non esitava nel gridare tutto il suo terrore: “Oh, terribile disavventura! Sotto questo cielo assassino, ho finito per pescare un serpente marino!”
Certo, stiamo qui parlando di una creatura che raramente supera i due metri di lunghezza, finendo per assomigliare più che altro ad un boa di media lunghezza, per non dire in modo ancor più scevro di metafore all’aspetto generale di un’anguilla; che è poi anche l’origine della seconda parte del suo nome scientifico, assegnatogli per la prima volta dal zoologo Samuel Garman, che ne aveva pescato un esemplare nel 1884 presso la baia di Sagami in Giappone. Tre anni dopo che il suo esimio collega Ludwig Döderlein si era guadagnato il privilegio di descriverlo, finendo tuttavia per perdere gli olotipi come avviene nel più tipico racconto dei marinai. Lasciando spazio ad una comprensibile perplessità del mondo accademico, simile a quella che ebbe modo di circondare per anni il primo esemplare imbalsamato dell’ornitorinco a partire dal 1799, giudicato semplicemente troppo strano per vivere su questa Terra. Ma a profondità marittime di oltre 1.500 metri, questa è cosa largamente nota, le normali regole dell’evoluzione cessano di funzionare allo stesso modo. Mentre ogni aspetto morfologico capace di sembrare surreale in condizioni tipiche, finisce invece per assumere un aspetto possibile, persino conveniente. Ad un punto tale da permettere ad esseri come questo, un inefficiente nuotatore, dotato di un morso tutt’altro che potente ed in effetti molto spesso caratterizzato da un comportamento che appare naturalmente moribondo, di sopravvivere per un periodo di fino a 252 milioni di anni come confermato da un probabile rapporto di parentela con gli elasmobranchi Hybodontiformes, esemplificato dal ritrovamento di alcuni fossili risalenti all’era Paleozoica. Mentre alcune teorie, basate su aspetti alternativi della sua morfologia, giungono a collocarne la possibile esistenza pregressa addirittura a partire dall’epoca Paleozoica (541-251 mya). Il che dimostra se non altro che qualcosa, tra le molte caratteristiche atipiche della creatura, potrebbe essersi dimostrato efficiente al di là di ogni più rosea aspettativa. Permettendogli di continuare a fare ciò che gli riesce meglio, molto più a lungo di ogni altro squalo semi-sconosciuto di questa misteriosa Terra…
Sopra: Raro caso di un esemplare catturato vivo e trasportato presso l’acquario di Wakayama in Giappone a gennaio del 2020, dove purtroppo ebbe modo di sopravvivere soltanto un paio di giorni. Talvolta, purtroppo, non è semplicemente possibile ricostruire in modo abbastanza fedele l’ambiente di provenienza.
Ecologicamente parlando, lo squalo dal collare (in inglese, frilled shark) risulta dunque essere un predatore passivo che ama tendere imboscate, raccogliendosi su se stesso proprio come il tipico rettile senza zampe degli spazi emersi. Una tecnica che gli riesce particolarmente bene, grazie alla muscolatura ben distribuita con la pinna dorsale in corrispondenza di quelle caudale ed anale. Mentre i due arti pettorali, grandi e flessuosi, gli permettono di dirigere con la massima precisione l’attacco della grande testa assassina. La quale risulta essere dotata, in aggiunta alla serie di grosse branchie con l’ultima staccata in modo evidente dal resto del corpo, formando l’eponimo “collare”, un’articolazione della mascella molto aperta e flessibile capace di favorire la fagocitazione di prede anche considerevolmente più grandi dello squalo stesso. Per non parlare del vantaggio che deriva dalla particolare dentatura posseduta da questa inusitata creatura, composta da una quantità approssimativa di 300 denti a forma di tridente e perciò dotati di 3 acuminate punte ad un uncino ciascuno, capaci di agire come i ganci del velcro per bloccare la preda più sfuggente, anche se poteva credere di avere ottime possibilità di fuga. Una importante metodologia analoga dal punto di vista funzionale a quella posseduta da numerosi altri animali abissali, proprio per la necessità di massimizzare il nutrimento ottenibile da qualsivoglia possibile vittima, in un ambiente in cui l’incontro con altre forme di vita commestibili risulta essere inerentemente raro e perciò molto difficile da programmare. Verso prede che possono includere, come accennato in apertura, una vasta gamma di animali tentacolati quali seppie giganti o (giovani?) Calamari colossali, per non parlare di una vasta gamma di pesci ossei e persino l’occasionale squalo più piccolo o persino un membro della sua stessa specie. Il che abbiamo avuto modo di desumere, primariamente, dal contenuto dello stomaco degli esemplari catturati accidentalmente poiché nessuno può affermare, per ovvie ragioni, di aver mai visto uno di questi squali nutrirsi all’interno del suo ambiente naturale. Il che ci porta all’essenziale domanda di come mai, esattamente, tale indesiderato evento possa verificarsi tanto spesso, quando dovremmo essere al cospetto di una creatura che vive e si sposta a profondità tanto eccezionalmente elevate. Una questione ampiamente giustificabile dalla cosiddetta migrazione verticale diurna (DVM – diel vertical migration) che porta questi squali a spostarsi verso la superficie nelle ore notturne, per trarre beneficio da acque più pescose quando il calore del sole risulta essere un problema non altrettanto significativo, fino a una profondità minima di 50 metri. Il che avviene primariamente in baie dalla distribuzione cosmopolita, tra cui quelle già citate del Giappone ma anche Nord-Europa, Irlanda, Francia, Marocco, California e persino Tasmania e Nuova Zelanda. Mentre per quanto concerne l’Africa meridionale, nel 2009 è stata individuata una specie distinta ma molto simile dal punto di vista morfologico, costituente l’unica altra manifestazione vivente dell’intera famiglia dei Chlamydoselachidae, genere Chlamydoselachus. Verso la conquista di un areale tanto ampio da determinare la ragione per cui tale essere risulta a rischio minimo secondo tutti gli indici di conservazione internazionali, pur essendo oggettivamente piuttosto raro come determinato dalla stima empirica delle sue catture accidentali. Il che non allontana ad ogni modo totalmente il timore che possa giungere ad essere minacciato prima o poi, in funzione della progressiva riduzione degli habitat naturali rimasti privi di uno sfruttamento umano.
A completare ulteriormente tale problematica, le particolari abitudini riproduttive di questa creatura, che difficilmente potremmo definire prolifica sotto alcun punto di vista rilevante. Trattasi in effetti di pesce aplacentale viviparo, ovvero in grado di tenere le uova all’interno del proprio corpo fino a che i nuovi nati saranno capaci di badare a se stessi. Per un periodo che è stato stimato nei fatti poter raggiungere i tre anni e mezzo, ovvero il doppio di quello dell’elefante e di gran lunga superiore a qualsiasi altro essere di questa Terra. Abbastanza da mettere in dubbio e sfidare ogni concetto precedentemente acquisito sulla natura della vita ed il suo implicito funzionamento.
Animale straordinariamente solitario (come potrebbe essere diversamente, a tali profondità?) Lo squalo dal collare s’industria quindi con modalità a noi sconosciute, e per un numero di volte annue largamente ignote, al fine di trovare un partner riproduttivo. Tutto ciò nel corso di eventi periodici che tendono a svolgersi in corrispondenza di remoti monti sottomarini, come dimostrato da un evento di cattura plurima in prossimità di uno di questi rilievi nel medio Atlantico avvenuto nell’anno 2000.
Tale da spalancare un’ulteriore, piccola finestra sullo stile di vita più unico che raro della più evidente, nonché notevole manifestazione di uno dei più classici mostri marini di questa epoca, se non l’intero trascorso della lunga e travagliata vicenda umana. Durante cui chiunque, in assenza di nozioni scientifiche pregresse, si sarebbe affrettato ad identificarlo come il tipo di creatura che lo stesso Poseidone aveva inviato, per far tacere Laocoonte ed i suoi figli che avevano provato ad avvisare del pericolo i Troiani. Poiché non c’è animale più terribile, che un involucro esterno capace di contenere molte creature più piccole ed affamate di sanguigna gloria. Letterali famelici squali, con lancia, scudo ed alto cimiero, che nessuna seppia avrà mai un’effettiva ragione di temere. Questione di punti di vista, come dicevamo…