La tartaruga con la testa di una foglia che si aggira nell’ameno specchio d’acqua sudamericano

“Perciò vedi stimato collega, se riesci a renderla invisibile, non c’è bisogno che sia veloce” Le sale di Ricerca & Sviluppo del Dipartimento risplendevano della luce impersonale ma perfettamente stabile di almeno due dozzine di lampade al led. L’addetto ai mammiferi pensierosamente, ponderò l’inusitato rettile creato dallo stagista dell’ultima ora, la sua testa minacciosa e aerodinamica come quella di un’astronave aliena. “Ascolta, la sai come la pensano coi nasi godzilliani. Ogni raggio laser è stato severamente vietato.” E qui ci fu una pausa ad effetto: “Dopo il verificarsi… Dell’incidente.” Impossibile dimenticarlo: anche se lui personalmente non era stato presente, l’evento gli era stato raccontato almeno una dozzina di volte. Quando la preoccupata controparte ed il precedente occupante della sua sedia, rispettivamente i progettisti della lepre comune e la tartaruga di terra, avevano deciso di mettere alla prova i rispettivi animali in una sorta di “Gara”. Ma le doti concesse all’animale con il guscio, che il troppo entusiastico padrone aveva scelto di chiamare “Guerriero Nero” aveva sorpreso il pubblico radendo al suolo l’intera sala relax ed almeno un metà del terzo piano. “Di questo, puoi stare tranquillo. La mia creazione non ha poteri sovrannaturali di nessun tipo.” Un piccolo sorriso carico di sottintesi. “A parte la capacità di stare ferma immobile, e scomparire.” L’esperto ricombinatore di codici genetici, al servizio del gran Computer dell’Evoluzione, restò bloccato per un attimo, cercando di ponderare un ossimoro di tale incalcolabile portata. Era il segnale: lo stagista premette il grande pulsante rosso sulla scrivania con sotto scritto “simulazione”. La conversazione si era spostata, all’improvviso, presso il fondo di un torbido torrente nel bel mezzo della foresta pluviale. Entrambi i protagonisti della scena avevano adesso un’altezza approssimativa di 6 cm “Ecco, riesci a vederla?” “Um, si, non è troppo difficile, con il mio occhio esperto.” “E adesso?” La grossa tartaruga, simile a un sottomarino militare, si era spostata impercettibilmente sul fondale. Coperta almeno in parte da un significativo ritaglio d’alghe, in mezzo a pezzi di corteccia e tronchi caduti, pareva soltanto un ulteriore detrito rotolato lì dentro per effetto del riciclo inenarrabile della natura. I suoi bargigli e le sfrangiate creste frontali si agitavano leggere nella corrente “Si, capisco cosa intendi. Ma hai visto le ultime creazioni del reparto Mare, Oceano e Laghi? Quei piccoli pescetti hanno riflessi formidabili. Sono svegli! E resistenti! A meno che la tua magnifica bestia abbia un collo che si allunga come quello di un serpente, e fantastiche capacità masticatorie, non ce la farà mai a prosperare oltre il livello necessario per l’approvazione dei parametri, blah, blah, blah” Mentre parlava, lentamente, l’addetto demiurgo anziano vide progressivamente l’esaurimento della sua enfasi retorica. Adesso un piccolo branco di blenniodei, buffi piccoli abitanti dalla livrea variopinta e gli occhi sporgenti, si avvicinavano inconsapevoli alla sua posizione. Il guscio vagamente piramidale ruotò lentamente su stesso di una cifra approssimativa di 36 gradi. La sporgente proboscide della creatura prese a sollevarsi come la minacciosa canna di un cannone d’artiglieria. Le fauci presero ad aprirsi e senza alcuna soluzione di continuità, all’improvviso, il pesce era sparito. “Non vorrai dirmi che…” Oh, si. Eccome. “Praticamente, l’avrebbe…” Certo, adesso la questione si faceva maggiormente chiara. Ogni bisogno di rincorrere una preda diventa essenzialmente superfluo, quando si possiede la risorsa irresistibile di un potentissimo risucchio.
Vagamente simile, nell’aspetto complessivo, alla ben nota tartaruga alligatore nordamericana (Macrochelys temminckii) ma con uno stile di vita maggiormente simile all’assai più aggressiva e pericolosa testuggine azzannatrice (Chelydra serpentina) la straordinariamente distintiva ed innocua per l’uomo abitatrice dei fiumi del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco viene spesso definita con il suo nome nella lingua Tupi dei nativi, di matamata (o mata-mata) il cui significato parrebbe allinearsi col concetto stranamente tecnologico di una “morsa”. Nomenclatura preferita anche perché la definizione scientifica, fin dall’epoca della sua scoperta nel 1741, è variata un gran totale di almeno 14 volte in un periodo di due secoli, giungendo a fissarsi su Chelus fimbriata dal 1992 e in un periodo di stasi destinato a durare soltanto fino al 2020, quando l’individuazione di una serie di differenze genetiche ed esteriori ha portato alla classificazione della nuova specie Chelus orinocensis, tassonomicamente distinta rispetto alla popolazione principale di queste creature. Entrambi esseri perfettamente adattati, dal punto di vista di ogni loro singolo tratto rilevante, alle caratteristiche specifiche di un determinato ambiente, più unico che raro. Nel quale potremmo giungerle a definire, ponendo delle non eccessivamente arbitrarie linee di demarcazione, l’espressione perfettamente apprezzabile, per quanto quieta e facile da soprassedere, del perfetto ninja predatore…

Con la testa piatta per nascondersi, ma non per questo priva di un certo alone di minaccia aerodinamica inerente. Non per nulla, i parlanti di lingua spagnola sono inclini a definire l’animale con la traduzione dell’omofono significante, arrivando all’espressione tartaruga “uccidi-uccidi”.

Con una propensione alla furtività che inizia dalla punta del suo naso con aperture frontali vagamente porcine, posto al termine di una lunga proboscide geometricamente immacolata, la matamata ha dunque appreso attraverso i secoli e millenni il tipo e la quantità di vantaggi che possono derivare dal non dover mai emergere per respirare. O per meglio dire, tirare fuori il resto del suo corpo bitorzoluto dalla lunghezza di fino a 45 cm, quando soltanto il primissimo segmento dello stesso può bastare ad eseguire l’operazione tanto necessaria per chiunque possieda suo malgrado un paio di comuni polmoni. Ma ben nascosti, nel suo caso, sotto la scorza criptica di un dorso concepito per assomigliare il più possibile ad un pezzo di corteccia, tale da favorire il principale approccio nutritivo dell’animale. Un’illusione ulteriormente potenziata dalla colorazione verde-marrone del carapace, spesso ricoperto di alghe ed altre forme di vita vegetale, ad accrescere ulteriormente la sua funzionalità del tutto paragonabile a quella di una ghille suit. Laddove in modo assai curioso, i nuovi nati di entrambe le specie vengono piuttosto al mondo di un colore rossiccio piuttosto visibile ed incapace di assorbire la luce, che forse tende a fare affidamento sulle doti aposematiche di quel colore. La sua improbabile testa, che pare quasi essere stata prelevata dal mondo artropode degli insetti, potrebbe quindi tendere ad assomigliare alla foglia di uno qualsiasi degli imponenti alberi pluviali, con occhi piccoli e distanti, capaci di concedergli un campo di vista eccezionalmente ampio, benché le sue capacità visive siano state dimostrate essere tutt’altro che eccezionali. Eppure con un significativo punto di forza, almeno: la presenza di un tapetum lucidum, il fondo riflettente tanto strettamente associato ai felini domestici e che gli garantisce la capacità di cacciare altrettanto abilmente nella penombra del crepuscolo o persino al buio, sebbene non si tratti in modo specifico di un predatore notturno.
Per quanto concerne d’altra parte l’aspetto riproduttivo, unica mansione nella vita che pare capace d’invogliare questi maestri dell’imboscata a spostarsi dalle loro acque territoriali d’appartenenza, intraprendendo di fronte all’esemplare di sesso femminile una sorta d’affascinante danza, con il collo esteso ritmicamente e le zampe agitate da una parte all’altra, mentre la bocca si apre e chiude in maniera semplicemente conturbante. Una volta accettato tale corteggiamento semplicemente irresistibile, e praticato il ragionevolmente pratico accoppiamento (lo stesso dorso del maschio, a tal fine, risulta essere lievemente convesso) la consorte sedotta e abbandonata non potrà far altro che uscire temporaneamente dall’acqua, per andare a deporre tra le 12 e le 28 uova tra la materia vegetale marcescente. Dove rimarranno, per un periodo straordinariamente variabile, fino all’inizio della successiva stagione delle piogge, in una notevole dimostrazione del processo biologico della diapausa. Nessun tipo di cura genitoriale è tuttavia prevista per i piccoli, che fin dal primo giorno d’esistenza dovranno dimostrarsi perfettamente capaci di cacciare e sopravvivere facendo affidamento soltanto sulle proprie forze. La durata della vita, ignota in natura, è stata dimostrata aggirarsi sui 15 anni totali in cattività.
Del tutto priva di alcuna situazione di pericolo per la sua conservazione, per sua e nostra fortuna, la tartaruga matamata risente tuttavia degli inevitabili problemi di qualsiasi altra creatura dipenda da un habitat altamente specifico e soggetto a sfruttamento non responsabile da parte dell’odierna civiltà umana. Catturata frequentemente per il mercato internazionale e l’esposizione negli zoo, dove offre uno spettacolo senz’altro accattivante, questa creatura risulta essere inoltre straordinariamente difficile da accudire in condizioni controllate, necessitando di un’acqua dal giusto contenuto di tannino ed una precisa acidità, deviando dalle quali non ci metterà molto a deperire e passare all’altro mondo. Ciononostante, per chi riuscirà a comprenderne i bisogni, la tartaruga potrà diventare una valida ed efficace compagna di vita, vista la sua ben nota e relativamente elevata intelligenza.

Con la sua proboscide a punta la matamata è alla base d’innumerevoli draghi fantastici, mostri possibili e kaiju. Non ultima la creatura inusitata del film Cloverfield, o gli antagonisti catastrofici di Pacific Rim.

Il collega e superiore guardò quindi la creazione dello stagista, i pesci rimasti, poi di nuovo quella sagoma impressionante e ricoperta di escrescenze tubercolari, vere o presunte. “Funziona come un aspirapolvere, vero?” “Non proprio. Il concetto è anche più semplice: la tartaruga spalanca la sua bocca in modo abbastanza veloce da creare un’area di bassa pressione, che tendendo a colmarsi spontaneamente, attira verso di se il pesce.” Interessante. Notevole, persino! Una creatura mimetica non ha bisogno di muoversi rapidamente quando possiede la dote innata di colpire più veloce del fulmine stesso. Guarda i serpenti… “Credo che tu abbia fatto un ottimo lavoro, davvero eccellente.” Disse allo stagista, con la massima cordialità apparente. “Adesso è ora di tornare indietro, direi.” Il giovane collega, soddisfatto, premette il grosso pulsante sull’orologio, che avrebbe dovuto riportarlo a dimensione naturale fuori dall’ombroso corso d’acqua virtuale. Ma l’oggetto tecnologico, per qualche ragione, non funzionava più a dovere. L’addetto del Dipartimento che l’aveva accompagnato in tale breve viaggio, per qualche ragione, l’aveva abbandonato. Lasciandolo solo con la sua… Creazione. Improvvisamente cosciente della sua dimensione momentaneamente un po’ troppo simile a quella di un gustoso pesciolino blenniodeo, lo stagista ripensò a quello che diceva sempre suo padre: “Salta sempre il midde-management, porta le tue idee direttamente al capo. O potresti finire nella pancia di un alligatore australiano. O roba simile.” La morte: nient’altro che un contrattempo, per gli addetti demiurghi del Dipartimento. Ma abbastanza perché qualcun altro, ormai ben oltre il vertice più alto della sua carriera prossima al tramonto, possa tentare d’introdurre i dati al tuo posto nel grande Computer dell’Evoluzione.

Lascia un commento