Navi che si aggirano a vicenda, come lupi affamati nella tundra. Il tuono rimbombante di bordate poderose, che attraversano lo spazio tra le onde disegnando traiettorie di distruzione ed annientamento. Di tanto in tanto, questi ammassi di sartiame, legno danneggiato e vele strappate si avvicinano l’uno all’altro. E con un balzo speranzoso verso l’obiettivo della gloria, si aggrappano con tutte le loro forze ad uno dei propri nemici. Mentre gli uomini dell’equipaggio, un coltello tra i denti, una pistola nella mano destra ed una sciabola nella cintura, compiono il percorso lungo quella stessa passerella che, nell’immaginario piratesco, veniva utilizzata per far fare ai traditori ed i codardi il primo passo irrecuperabile verso lo stomaco degli squali. Con ottime ragioni, potremmo aggiungere: poiché non v’è stato più precario, di quello di un marinaio che dovesse trovarsi momentaneamente fuori dai confini della propria imbarcazione, per tutta una vasta serie di ragioni possibili, ma non ancora oltre il parapetto della sua destinazione elettiva. Quando alte onde improvvise, una manovra inappropriata, un colpo di vento o più semplicemente un mero scherzo del destino, rappresentano tutto ciò che potrebbe servire al fato per far calare sulla sua testa il sipario ondeggiante dell’oceano percorso da un inquieto momento di fame. Per poi essere auspicabilmente ripescati (improbabile in una battaglia) o più semplicemente sprofondare inermi verso gli accoglienti recessi del palazzo cristallino del dio Nettuno. Un rischio che può definirsi altrettanto pressante, benché meno probabile, ai nostri moderni tempi delle operazioni marittime, che vantano al partecipazione di una fetta significativamente maggiore della popolazione globale, con conseguente aumento statistico del rischio d’errori. Soprattutto qualora s’immagini la delicata casistica, tutt’altro che infrequente, di una o più persone che dovessero o volessero salire a bordo di un oggetto inerentemente stabile in un mare in tempesta, mentre il loro scafo di partenza oscilla pericolosamente preso nel formidabile respiro acquatico della natura. Ovvero in altri termini, quella che viene generalmente definita piattaforma di trivellazione, mantenuta ferma tramite un sistema estremamente complesso di ancore o persino poggiante direttamente sulla roccia sottostante del fondale, perforata con l’equivalente tecnologico della proboscide di una zanzara. Il che, considerati i significativi interessi economici che ruotano attorno ad un simile tipo d’operazioni, è stato per lungo tempo alla base dell’elaborazione di approcci ingegneristici alla natura più profonda del problema, fino al raggiungimento di quello che potremmo quasi definire il Santo Graal dell’intera faccenda, se la coppa sacra potesse assumere l’aspetto di un artropode meccanico ed idraulico capace di far muovere con chiarezza d’intenti un oggetto oblungo dal peso approssimativo di fino a 100 tonnellate: la suddetta passerella, reinventata. In un qualcosa che di certo non sfigurerebbe in una narrazione fantastica sulle creature robotiche incaricate d’invadere la Terra…
La compagnia olandese Ampelmann, nata nel 2007 dopo i cinque anni trascorsi nel perfezionare il prototipo creato impiegando le risorse tecniche ed umane dell’Università di Delft, è dunque riuscita ad immaginare questo meccanismo capace di mantenersi perfettamente stabile indifferentemente dalle posizioni relative dei propri sobbalzanti punti di partenza e d’arrivo, tanto da poter permettere, idealmente, un trasferimento di personale “Semplice come attraversare la strada.” Che non è poi la mera mission aziendale bensì l’effettiva origine del suo nome stesso, visto come si tratti di un diretto riferimento al beneamato personaggio tedesco Ampelmännchen (il piccolo uomo del traffico) figura stilizzata col cappello tradizionalmente ritratta nei semafori pedonali per chiarire la loro funzione agli abitanti dell’intero Centro Europa. Una creazione risalente alla seconda metà del Novecento con origine presso il territorio occupato della Germania Est, presso la quale si diceva ritrarre niente meno che il suo capo di stato a partire dal 1971 Erich Honecker, ispirandosi a una sua celebre fotografia con indosso un riconoscibile copricapo panamà. Che oggi compare, su una luce di via perfettamente analoga, anche sopra queste surreali piattaforme, in grado di mantenere l’orizzonte perfettamente stabile per gli utilizzatori quando esso avrebbe dovuto essere tutt’altro. Una soluzione scaltra, ed innegabilmente efficace, ad un problema che ha per lungo tempo condannato l’umanità in mare…
Volendo quindi attribuire una definizione e descrizione più approfondita al tipo di tecnologica che possiamo ammirare in funzione nel corso di questi video, possiamo definire l’intero sistema come un’applicazione pratica del concetto di piattaforma Stewart o Cappel scaturita a seconda dei punti di vista dalla pubblicazione del primo, o la trattazione informale del secondo tra i due eponimi scienziati, di nazionalità rispettivamente inglese ed americana. Un essenziale sistema robotico composto da sei attuatori prismatici, in genere di tipo idraulico o lineare, connessi alla superficie d’appoggio ed una piattaforma o carico superiore da una serie di giunti cardanici (o “universal joints“) di un tipo sostanzialmente identico a quelli concepiti originariamente nel III secolo a.C. dal pensatore Filone di Bisanzio, al fine di trasferire un movimento rotatorio tra due assi distinti, probabilmente all’interno della macchina di un tipico mulino dei tempi antichi. Quando lui mai avrebbe potuto immaginare il più caratteristico e singolare impiego di un simile meccanismo nell’epoca dell’informazione, all’interno di un congegno simile utilizzato principalmente nei simulatori di volo. Questo per l’acclarata semplicità con cui una piattaforma Stewart può inclinarsi da una parte oppur l’altra, rispondendo a una serie di input che possono facilmente essere determinati da un programma incaricato di perpetrare l’illusione: l’utile e istruttivo sogno di trovarsi all’interno di una cabina aeronautica, soggetta al proprio stesso controllo ancora privo d’esperienza pregressa. Fu dunque proprio il gruppo di ricercatori che avrebbero in seguito creato la Ampelmann, nell’ormai remoto 2003, a pensare per primi di capovolgere un simile meccanismo e piazzarlo sopra il ponte di una nave, creando in questo modo i presupposti per garantire la stabilità proprio dove, causa un principio stesso della scienza e della natura, mai prima d’ora poteva esserci stata. Il tutto compensando con rapidità ed efficienza, mediante una serie di accelerometri e processori informatizzati, marosi causati da velocità del vento pari o inferiori a 38 nodi. Naturalmente la prima versione dell’idea, chiamata il Demonstrator, poteva operare soltanto su scala ridotta e con limitate applicazione nel mondo reale, se non che a partire da un primo progetto e relativi finanziamenti per la creazione di un sistema utilizzabile nel Mare del Nord, la Ampelmann avrebbe iniziato ben presto a fare le cose in grande. Fino alla creazione nel 2008 del suo più iconico e diffuso modello A-Type, nient’altro che il “ragno” esapode sovrastato da una passerella telescopica usata per raggiungere il punto di sbarco da una o due persone alla volta, piuttosto che sollevare carichi limitati dal peso inferiore ad una tonnellata. Risale quindi all’anno successivo la creazione di un proprio impianto produttivo non troppo lontano dalla città di Rotterdam, seguito dalla creazione di una serie di modelli realizzati ad hoc per una vasta gamma di possibili circostanze d’impiego. Di lì a seguire, con una vasta e progressivamente più ampia serie di collaborazione, l’azienda olandese avrebbe quindi creato versioni progressivamente più grandi della stessa basilare idea di partenza, fino all’imponente E-Type, o capaci di vantare un’estensione verticale maggiore per favorire l’intervento alle pale eoliche offshore, o ancora piattaforme di carico e trasporto prive di passerella o braccio, ma proprio per questo capaci di mantenere perfettamente stabili fino alla cifra impressionante di 900 tonnellate.
Apparecchi validi che nascono da una percezione realistica di quali possano essere i problemi da affrontare in un contesto marittimo, riducendo sensibilmente i costi operativi e soprattutto, il rischio possibile d’incidenti. Laddove questi ultimi, come possiamo facilmente approfondire mediante il mezzo di Internet, siano tutt’altro che impossibili con passerelle tradizionali considerata l’ampia gamma d’imprevisti che possono verificarsi in mare. Vedi ad esempio il caso citato dalla Commissione Inglese per la Sicurezza Marittima UK-MAIB, e riportata nel 2019 dal portale del settore Safety4Sea, in cui due persone sono cadute in mare, ed una di loro ha purtroppo perso la vita, a seguito delle vibrazioni armoniche causate dal peso eccessivo degli occupanti, tale da far perdere il punto d’appoggio al rullo di scivolamento posto presso il molo utilizzato per lo scarico delle merci dal bastimento. Ed immaginate soltanto quanto esponenzialmente più complessa, ed innegabilmente pericolosa, possa essere la stessa operazione da compiersi a vantaggio di una piattaforma sopraelevata offshore.
Tecnologia pratica al servizio delle persone, di un tipo che il vasto campo della robotica raramente riesce a vantare nel novero del repertorio pubblicato dai maggiori politecnici ed università odierne. Risultando piuttosto popolata il più delle volte di bizzarre macchine motrici, o fantastiche creature antropomorfe come l’ormai celebre robot Atlas della Boston Dynamics, il cui obiettivo principale sembra essere stupire il mondo tramite la partecipazione ad una ricca serie di esibizioni per il popolo di YouTube.
Ma se è vero, come si dice, che i veri eroi non portano il mantello, altrettanto può essere detto dei ragni di metallo. Ben diversi da quel tipo di macchine spropositate accese nel profondo sottosuolo per la ricezione di un segnale proveniente dal nascosto impero marziano. Creature che ancor prima di dar vita all’ampiamente teorizzata guerra dei mondi, faranno tutto il possibile per avviarci verso una felice e pratica risoluzione del nostro irrisolvibile dramma quotidiano: come riuscire a fare quelle cose per cui l’uomo non è stato mai preparato da alcun tipo di processo evolutivo inerente. Che è poi il sinonimo effettivo del concetto stesso di creatura senziente. Il suo desiderio. La sua ambizione. Il suo amato, e tanto spesso irrinunciabile, petrolio.