Il nido del cuculo che protegge dalle vipere i giardini dell’Asia Meridionale

Il sergente Cuff, famoso detective al servizio di Scotland Yard, fece un passo all’interno della stanza di Rachel Verinder, la giovane nobildonna che aveva appena terminato di festeggiare il suo ventesimo compleanno. Con un’espressione accigliata guardò prima la finestra al terzo piano dotata di sbarre, quindi la pesante porta d’ingresso che ogni persona coinvolta gli aveva garantito, era rimasta chiusa fin dal termine del ricevimento. “Signore, deve credermi: la preziosa pietra indiana che indossavo la sera scorsa era stata posta al sicuro sopra il mio comodino. Nessuno avrebbe potuto entrare in questa stanza senza scassinare la porta e come ha avuto modo di vedere, la serratura era intatta.” Terminato il giro, raccolte attentamente le idee, l’investigatore passò quindi in rassegna i servi della magione appartenente alla madre della ragazza, vedova dalle risorse finanziarie niente affatto indifferenti. L’oggetto in questione tuttavia, incorporato in un gioiello proveniente dalla remota città di Seringapatam, era una proprietà del colonnello Herncastle, fratello di Rachel con cui Cuff si era già confrontato all’inizio del suo sopralluogo. Persona alquanto sgradevole e superba, il cui orgoglio appariva pari soltanto alla soddisfazione di aver sottratto un oggetto sacro dal tempio locale dedicato a Chandra, Dea della Luna. “Non c’è ragione di credere che alcuno dei presenti abbia compiuto il gesto.” Spiegò quindi l’uomo, dopo aver escluso i suoi principali sospetti in merito al maggiordomo e la seconda cameriera, tra le velate proteste dei padroni di casa. Quindi, dopo una breve pausa ad effetto, indicò verso la porta che conduceva in giardino. “Fossi in voi, piuttosto, manderei qualcuno a controllare in mezzo agli alberi in giardino. Credo che il colpevole abbia nascosto la gemma all’interno della sua casetta di rami e sterpaglie simile a una cesta intrecciata…” Stupore, perplessità tra i presenti, quindi un’improvvisa esclamazione di sorpresa. Quando il baldanzoso uccello nero e marrone, con la forma approssimativa di un grosso corvo e gli occhi rossi come la fiamma di un camino, varcò la soglia socchiusa del salone d’ingresso, per emettere una serie di suoni dal profondo carico d’evidente rimprovero: “Coo, coo; coo, coo” espresse con fare disinvolto, ovvero [questa storia è durata abbastanza] “Coo; coo, coo, coo” [La mia Signora esige soddisfazione] “Coo!” [Il suo simbolo, o sibilanti esseri, dovrà tornare da dove era venuto.] Quindi il messaggero provenuto da possibili narrazioni parallele sollevò il grosso e appuntito becco, del tutto indifferente alle ragioni dell’intreccio di quello che all’insaputa di tutti, sarebbe diventato il primo romanzo giallo della storia. E spalancando le sue ali, si voltò e sollevò in volo, non senza una certa pesantezza di movenze mentre già sbiadiva pallido nella diffusa luce notturna. Ne aveva avuto abbastanza, dopo tutto, di questi “Inglesi”.
Agili, d’altra parte, non sono. Né particolarmente eleganti, sebbene dotati di una certa grazia innata donatogli dai propri inconoscibili trascorsi evolutivi. I cosiddetti cuculi fagiano, il cui esponente prototipico è il Centropus sinensis o cucal maggiore, vista tutt’altro che comune, per non dire del tutto improbabile, negli immediati dintorni della grande città di Londra. Ma piuttosto frequente in tutta l’India, il Sud-Est Asiatico e il vasto arcipelago dell’Indonesia, vantando un areale impressionante di oltre 6 milioni di chilometri quadrati pari a circa un quinto dell’intero Vecchio Mondo, sebbene siano pochi a poter dire di saperlo riconoscere da questo lato della penisola d’Arabia. Una creatura giudicata fin da tempo immemore portatrice di presagi, col suo richiamo gutturale vagamente simile a quello di un gufo, e il contegno predatorio che la porta a proteggere ferocemente i territori scelti come proprio terreno di caccia. Entro cui razzolare, per non dire pattugliare con la più assoluta inflessibilità, ogni recesso potenzialmente occupato da vermi, insetti, piccoli mammiferi e rettili non altrettanto piccoli. Essendo largamente comprovata, e talvolta anche sfruttata dall’uomo, la ben nota predilezione del volatile per la carne di serpente…

Benché poco propenso al volo, il cucal maggiore è solito sollevarsi fino all’altezza di una decina di metri per costruire il suo nido sui rami degli alberi. Ben capendo il rischio che potrebbero correre, altrimenti, i nascituri.

Cobra, vipere, tiflopidi (anche detti serpenti ciechi) e persino piccoli di boa e pitone: nessuno pare immune alla feroce ricerca costante da parte di questi carnivori di cibo per se stessi e i propri piccoli, generalmente derivanti dalle 5 o 6 uova deposte stagionalmente dalla coppia rigorosamente monogama dei loro genitori. Esteriormente identici ed entrambi caratterizzati dalla stessa forma aerodinamica con coda lunga ed ali all’apparenza sufficienti a librarsi, sebbene loro preferiscano nella maggior parte dei casi spostarsi camminando sul terreno, grazie all’uso delle zampe estremamente forti e ben sviluppate. Una caratteristica tale da renderli strettamente associati alla fauna di determinate regioni boschive, dove abbonano i nascondigli adatti a proteggersi da sguardi eccessivamente indiscreti o la caccia indiscriminata del loro più pericoloso nemico. Sebbene resoconti relativi all’esperienza coloniale dei soldati britannici per tutto il XIX secolo contengano il racconto di come i soldati fossero soliti sparare a questi apparenti esponenti della stessa famiglia dei migliori uccelli serviti nei banchetti nobiliari, riportando invece el’estrema e indesiderata sorpresa di un gusto particolarmente sgradevole, tale da far definire l’uccello con l’espressione dispregiativa di “Griff’s pheasant” (Fagiano del bastardo). Il cucal maggiore è infatti un membro di tutt’altra famiglia volatile, quella certamente inaspettata dei Cuculiformes ed il relativo singolo genere, sebbene rappresenti l’eccezione a numerose regole che potremmo desumere da tale classificazione. A partire dalla totale assenza, nel comportamento della sua genìa, del ben noto parassitismo genitoriale, che porta i più famosi occupanti in effige dei migliori orologi svizzeri a deporre le proprie uova nel nido di qualcun altro, sfruttando diabolicamente l’innata benevolenza di altre specie pennute. Risultando piuttosto lui stesso la vittima di un diverso tipo di scorribande, quelle compiute nella sua casetta dal corvo della giunga indiana o C. macrorhynchos culminatus.
Il cucal risulta nel frattempo suddiviso in cinque sottospecie, abbastanza diversificate tra di loro da aver fatto sospettare taluni naturalisti che possa trattarsi di animali geneticamente distinti. Tra cui l’intermedius del Bangladesh, di dimensioni medie e caratterizzato dalla presenza di striature negli esemplari ancora troppo giovani per possedere la livrea definitiva. O il parroti dell’India peninsulare, sensibilmente più grande e monocromatico nell’età giovanile, seguito kangeangensis dell’eponimo arcipelago nel mare di Bali, le cui piume virano talvolta a colorazioni grigio pallido piuttosto che il nero notturno dei suoi simili. Passando per il bubutus malese e l’anonymus delle Filippine, entrambi dalle dimensioni maggiormente contenute ma distinguibili dalla tonalità del marrone sulle ali, più scuro nel caso del secondo. Abbastanza da presentare una serie di possibilità evidentemente diversificate, sebbene le abitudini comportamentali e la dieta dell’uccello restino sostanzialmente invariate. Molto diverso, d’altra parte, riesce ad essere il significato mitologico e folkloristico attribuito alla creatura, che la vede variare dal fortunato presso il subcontinente indiano fino al malaugurio delle parti meridionali della Cina dove si crede annunci sempre un qualche tipo d disgrazia, in assenza del mito positivo relativo alla sua creazione. Che lo vedrebbe, secondo il credo induista e soprattutto il culto del Dio Krishna, come una manifestazione terrena dei raggi della Luna stessa con il nome di Chakora, con cui viene citato anche nel poema epico Mahabharata, nella sua personificazione terrena (Avatar) di un uomo dalle notevoli risorse finanziarie, che fu accolto nel regno iperboreo dalla sua futura consorte Chandra, figlia del saggio ed asceta Atri. Possibile origine del mito secondo cui il canto del cucal maggiore possa anticipare un grosso guadagno inaspettato, nonché l’antico metodo consistente nel legare a un albero con una catenella di ferro un membro della coppia volatile. Ciò affinché il partner, recandosi presso il fiume più vicino, possa far ritorno a salvarlo mediante l’utilizzo di una misteriosa e magica radice, che apparentemente sarebbe in grado di trasformare gli anelli metallici in oro. Una strana interpretazione del principio alchemico della trasmutazione, certamente problematica per il suo presunto esecutore naturalmente privo di alcun interesse nei confronti dei desideri e le tribolazioni umane. Ma quando sei un uccello magico, si sa, devi pur sempre offrire un qualche tipo di soddisfazione ai meri mortali…

Occupante familiare dei giardini dell’India, il Sud Est Asiatico ed alcune regioni della Cina, il cucal viene generalmente accolto in modo benevolo per la sua funzione di eliminatore biologico d’insetti e rettili indesiderati. A meno che i padroni del terreno siano scaramantici, nel qual caso la faccenda tende a farsi più complicata…

Nessuno può immaginare in effetti da dove Wilkie Collins, autore londinese, avesse preso nel 1868 l’idea per il suo racconto “The Moonstone” (la Pietra della Luna) destinato ad essere pubblicato, con un ottimo successo di pubblico e critica, sulla rivista narrativa di Charles Dickens, All Year Round. Diventando in tale modo un importante precursore del concetto di mystery novel, con il caratteristico schema di progressione procedurale, in cui il lettore viene indotto a immaginare il colpevole attraverso un susseguirsi di complicati indizi e false piste, finché nel finale scoprirà, assieme all’investigatore protagonista, l’effettivo autore del furto titolare.
Che dovrà sempre e preferibilmente essere, a partire da quel fatidico momento letterario, un personaggio di tipo rigorosamente umano, per poter dire di aver giocato le proprie carte autorali con assoluta razionalità e secondo le regole dell’assoluta ragionevolezza. In assenza delle quale, come ci si sarebbe mai potuti aspettare che il lettore potesse vincere a quel gioco dalle regole non scritte? Forse proprio per questo, in Oriente, il romanzo giallo avrebbe preso piede soltanto molto più tardi. Là dove mito e leggenda, tanto spesso, riescono a compenetrare e confondersi con la realtà tangibile del mondo. Rendendo vagamente incerto tutto ciò che era sicuro. E attribuendo voci ancestrali agli alberi, gli uccelli e addirittura le pietre preziose. Abbandonate trascuratamente, con la finestra aperta, sopra il piano dei comodini.

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