Sfruttando le odierne pregresse archeologiche e gli ultimi ritrovamenti di resti risalenti alla Preistoria, possiamo dire oggi di conoscere piuttosto accuratamente il luogo d’origine, ed i progressivi movimenti, delle prime inquiete comunità umane. A partire dalla prima manifestazione dell’Homo sapiens, 200.000 anni fa in Africa e lungo l’itinerario successivo delle migrazioni indoeuropee, evento alle radici delle plurime culture da cui derivano entrambi i “mondi” attualmente riconosciuti: Oriente, Occidente. Ma se osserviamo la cronologia approvata per quanto concerne le regioni del Nuovo Mondo, il verticale continente americano, colonizzato circa 15.000 cicli a questa parte cominciando dal settentrione, appare particolarmente evidente l’attraversamento dell’Oceano tramite l’impiego di un perduto ponte di Terra, quello che il mondo accademico è solito chiamare Beringia (per il suo estendersi oltre lo stretto di Bering) ma che i teorici della storia alternativa, i cospirazionisti ed i cultori della teoria extraterrestre non esiterebbero a chiamare Atlantide, Mu o altri nomi strettamente interconnessi a popoli e culture che si affollano nella mitologia ereditata dai nostri antenati. Così appare chiaro il ruolo del più vasto spazio circondato da terre emerse, che oggi ha il nome di massa continentale eurasiatica, come luogo di transito per le popolazioni, cronologicamente corrispondente grosso modo all’epoca in cui le genti del sud-est si spingevano fino al remoto arcipelago indonesiano. Come parte di un viaggio altrettanto interconnesso a culture monolitiche e ipotetici imperi perduti, di cui la scienza non riesce a presentare un numero abbastanza grande di prove inconfutabili per farli figurare nei libri di storia. Non tutti sono coscienti, tuttavia, dell’alto ed inspiegato numero di siti religiosi, rituali e culturali ritrovati nei luoghi remoti della Russia, dove un clima in grado di oscillare fino a molte decine di gradi sotto lo zero avrebbe fatto sospettare l’assoluta invivibilità degli ambienti, almeno fino ad epoche più recenti. Luoghi come il labirinto di pietra della penisola di Kola, Oblast di Murmansk, oppure le triadi di pietra della montagna di Gorelaya, note fin dall’epoca tardo rinascimentale. Largamente sconosciute, d’altra parte, rimasero per un tempo assai più lungo le regioni nel più profondo entroterra della Siberia, dove le restrizioni ai viaggi imposte fin dall’inizio del secolo scorso impedirono alle spedizioni scientifiche di raccogliere dati, almeno fino all’inizio degli anni ’90, successivamente alla caduta dell’Unione Sovietica. Quando abbiamo i primi resoconti di un particolare sito ad est delle montagne di Altai, non troppo lontano dal confine della Mongolia, dove i resti di quella che potrebbe sembrare a pieno titolo un’antica e monumentale fortezza sorgono in corrispondenza di una cresta del paesaggio, comunemente identificata con il nome di Gornaya (monte) Shoria.
Qualcosa di letteralmente inusitato per un dato più di qualsiasi altro, come sarebbe diventato evidente attraverso i primi approcci e notazioni effettuate secondo le metodologie attuali: l’essere composto, in parte rilevante, da un accumulo di pietre in grado di raggiungere il peso unitario di 3.000 tonnellate: abbastanza da renderle, per larga misura, l’oggetto più pesante mai spostato dall’uomo in epoca pre-industriale. Alti e impressionanti macigni di granito sovrapposti l’uno all’altro, con una chiara suddivisione in entità separate ed angoli retti, proprio come fossero i mattoni di un’odierna costruzione in muratura. E spazi interstiziali a misura d’uomo, quasi fossero i residui di antichi archi e porte, mentre la caratteristica striatura di taluni elementi lascia sospettare l’utilizzo di specifici strumenti, dello stesso tipo di quelli usati a Kola e presso altre iterazioni della lunga migrazione ancestrale nella direzione dell’alba. Una significativa svolta nella percezione, nazionale ed internazionale, di questa significativa anomalia paesaggistica si sarebbe quindi verificata nel 2013, per la notizia ripubblicata su Internet dell’archeologo dell’Università della Florida John Jensen, corredata da una ricca serie di fotografie, di un sopralluogo del celebre scienziato di confine Georgy Sidorov di una recente spedizione verso la Siberia meridionale. Durante cui ebbe modo di verificarsi non soltanto l’importante (ri)scoperta di un simile mistero della Terra, ma anche il verificarsi di alcuni eventi inspiegabili e per così dire, sovrannaturali…
Ne parla lui stesso in un’intervista reperibile su YouTube (la prima parte in calce all’articolo) nella descrizione dello strano senso di smarrimento vissuto dai membri della compagnia e la maniera in cui gli aghi delle bussole puntassero improvvisamente dalla parte opposta rispetto al sito megalitico. Coerentemente alla scoperta ragionevolmente misteriosa di una serie di alberi cresciuti sulle rocce stesse nella più totale assenza di terra, quasi come “fossero stati alimentati dall’energia stessa del pianeta Terra.” Lo stesso tipo di forza che potrebbe essere stata utilizzata, secondo lo studioso, per manipolare il minerale come fosse una sostanza plasmabile a proprio indiscusso piacimento, al fine di ottenere mediante l’impiego di tecnologie perdute la forma finale desiderata. E vi basti sapere come nella sua descrizione del processo, rivesta un ruolo di primo piano un misterioso meccanismo in grado di annullare temporaneamente la gravità. Considerazioni tangenziali a parte, tuttavia, è palese al primo sguardo come il complesso di pietre in questione sia perfettamente in grado di restituire l’impressione di un costrutto dalle origini del tutto artificiali, il che apre la questione ad un diverso approccio interpretativo, quello della scienza geologica applicata. Il che permetterebbe di classificare Gornaya Shoria come un esempio particolarmente significativo, se non addirittura il maggiore al mondo, di quello che in gergo viene definito un tor o kopje, ovvero accumulo di pietre, non erranti, che affiorano in corrispondenza di una sommità collinare o montagnosa, come risultanza di un particolare tipo d’erosione prodotta primariamente dalla pioggia e dal vento. Tale da favorire ed incrementare progressivamente il processo naturale della diaclasi. Termine riferito alla formazione di faglie fino alla trasformazioni in vere e proprie fratture poligonali, che possono variare significativamente nell’aspetto e disposizione, persino in pietre resistenti come il granito, giungendo a generare non poche ipotesi contrastanti sui loro processi di formazione. Ciò detto, non è del tutto impossibile ricondurre la location russa ad un valido esempio della cosiddetta erosione di tipo sferoidale, durante cui le suddette spaccature tendono a formarsi in strati sovrapposti per poi andare a staccarsi successivamente col trascorrere dei millenni come si trattasse di una cipolla, formando singoli “blocchi” chiaramente separati tra loro. Il che del resto manca di spiegare la perfetta forma perpendicolare dei suddetti componenti ed i loro interstizi nel caso specifico, che tante teorie bizzarre si è finora dimostrato in grado d’ispirare.
Sia che la formazione siberiana sia di tipo naturale che artificiale, dunque, appare chiaro come ci si trovi di fronte a un caso più unico che raro, sebbene soltanto il secondo di questi due casi possa risultare sufficiente a riscrivere completamente la storia pregressa dell’uomo. O il suo potenziale contatto, molto accreditato in certi ambienti, con entità o culture provenienti da diversi pianeti e/o piani della materia, di cui purtroppo il repertorio mitologico e folkloristico del locale popolo degli Shors (o Shoriani) non conserva alcuna memoria. Loro che, derivati dai Tatari Kuznetskie, furono più volte sfruttati e repressi dall’imperialismo russo fin dopo l’inizio del XX secolo, prima come manodopera delle locali miniere di oro e carbone, per venire successivamente esiliati, proprio al fine di proteggere le suddette risorse da un numero eccessivo di sguardi indiscreti, poiché si temeva che gli americani potessero tentare d’impadronirsi del territorio durante l’intero periodo della guerra fredda. Enfaticamente portate a convertirsi al cristianesimo dai loro antichi culti sciamanici, queste popolazioni non conservano perciò alcuna memoria delle loro possibili radici sulle alte montagne antistanti, dove altre pietre potenzialmente simili ad un drago ed un grifone sono state datate attorno ai 12.000 anni a questa parte. Il che, molto prevedibilmente, non ha fatto altro che accrescere lo spazio riservato alle teorie più ambiziose per quanto concerne quello che potrebbe essere una delle più notevoli costruzioni ad essere state messe assieme dalla mano umana.
Che è poi la fondamentale natura che si trova alla base del problema stesso. Poiché ogni tipo di osservazione archeologica, come sua finalità principale, dovrebbe avere mettere in relazione le attuali condizioni ad un iter pregresso del percorso storico umano. E cessa di esser utile nel momento stesso in cui nessuna configurazione ipotetica permetta di riconciliare questi due estremi, lasciando solamente l’ombra incombente di un incomprensibile mistero. Mentre persino la geologia, per quanto ci offra validi spunti e nozioni, fallisce nel raggiungere il nocciolo della questione. Eppure deve necessariamente esserci un significato, in tali e tante pietre, che sovrasta in modo significativo l’apparenza delle circostanze pregresse! Mentre le ombre senza tempo e nessun tipo di riposo continuano a misurare il tempo, come l’asta di una meridiana che disegna cerchi presso i silenziosi altopiani di Altai.