Se davvero nello schema generale delle cose, l’uomo, discendente delle scimmie, fosse la creatura più evoluta della Terra, spiegatemi questo: cosa succedeva ai nostri antenati, che in un periodo di magra o siccità tentassero di sopravvivere mangiando erba, radici, licheni? Fibre coriacee di cellulosa e legno letterale, totalmente indissolubile all’interno di quegli stomaci eccessivamente limitati. Confrontate tale situazione con la vita e l’alimentazione delle scimmie mangiafoglie, dette scientificamente Colobinae; loro che, grazie a un sistema digerente completo di fermentazione nel primo tratto dell’intestino crasso, rivaleggiano con i grandi erbivori quadrupedi nella capacità di trarre nutrimento da qualsiasi vegetale. Capacità del tutto irraggiungibile, per coloro che pur definendosi perfetti “onnivori” necessitano di fuoco, coltello, forchetta e soprattutto un’accurata selezione degli ingredienti, prima di azzardarsi a trangugiare un’insalata nel bel mezzo della foresta. Che nel caso di questa celebre specie cinese, per una volta, non è quella umida e invivibile del contesto pluviale, bensì l’ambito montano dell’entroterra continentale, ad altitudini di 1.500-3.400 metri, in aree largamente condivise con un altro dei più grandi e insoliti erbivori di questo mondo: il panda gigante. Ma se il Rhinopithecus roxellana, col suo folto pelo sfumato, la pelle di color acquamarina e la coda prensile ha un particolare rapporto con quegli orsi gentili non possiamo dire che la scienza ci offra particolari nozioni in materia, concentrandosi piuttosto sul particolare stile di vita, l’organizzazione sociale e la biologia del cercopiteco. Una creatura, suddivisa in tre sottospecie distinguibili unicamente dalla lunghezza del suddetto arto retrogado, che ha per lungo tempo popolato le nozioni folkloristiche e i racconti della Cina centrale, proprio come termine di paragone per le alterne tribolazioni della razza umana. Primate di dimensioni medio-piccole con un peso attorno ai 16 Kg, essendo non più alto di 68 cm, questo abitante delle cime degli alberi è per l’appunto sempre stato avvolto da un alone di mistero, tale da poterlo associare al concetto mistico di un popolo della montagna, in grado di spingersi fino a luoghi dove ben poche altre creature riescono a sopravvivere; non a caso, tra tutte le creature quadrimani imparentate alla lontana con la nostra genìa, è quella capace di adattarsi alle temperature più basse, fino a luoghi in cui d’inverno si registrano valori inferiori agli 8 gradi sotto lo zero. Abbastanza da riuscire a complicare la loro esistenza, privandole delle risorse addizionali capaci di far parte della loro dieta, tra cui frutta, foglie e persino l’occasionale fiore. E lasciando unicamente il tappeto muschioso dei licheni e altre piante parassite, oltre all’occasionale cattura di un piccolo mammifero ed uccello. Con un durata di vita misurabile attorno ai 20 anni (non si hanno informazioni specifiche per questa specie) e una maturità sessuale raggiunta unicamente dopo i 5, i nuovi nati tendono d’altronde a richiedere cure attente da parte dei loro genitori per tutto il periodo del primo inverno, rendendo non soltanto opportuna, bensì addirittura indispensabile questa naturale propensione all’adattabilità alimentare.
Suddivisa in tre principali zone del Paese di Mezzo, ciascuna corrispondente ad una delle tre sopracitate varietà, la scimmia dal naso camuso si trova soprattutto nel complesso sistema di catene montuose presso il bacino di Sichuan (R.r. roxellana), tra i monti Qinling nella parte meridionale dello Shaanxi (R.r. qinlingensis) e nell’occidente elevato dello Hubei, particolarmente presso la sezione di Shennongjia (R.r. hubeiensis). Ed in ciascuno di questi tre luoghi, come potrete facilmente immaginare, risulta egualmente minacciato dall’espansione territoriale dell’uomo con le sue incontenibili ambizioni, che tuttavia non potranno mai permettergli di metabolizzare, con la stessa praticità e dimestichezza, le foglie prese dagli alberi sul fianco della montagna. Neanche fossero nella dispensa di un enorme fast-food…
Sessualmente dimorfica, con i maschi più grandi delle femmine e dotati di un pelo maggiormente folto sulle spalle la schiena, questa scimmia presenta quindi una struttura sociale particolarmente complessa ed interessante. Con ciascun branco suddiviso in una serie di collettività indipendenti, che si muovono e vanno in cerca di cibo in maniera coordinata, le quali possono essere essenzialmente di due tipi: composta unicamente da maschi (All Male Unit o A.M.U.) ancora giovani, inesperti o che hanno fallito le tenzoni per riuscire a conquistarsi un harem, oppure con un solo alpha seguito dalle femmine considerate di sua proprietà (One Male Unit, O.M.U.) che tuttavia risultano essere tutt’altro che fedeli. Con un comportamento promiscuo che le porta a spostarsi da un’unità all’altra, risultante alla base di un’importante miglioramento dal punto di vista dell’organizzazione sociale di questi animali. Contrariamente a quanto avviene in molte specie di primati, infatti, i colobi folivori hanno del tutto eliminato l’infanticidio nel momento in cui un nuovo padrone subentra nell’amministrazione del gruppo familiare allargato. Ciò per il semplice fatto che per quanto ne sa, i piccoli tenuti in braccio dalle madri potrebbero anche costituire la sua discendenza, un concetto perfettamente comprensibile per le sue sinapsi abbastanza avanzate. Molto interessante è anche il comportamento delle femmine all’interno di questi gruppi, che risultano più socievoli delle loro controparti maschili, affidando regolarmente i loro pargoli a una serie di fidate aiutanti dello stesso sesso, estremamente collaborative nel proteggerli dall’attacco di ogni possibile predatore. Animali carnivori che includono il lupo, il dhole (canide d’Oriente) il leopardo e soprattutto l’astore comune oloartico, uccello rapace che riesce a piombare improvvisamente quando avvista una possibile preda, ghermendola dalle braccia stesse delle loro atterriti custodi. Ed è per questo che nella struttura comunicativa dei cercopitechi è previsto un particolare grido d’allarme da usare all’avvistamento di un simile nemico, a seguito del quale i maschi più forti dell’intero branco accorrono sulla scena, mentre i cuccioli vengono messi all’interno di un agguerrito cerchio di madri putative. Forse il momento in cui, più di qualsiasi altro, diviene appropriata la definizione anglofona vagamente militarista di troop (truppa) utilizzata comunemente per riferirsi a un gruppo di queste tipologie d’animali. La stessa vita sociale e l’abitudine a dormire in gruppi molto ravvicinati, nel frattempo, costituisce un’importante risorse per la conservazione termica del calore corporeo, particolarmente importante durante le frequenti nevicate che tendono a verificarsi in determinati recessi del loro areale.
Considerate ormai da tempo a rischio nell’indice internazionale dello IUCN, le scimmie dorate costituiscono la prova pratica di come la capacità di adattamento gastronomico, e la tendenza a vivere in luoghi particolarmente remoti, non siano per forza sinonimi di una vita lunga e priva di pericoli. Anche per la caccia tradizionale mai regolamentata da normative specifiche, ma più di ogni altra cosa in funzione dell’industria del legname, che rimuovendo a scopi commerciale i tronchi già caduti naturalmente, toglie dall’ambiente un importante base vegetativa per i licheni, che spariscono perciò dalla dieta invernale delle incolpevoli e maestose abitanti.
Con l’aspetto vagamente alieno o paragonabile ad un teschio in funzione dei loro lineamenti niente meno che bizzarri, queste scimmie risultano del resto animali piuttosto calmi fuori dalle stagioni del conflitto amoroso o territoriale, che trascorrono la maggior parte della loro vita in condizione rilassata sulla cima degli alberi. Avendo soprasseduto, in tal senso, ai molti millenni di battaglie selvagge e laboriose costruzioni operate dalla nostra specie, cosiddetta superiore, presumibilmente avanzata.
Eppure chi può veramente affermare, in tutta coscienza, che la marcia dell’evoluzione ci abbia condotto nella direzione maggiormente proficua per la nostra stessa esistenza continuativa nel tempo? Ora che il pianeta soffre, le risorse scarseggiano e l’ozono si assottiglia. Mentre aspettiamo l’ora dell’ardua & assai drammatica scelta, tra partir verso stelle lontane o metterci a mangiare (come) gli scarafaggi. In cui alzeremo per un’ultima volta i nostri sguardi ad osservare le cime verdeggianti di quegli stessi alberi, pensando in modo malinconico a tutto quello che siamo stati, e che avremmo potuto essere allo stato attuale delle cose. Se soltanto non avessimo deciso, un giorno, d’iniziare a cuocere il cibo.