Attorno alla metà del XIX secolo, un uomo della tribù nativo americana degli Cheyenne viaggiava lungo le ampie valli disabitate dello stato del Wyoming. Quando per riuscire temporaneamente a ripararsi dal sole, scelse di accamparsi sotto l’imponente butte (collina solitaria) di Matȟó Thípila, ovvero letteralmente nella sua lingua “La Tenda dell’Orso”. 386 metri di roccia monolitica sopra il corso del fiume che l’uomo bianco aveva scelto di chiamare arbitrariamente Belle Fourche, così come una tale svettante caratteristica del paesaggio aveva ricevuto l’appellativo, per una traduzione approssimativa e inesatta, di Torre del Diavolo, con riferimento alla nemesi del Dio cristiano. Esausto per il viaggio, l’uomo decise quindi di dormire per qualche ora, accampandosi vicino al teschio sbiancato di un bisonte, che in circostanze poco chiare aveva finito per trovarsi accatastato ad uno degli imponenti depositi di ghiaia e pietrisco alla base della formazione vagamente simile alla base di un grande tronco di pietra, cui la natura aveva chiesto di scomparire. “In questo luogo sacro, e non del tutto benevolo” pensò il viaggiatore “lo spirito totemico avrà cura di custodire la mia presenza.” E senza ulteriore preoccupazioni, scelse di abbassare le palpebre diventate così pesanti. Trascorsa qualche ora e giunto l’attimo del suo risveglio, tuttavia, una scoperta terribile minacciò di lasciarlo immobile per la paura: durate il suo stato d’incoscienza, infatti, una forza misteriosa l’aveva trasportato sulla sommità dell’impraticabile Matȟó Thípila, assieme al cranio dell’animale su cui tanto aveva fatto affidamento. Incerto su come procedere per ritornare a terra, il viaggiatore trascorse un intero giorno senza acqua né cibo, esposto a tutta l’inclemente furia degli elementi. Finché alla ricerca di un tenue appiglio, con un’ultima preghiera nei confronti della Grande Medicina, non poté far altro che addormentarsi nuovamente, ben sapendo che soltanto un ulteriore intervento sovrannaturale avrebbe potuto riuscire a salvarlo. Trascorsa la notte, il viaggiatore aprì di nuovo gli occhi per scoprire di essere tornato alle radici della grande pietra. E quando li volse verso l’alto, scorse il teschio di bufalo in bilico sul ciglio della sommità, unica prova della sua avventura senza nessun tipo di spiegazione apparente. In quale altro modo, dopo tutto, un tale resto animale avrebbe potuto raggiungere la cima di Matȟó Thípila, dove nessun altro piede del tutto umano si era posato fino al giorno precedente?
Nessun piede umano, s’intende, fatta eccezione per quello di un gruppo di ragazze all’origine dei tempi, che inseguite fino a questo luogo dalla massa ciclopica di un orso leggendario, salirono la grande roccia verticale come si trattasse di un’autostrada, per poi pregare il Dio creatore Maheo, detentore della Grande Medicina, affinché potessero raggiungere in qualche modo la salvezza. E fu così che, mentre il feroce carnivoro incideva profondi solchi con gli artigli in quella che sarebbe diventata folkloristicamente la sua eterna dimora, esse vennero trasportate in cielo dalle Sue aquile, venendo trasformate nelle stelle delle Pleiadi remote. Ma la roccia, guadagnatosi una fama imperitura, sarebbe lì rimasta a perenne monito delle generazioni future. Così che leggende simili si trovano in una complessa gestalt nel repertorio delle diverse tribù di questo stato, tra cui i Sioux, i Kiowa ed i Lakota, mentre l’esistenza del butte sarebbe diventata nota agli europei fin dalle remote esplorazioni, effettuate dai cacciatori e possessori di trappole intenti a trarre sostentamento dalle vaste terre selvagge americane. I quali senza alcun’esitazione avrebbero affermato, già da allora, che la Torre non fosse l’opera di grandi spiriti o altre creature irragionevoli, bensì frutto delle operose mani del più temibile tra gli angeli decaduti, Lucifero che regna nel profondo sottosuolo presso cui vengono inviate le anime dannate dei viventi. Entrambe interpretazioni destinate a passare in secondo piano, o per lo meno essere subordinate, di fronte all’interpretazione contemporanea della scienza! Che vede tale orpello paesaggistico come la mera conseguenza di un’intrusione magmatica attraverso gli strati della crosta terrestre, sebbene in circostanze ed un’epoca tutt’ora incerte…
Esistono perciò diversi approcci possibili alla questione della collina magmatica costituita in porfido di Devils Tower (l’apostrofo del genitivo omesso per convenzione dei toponimi statunitensi) situata in una zona che in effetti di vulcanico ha ben poco che risulti ancora osservabile ai nostri giorni. Il più accreditato dei quali, la vedrebbe come conseguenza più che millenaria del fenomeno di un laccolite, ovvero cupola lavica formatasi sotto un friabile strato di terra, a sua volta progressivamente eroso dagli elementi fino all’affioramento di tale struttura considerevolmente più resistente. Mentre altrettanto interessante risulta essere, a tal proposito, l’aspetto “striato” della collina, in realtà dovuto alla pluralità di colonne pentagonali di tipo basaltico che costituiscono la sua struttura esterna ed esterna, di gran lunga le più alte mai osservate o descritte dalla scienza umana. Una tangibile prova della naturale armonia dell’universo, per la maniera in cui adottarono questa riconoscibile forma geometrica al momento del loro primo, lentissimo raffreddamento, così come avviene su scala minore per il fango spaccato dal calore del Sole, o innumerevoli altri casistiche accidentali, soltanto in apparenza prive di un qualsivoglia tipo d’equilibrio inerente. Sensibilmente più svettanti di ogni altra formazione rocciosa simile in territorio americano, sarebbero quindi state proprio queste ultime a rendere la grande roccia celebre attraverso l’intero territorio nordamericano tra gli amanti del turismo e le escursioni nella natura, con gran dispetto dei Nativi che continuavano a praticare negli immediati dintorni loro riti religiosi ancestrali. Una situazione destinata solamente a peggiorare sotto questo aspetto a partire dal 1892, quando l’intero bacino del fiume Belle Fourche sarebbe stato incorporato in una riserva forestale e soltanto 14 anni dopo, per volere del presidente Franklin D. Roosevelt in persona, primo Monumento Nazionale degli Stati Uniti d’America. Una qualifica destinata a caratterizzare, nei lunghi anni a venire ed al conteggio attuale, ben 129 tra luoghi naturali, storici o persino intere regioni del territorio, ma per sempre riconducibile a questa svettante, notevole roccia grigiastra, simbolo importante per il suo toponimo delle fondamentali discordanze tra le culture indigene e quelle provenienti da un diverso continente. Nell’anno successivo del 1893, grazie all’importazione delle moderne tecniche dell’alpinismo, Devils Tower avrebbe iniziato ad essere vista come una sorta di sfida tra i praticanti di simili discipline, portando alla prima ascesa da parte di William Rogers e Willard Ripley, ranger locali, il 4 luglio di quell’anno. Un’impresa imitata da Wiessner, House e Coveney nel 1937, e che pochi anni a seguire avrebbe ispirato un improbabile approccio da parte di un diverso tipo di filibustiere: il paracadutista George Hopkins, fermamente intenzionato a lasciare il suo nome impresso a chiare lettere nella storia. Così che nel 1941, senza permesso e nessun altro preambolo che un scommessa privata con gli amici, si lanciò da un piccolo aeroplano fino alla piatta cima della “tenda” dell’orso, se non che il pacco al suo seguito con la corda di 300 metri, il grande chiodo ed il martello necessario a infiggerlo nel duro porfido del butte, per uno scherzo del destino rotolarono giù dal ciglio del burrone. E un destino dalle conseguenze simili sarebbe toccato al secondo scatolone di attrezzatura, la cui corda si sarebbe ingarbugliata e congelata per la bassa temperatura, diventando inutilizzabile per l’uomo ormai prossimo all’assideramento. Così che sarebbe stata invece un’intera squadra d’alpinisti guidata da Jack Durrance, in una vicenda che fu in grado di distrarre temporaneamente la nazione in piena seconda guerra mondiale, a trarre finalmente in salvo il non troppo assennato avventuriero. Ma la collina sacra, a quel punto, era ormai comparsa su tutti i giornali, colmando della sua apparenza le onde radio e i cinegiornali, come ulteriore capitolo verso la progressione della sua più chiara e intramontabile celebrità. Uno status cementato ulteriormente con il suo ruolo primario nel famoso film di Spielberg del 1977 “Incontri ravvicinati del terzo tipo” fino all’arrivo annuale di molte migliaia di scalatori, estremamente inclini a poter includere nel proprio curriculum una delle dozzine di percorsi, tra l’elementare ed il difficilissimo, tracciati in mezzo alle colonne lungo il trascorrere delle generazioni.
Oggi come allora in bilico tra tradizione sacra e attrazione turistica di tipo naturale, la Torre del Diavolo (se così vogliamo chiamarla) è un punto di riferimento al pari delle più significative opere architettoniche create dalle antiche civiltà di questo mondo. Per un paragone che potremmo facilmente giustificare, considerata l’importanza avuta fin dall’epoche remote per la cultura di svariate civiltà native, tanto a lungo sottovalutate dalla cognizione largamente imprescindibile dell’uomo bianco.
Ma è consigliabile, per chi sceglie di avventurarsi in questi luoghi, farlo con il giusto grado di rispetto e soprattutto in osservanza della convenzione (ma davvero messa per iscritto) di lasciarlo stare durante il mese di luglio, durante il quale si concentrano le principali venerazioni dei remoti discendenti di Maheo, Wakan Tanka e gli altri Dei creatori americani. Dopo tutto, strani teschio di bufalo ancora possono riuscire ad apparire nei momenti in cui si ancora del tutto impreparati, senza chiodi, piccozza o nessun tipo di ramponi ai piedi. E non soltanto i membri in calzamaglia della flotta di remote epoche fantascientifiche, possono sfruttare l’utile sistema del teletrasporto.