Striscia, striscia, non cammina ma striscia. Circondato di aggressivi aculei, che nessuno avrebbe mai la voglia di toccare. Anche se il pericolo che lui contiene, nella subdola realtà dei fatti, trova posto più che altro dentro l’ornamento simile alla piuma di un cimiero, che si trova replicato nella parte frontale, e sul retro dell’animale. I cui peli aguzzi appaiono ritratti dentro l’approssimazione artropode di un anemone di mare, fino all’attimo in cui potrebbe rendersi opportuno agire, onde prevenire l’irreversibile trasferta all’altro lato dell’Esistenza! Già, corposo limacodide, rappresentante della prolifica specie della Doratifera vulnerans (letteralmente dal latino: Portatrice di Dolore…) Nello schema generale dell’ecologia terrestre non v’è controindicazione maggiormente problematica, che abbigliar se stessi come un dolce di mandorle o Viennetta particolarmente appetitosa, in un incarto variopinto dai colori variegati ed intensi. Quando si rappresenta, nel profondo del proprio stesso essere, l’approssimazione di quel particolare tipo di spuntino per la soggettiva percezione di una grande varietà d’uccelli, mammiferi o varie tipologie di vespa parassita. A meno, s’intende, di poter riuscire ad ignorare qualsivoglia tipo di mimetismo, non soltanto con l’intento di riuscire a spaventar l’alato nemico. Ma mettere i fatti, come si dice, nella stessa coppa delle parole, grazie all’urticante, dolorante, potenzialmente letale effetto riservato a chiunque sia abbastanza imprudente, o folle, da tentare la fortuna gastronomica ingoiando l’infernale pasticcino. Andando incontro a una potenza del veleno senza dubbio notevole, ed al tempo stesso tutt’altro che inaudita, persino per simili larve non più lunghe di 2 o 2,5 cm l’una, suddivise in 13 specie molte delle quali originarie, neanche a dirlo, del continente meridionale d’Oceania. In un’ideale insieme di cui fanno parte tutti quei particolari lepidotteri, che durante il corso della loro evoluzione pregressa hanno imparato a caratterizzare la propria gioventù larvale con l’impiego passivo di un particolare cocktail tossico facente parte della stessa biologia inerente. Tale da risultare particolarmente sgradevoli, per non dire sconvenienti, persino al tocco di creature considerevolmente più imponenti, come un essere umano. Ragion per cui simili bruchi, ampiamente descritti attentamente identificati a beneficio dei bambini in tutte le più coscienziose scuole australiane e neozelandesi, sono stati chiamati attraverso gli anni anche Navi da Guerra, per l’armamento di cui la natura ha scelto di dotarli, nonché la forma pretenziosa e vagamente simile a quella di un galeone dell’epoca delle grandi esplorazioni. Mentre quello che nessuno aveva sospettato, almeno fino ad uno studio pubblicato lo scorso maggio sulla rivista di scienze naturali statunitense PNAS (guadagnandosi persino la copertina) da parte di Andrew A. Walker e colleghi dell’Istituto di Bioscenza Molecolare dell’Università del Queensland era come l’effettiva composizione e natura di un simile approccio chimico all’autodifesa costituisse, nella realtà dei fatti, la punta di un iceberg capace di rivaleggiare i più avanzati laboratori per la guerra batteriologica mantenuti segretamente in funzione dalle maggiori superpotenze globali.
Il tutto a partire da un obiettivo piuttosto semplice: scoprire quale fosse l’origine del notevole dolore causato al contatto con il bruco, ben presto identificato in un componente del tutto simile a quello presente nel veleno di molti ragni, una knottina a base di disulfide. Facente parte, nello specifico, del vasto gruppo dei peptidi, una classe di componenti proteici caratterizzati da catene assai variabili d’aminoacidi, famosi per la loro capacità di dare ordini e influenzare significativamente il funzionamento del sistema nervoso. Ragione che giustifica il loro ampio utilizzo nel campo dei cosmetici, sebbene sotto aspetti certamente meno distruttivi di quello sviluppato dal bruco della Doratifera in questione. E soprattutto, non ancora circondato dalla stessa caotica quantità di sostanze simili, tali da costituire una letterale antologia di tutto ciò che esiste di mefitico, e malefico, all’interno del sensibile Universo….
Dal punto di vista ecologico dunque la Doratifera Volans, così come le sue 12 più prossime parenti, non vanta un ciclo vitale particolarmente insolito o distintivo. Messa al mondo in forma di un raggruppamento ordinato d’uova, deposte sulla parte inferiore delle foglie di eucalipto da parte della madre falena rigorosamente notturna per ben due volte l’anno (primavera ed autunno) i piccoli bruchi andranno quindi incontro ad una serie di fasi successive, ciascuna lievemente più imponente e dall’aspetto progressivamente più bizzarro e immediatamente riconoscibile. Mentre di concerto, continuerà a crescere esponenzialmente la loro grande fame. Portandoli dapprima a masticare i bordi delle foglie, quindi seguirne le arzigogolate venature, ottenendo quell’effetto che prende comunemente il nome macabro di scheletrizzazione, per poi passare infine alla consumazione pressoché totale, con conseguenze spesso anche nefaste per la sopravvivenza dell’arbusto stesso, soprattutto se colpito anche in precedenza dallo stesso morbo dallo strano e caratteristico moto deambulatorio. Già perché i limacodidi, come implicato dal loro stesso nome (i.e: “simile a una lumaca”) hanno l’abitudine di spostarsi mediante l’impiego di una parte ventrale in grado di contrarsi ed estendersi ritmicamente, avendo perciò fatto a meno in un momento imprecisato della loro evoluzione del sistema delle pseudozampe, usate da molti altri bruchi per arrampicarsi ed aggrapparsi al bordo dei rametti e delle foglie oggetto della loro indesiderata e disastrosa attenzione. Fino al raggiungimento della dimensione sufficiente, e conseguenti riserve energetiche, da poter passare alla costruzione del bozzolo, da cui deriva l’altro soprannome dell’intera famiglia di “falene del bicchiere” vista la capacità di dare forma ad un letterale recipiente solido, composto di seta ed altre secrezioni dell’insetto, con tanto di coperchio articolato che la sua forma adulta ed alata, di lì a qualche settimana, dovrà occuparsi di aprire come fosse la botola di un sommergibile. Emergendo per passare a perseguire una rinnovata esecuzione della stessa sequenza, verso la perpetrazione ad infinitum del suo inconfondibile stile di vita.
Ciò che si è dimostrato maggiormente in grado di stupire il gruppo di scienziati australiani, tuttavia, non è tanto tale progressione quanto la specifica maniera in cui le larve, attraverso innumerevoli epoche di selezione naturale, sembrerebbero aver risposto alla sfida creando la più invalicabile e stupefacente protezione contro i propri nemici naturali, contrariamente all’idea generalmente diffusa secondo cui i veleni per l’autodifesa tendessero a mantenere una composizione chimica piuttosto semplice, rispetto a quelli posseduti dai predatori. Per un totale di circa 151 tossine per lo più a base proteica (ovvero per l’appunto, peptidi) suddivise in 59 famiglie, con una dimensione unitaria inferiore ai 10 kDA. Caratteristica, quest’ultima, senz’altro opportuna per una simile varietà di veleni disposti tutti assieme sul corpo di un animale non più lungo di un’unghia del mignolo umano. Eppure capaci di causare, tra le altre cose, la disgregazione delle membrane cellulari e conseguente distruzione del contenuto, con conseguenze spesso letali per microrganismi di vario tipo. Ragione che si trova alla base, neanche a dirlo, della potenziale importanza primaria di questa scoperta in due campi superficialmente assai remoti: la medicina e la creazione di nuovi pesticidi.
Come alla scoperta di ogni nuovo magnifico veleno, il problema principale risulta infatti il comprendere quanto di quest’ultimo possa dimostrarsi effettivamente letale, in una serie quanto più ampia di situazioni del mondo reale. In uno studio niente meno che primario, verso l’elaborazione della cosiddetta misura LD50, ovvero la definizione tossicologica di quanta di tale sostanza serva, statisticamente parlando, per causare la dipartita di esattamente la metà di 100 individui di un determinato peso. Per cui sarà possibile capire se nel caso specifico di questo bruco, gli scienziati si sono trovati di fronte all’equivalente chimico di un bisturi, piuttosto che la spada smussata simile ad un grande blocco di metallo (in verità, “Troppo pesante perché fosse possibile chiamarla una spada”) di Berserker-iana memoria. Ovvero uno strumento utile ad uccidere indiscriminatamente tutti gli esseri e microbi indesiderati (co-co-cocciniglia?) così come avviene per molte altre sostanze ri-contestualizzate dalla mano straordinariamente operosa dell’uomo.
Che se ha imparato almeno una cosa nella sua lunga storia pregressa, e di non fidarsi delle cose piccole dall’aspetto troppo ambiziose. Poiché possono agire come fonte dalle idee particolarmente diaboliche, capaci di anticipare l’ora del Crepuscolo e il ritorno degli Apostoli infernali. Come ebbe modo di scoprire, pagando un occhio della testa, il malcapitato mercenario di quella terra lontana….