Particelle in viaggio, spinte innanzi per l’effetto di un vento cosmico che ha mai fine. Il poderoso flusso fluviale del destino. L’incombente concatenazione di causa ed effetto. L’elaborazione del bisogno e del desiderio, che guidano le scelte di ogni essere vivente. In una moltitudine che almeno in questo caso, sembrerebbe agire con intento collettivamente responsabile, verso l’ottenimento del proprio obiettivo finale: raggiungere i pascoli, quindi tornare nei recinti, infine prender posizione, di concerto, attorno a un’ampia serie di abbeveratoi. In quello che potrebbe anche sembrare un singolo piano sequenza, se non fosse per il reiterato cambio di colori e di vegetazione ad ogni singola inquadratura, per una probabile deriva di sito geografico o stagione cosmica apparente. Poiché nei fatti, come viene evidenziato dallo stesso autore Israeliano Lior Patel, questa breve sequenza di poco più che un minuto è un semplice riassunto di svariati mesi di riprese, realizzate mediante il fido drone DJI Mavic 2 Pro per un periodo di ben 8 lunghi mesi, con la probabilità di creare il più formidabile repertorio d’inquadrature, animate o meno, di una delle aggregazioni d’animali più rilevanti per l’uomo. Particolarmente in questi luoghi dove, dagli antichi testi della Bibbia, sappiamo essere stato praticato per svariati millenni l’allevamento sistematico degli ovini, come comprovata fonte di latte, cibo e tessuti da indossare. Con metodologie certamente meno tecnologiche, eppur concettualmente non così diverse da quelle messe ancora in pratica dall’agricoltore e proprietario del gregge in questione Michael Morgan, coadiuvato dal suo socio sudafricano Keith Markov fin dal 1985, in una collaborazione capace di portare le pecore fino al numero assolutamente rimarchevole di 1.750 esemplari. Una parte significativa dei quali possiamo ammirare nelle poche, sintetiche immagini offerte dall’artista senza il pagamento di alcuna royalty, in quello che ha già finito per diventare una via d’accesso internazionale diretta nei confronti del suo abile operato. Perché il video, intitolato Sheep in fast motion parla un linguaggio facile da comprendere per qualsiasi cultura, offrendo un punto di vista insolito nei confronti di un qualcosa che, almeno concettualmente, credevamo di aver già conosciuto abbastanza a fondo. Le dinamiche operative di una moltitudine, almeno in apparenza, capace d’agire come un singolo organismo, che finisce così per ricordare le contorsioni di un qualsiasi sifonoforo o medusa sommersa tra le acque del mondo. Laddove studi analitici pregressi hanno da tempo dimostrato, soprattutto nel corso dell’ultimo periodo storico, come le pecore domestiche siano in realtà animali di notevole intelligenza e profondità emotiva. Tanto da mettere immediatamente in dubbio lo stereotipo, ancora largamente diffuso, secondo cui modellare il proprio comportamento su tale specie possa condurre verso una problematica perdita d’individualismo. Tutt’altra storia, nel frattempo, quella raccontata da ricerche sul campo come quella di studiosi del Royal Veterinary College di Londra (Andrew J. King e colleghi) che nel numero di luglio del 2012 della rivista Current Biology intitolavano il loro articolo proprio Selfish-herd behavior of sheep under threat (Il comportamento egoista del branco di pecore soggetto alla minaccia di un predatore) sviluppando un complesso modello matematico per l’osservazione di come, all’avvicinarsi di una minaccia percepita come un cane appositamente addestrato, ciascun singolo individuo facesse il possibile per spostarsi verso il “centroide” ovvero un punto il più possibile protetto dai vulnerabili corpi dei propri compagni e compagne di vita. Esibendo una fenomenale simmetria operante, così apprezzabile anche nel video di Patel per una lunga serie di ragioni capaci di costituire una costante. Poiché chi può dire, realmente, se siano state le pecore ad adattarsi alla propria vita in cattività, oppure l’uomo stesso, attraverso i lunghi secoli di perfezionamento, a progettare una serie di passaggi e situazioni attraverso cui i propri soggetti animali si comportassero nella maniera di maggiore convenienza per lui… Una ricerca che ha accomunato numerosi popoli attraverso il corso delle Ere, ma forse nessuno più di quello che tanto spesso attribuì l’allevamento di queste utili creature ai suoi più insigni predecessori. Da Abele, secondo figlio di Adamo ed Eva, fino ad Abramo, Isacco, Giacobbe, Rachele e persino Davide, il predecessore di Re Salomone. In un ideale filo conduttore, capace di attraversare ininterrotto il lungo trascorrere delle Ere…
Esperto narratore della vita rurale ed agreste del suo paese dalla sua sede operativa presso la città di Haifa, Lior Patel sceglie dunque in questo frangente di mettere in mostra uno dei lati più storicamente redditizi dell’industria zoologica del suo paese, fin dalla creazione negli anni ’30 della razza di pecore delle Awassi, animali oggi capaci di produrre individualmente fino a 550 litri di latte l’anno mettendo al mondo un singolo agnello, contro gli appena 40 della sua prima incarnazione in cattività. Con un processo di ulteriore perfezionamento successivamente all’indipendenza dello stato di Israele quando attorno al 1955, cominciò a diffondersi una versione ibrida di questa razza grazie ad un’apporto di geni forniti dalle Tedesche Frisoni Orientali, una varietà di pecore straordinariamente produttive e resistenti. Verso la creazione delle nuove Assaf, che pur riuscendo ad emette una quantità di latte inferiore a quella delle loro parenti locali, risultano fino a una volta e mezza più prolifiche, permettendo la crescita di numero dei branchi fino al livello di quello messo in mostra da Patel, particolarmente nella regione da lui scelta, particolarmente verdeggiante e priva di rilevanza strategica nel lungo conflitto nazionale, delle valli nei dintorni di Ramot Menashe.
Ciò detto, lungi dal limitarsi al campo degli ovini, questo consumato artista di riprese e fotografia di droni arriva da un background di almeno 20 anni nel settore, con numerose partecipazioni a mostre di chiara fama, nonché un portfolio, largamente apprezzabile o acquistabile (tramite tutte le più popolari banche dati) mediante il poderoso strumento d’archiviazione che riesce talvolta ad essere questo spropositato e poliedrico Web. In un catalogo ragionevolmente sintetizzato sul suo sito Internet personale oltre al profilo Instagram, capace di spaziare dalle tematiche più prettamente agricole fino al campo marittimo, l’ingegneria e la costruzione architettonica. Tutti ambiti in cui al giorno d’oggi, la predisposizione di un repertorio d’immagini capaci di attrarre la fantasia delle persone può costituire un’importante via d’accesso al marketing, nonché la fondamentale partecipazione da parte di possibili investitori presenti e futuri. Ma è il suo lato più prettamente artistico, che egli riassume sul portale Saatchi Art, a risultare maggiormente rilevante ai fini della nostra trattazione, con un sommario quanto utile riferimento in lingua inglese alla sua poetica, di un fotografo dedito alla “Condizione del Soggetto” (The Subject condition) da lui descritta come l’equilibrio tra cameratismo ed isolamento, unità e disgrazia. Per poi passare a spiegare, in maniera certamente rilevante ai fini del suo celebre video del gregge, la maniera in cui catturare tali aspetti possa richiedere talvolta un breve istante, certi altri, lunghi periodi di appostamento o passaggi multipli dei suoi più utili strumenti volanti. Creativo ben lungi dall’essere soltanto dedito al lato pubblicitario del suo campo, Patel parla inoltre sul suo profilo Facebook delle molte mostre ed esposizioni cui ha partecipato in tempi recenti, in forza della riapertura del suo paese per la conclusione della quarantena da Covid. Con un ritorno a quel mondo che, in tempi antecedenti, gli era già valso tra le altre cose per ben due volte il prestigioso premio Arte Laguna di Venezia, nel 2011 e 2014. Qualcosa che ben pochi tra i suoi colleghi armati di drone radiocomandato, allo stato dei fatti attuali, possono vantare tra le pregresse esperienze dei propri curriculum vitae.
Animali usati tanto spesso come termine di paragone dai popoli, storicamente in senso positivo (il gregge del Signore, l’agnello smarrito…) quindi diametralmente all’opposto (branco di pecoroni, testardo come un ariete…) l’Ovis aries nella sua accezione domestica ha saputo accompagnarci per lunghissimo tempo, grazie alla sua ben nota mansuetudine, la facilità di proliferazione e notevoli doti dei tessuti realizzati mediante l’uso del suo folto manto. Fino all’ottenimento, al giorno d’oggi, di una creatura il cui destino è indistinguibile dal nostro, in maniera del tutto paragonabile a quella del pollo, del maiale o dell’intera genìa bovina. Il cui costante sacrificio, reiterato attraverso il trascorrere dei giorni, è anche il fondamento stesso, ed in un certo senso molto pratico la misura del successo evolutivo di questa intera tipologia di specie. Al punto che secondo un vecchio detto ebraico, la pecora produce un solo suono quando è viva (beeeeh) ma ben sette, una volta che viene processata secondo i metodi tradizionali successivamente alla sua necessaria dipartita: due dagli strumenti a fiato prodotti dalle sue corna, due dai flauti provenienti dalle ossa femorali cave delle zampe di dietro, il liuto con le corde provenienti dai suoi intestini ed infine il trillo delle vesti dell’alto sacerdote, emesso dalle campanelle inframezzate ai “melograni” o sferule di lana predisposte sul bordo del suo lungo mantello.
Un vero e proprio concerto in grado di spingersi oltre le arbitrarie barriere dei confini nazionali. Così come è riuscita a fare, in modo dilagante e forse imprevisto per il suo stesso creatore, questa celebrazione videografica dell’animale più candido e ingannevolmente soffice di tutta la fattoria.