Era un mattone con le ali troppo corte, costruito per uno scopo ben preciso, che non era quello di volare… Eccessivamente a lungo. Il Dodo, piccolo aeroplano da turismo parzialmente smontato nel famosissimo videogioco del 2001, Grand Theft Auto 3, momento comico di una singola missione ma in quell’ambiente digitale dall’interazione libera, non fu davvero possibile decidere cosa sarebbe stato considerato “importante” dai giocatori. E non esiste niente di maggiormente significativo, per noialtri esseri umani, che trovare un modo utile per spingerci in mezzo alle nubi, esplorando il mondo irraggiungibile di chi ha le piume al posto delle mani. Così in molti gradualmente riuscirono a capire la maniera, esattamente, in cui fosse possibile riuscire a pilotare tale aereo dalla foggia aerodinamica tanto inefficiente. In un modo che potrebbe anche sembrare assai poco realistico; se non per la casistica effettivamente verificatosi in varie memorabili occasioni, nel corso dell’arzigogolata e spesso imprevedibile storia dell’aviazione.
Tutto ebbe inizio, o almeno così viene narrato, con la facéta domanda rivolta all’istruttore di volo californiano e progettista per hobby Ray Stits, figlio di un rinomato ingegnere aeronautico alla fine degli anni ’40. Che sottoponeva alla sua attenzione l’enigmatico quesito: “Signore, quale pensa che sia stato l’aereo più piccolo di tutti i tempi?” Verso una risposta che poteva definirsi tutt’altro che scontata, quando si considera la soggettività di cosa potesse rientrare a pieno titolo in tale categoria veicolare: sarebbe stato necessario calcolare i modellini privi di pilota? Gli ultraleggeri? E cosa dire dei deltaplani? Una cosa, tuttavia, era certa: nell’emergente mondo degli show aeronautici del dopoguerra, la gente avrebbe pagato dei veri quattrini per l’occasione di vedere un apparecchio grande appena il giusto da riuscire a contenere il suo pilota. E Stits aveva in mente un modo valido, per riuscire a dare seguito a una tale idea. Era quindi l’estate di un fatidico 1948 quando, procuratosi parti di ricambio da alcuni vecchi aerei della guerra mondiale, il coraggioso creativo diede forma alla prima versione di quella che sarebbe diventata la passione ricorrente della sua vita: lo Stits SA-1 Junior, un monoplano con motore Aeronca da 40 cavalli e un’apertura alare di appena 3 metri e non molto più lungo di tale cifra. Ma poiché lui era una persona piuttosto alta e dal peso di circa 90 Kg, semplicemente troppi per un simile velivolo, dovette fin da subito trovare qualcuno che fosse disposto a fare da cav…Sperimentatore al suo posto, con conseguenze non sempre ottimali ed una serie di atterraggi tutt’altro che morbidi, tali da portarlo a sostituire il motore con un più potente Continental da 65 hp. Almeno finché tramite i contatti che aveva stabilito alla scuola, non gli riuscì di prendere contatto con un individuo abbastanza folle, e nel contempo abile, da poter riuscire ad affrontare qualsivoglia tipo d’imprevisto. Il suo nome era Robert H. Starr e l’incontro dei due sarebbe stato l’inizio di una collaborazione destinata a rimanere nella storia.
Questo settore apparentemente disallineato dei mini-aeroplani era infatti riuscito ad attirare almeno un insigne competitor, l’intera compagnia di San Diego della Beecraft, capeggiata da William “Bill” Chana, che con il suo Wee Bee dotato di un’apertura alare di 5,39 metri aveva creato un qualcosa che poteva, secondo lo slogan ufficiale: “Trasportare una persona ed essere spostato da lei”. Ragion per cui Stits e Starr, benché fossero ancora detentori del record, decisero che fosse possibile, nonché doveroso, anticipare i propri rivali riuscendo a fare di più. Sarebbe stato già il 1952, tuttavia, quando la nuova versione dell’idea resa possibile dalla loro collaborazione avrebbe avuto l’occasione di solcare i cieli per la prima volta. L’SA-2A Sky Baby era un piccolo biplano da corsa, con motore Continental da 112 cavalli capace di spingerlo a una velocità massima di 350 Km. Cadenza necessaria affinché potesse generare la portanza adeguata al di sotto delle sue quattro ali, che non superavano l’estensione complessiva di 2,18 metri. L’intero apparecchio non pesava inoltre più di 300 Kg, a cui si sarebbero sommati un massimo di ulteriori 70 per il pilota, che avrebbe agito come baricentro assolutamente necessario al fine di mantenersi in aria. Dopo un breve tour dei principali show itineranti della nazione, lo Sky Baby venne ritirato dal servizio con appena 25 ore di volo. Che gli sarebbero tuttavia bastate a stabilire un record destinato a durare un intero lustro, senza che nessuno avesse il coraggio di tentare in qualche modo di sfidarlo. Un onore che sarebbe toccato proprio allo stesso Robert H. Starr verso il sopraggiungere degli anni ’80, dopo un lungo periodo della vita trascorso a rimuginare sulla maniera in cui l’insigne collega era riuscito a prendersi tutto il merito, mentre lui era stato relegato dalla storia al ruolo di semplice pilota. Tutto ciò, egli decise, era durato abbastanza a lungo…
Il mondo era nel frattempo cambiato in modo significativo e lo stesso Starr, ormai un uomo di 64 anni, poteva fare affidamento sulla sua lunga carriera di consulente e pilota sperimentale, all’interno di alcune delle più famose compagnie aeronautiche statunitensi. Ciò che aveva in mente era dunque un tipo di aeroplano che non soltanto potesse risultare più piccolo dello Sky Baby, ma potesse superarlo nelle sue caratteristiche operative e maneggevolezza d’impiego. Il dispositivo risultante, ultimato quell’anno dopo un lungo periodo d’introspezione e ipotesi sul tavolo da disegno, avrebbe quindi ricevuto il nome e la livrea di un vero e proprio Bumble Bee (il “bombo”) con riferimento all’imenottero dal corpo tondeggiante che secondo una famosa diceria popolare non sarebbe dotato delle caratteristiche necessarie a spiccare il volo, ma non sapendolo riesce lo stesso a farlo. Dotato anch’esso della configurazione di un biplano, per massimizzare la portanza contenendo il più possibile l’estensione alare, l’aereo riprendeva largamente l’idea dello Sky Baby riducendone ulteriormente le dimensioni (ma non il peso, effettivamente maggiore) fino a un’improbabile apertura alare di esattamente 2 metri. Decollato con successo di fronte agli ispettori del celebre Guinness dei Primati, l’aereo riuscì quindi ad attirare l’attenzione del grande pubblico, inclusa quella di un individuo destinato a rimanerne profondamente colpito. Sto parlando di niente meno che Don Stitts, figlio di quello stesso ingegnere che Starr aveva deciso, dopo tanti anni, di superare. Lungi dal decidere di rimanere uno spettatore passivo in tale sorpasso, l’uomo decise quindi di costruire un qualcosa che potesse riuscire a riportare il record in famiglia, obiettivo destinato a prendere la forma dello Stits DS-1 Baby Bird del 1984, forse in tutta questa intera rassegna il singolo velivolo più simile al Dodo di videoludica memoria. Monoplano ad ala alta, dotato di un Hirt a due cilindri da 55 cavalli e con una velocità massima di 180 Km/h, l’aereo vantava un’apertura di appena 1,91 metri, tale da battere il Bombo dell’avventuroso rivale paterno, un traguardo certificato ancora una volta sull’aureo albo del più famoso libro da salotto al mondo. Ma la storia, forse alquanto prevedibilmente, non era ancora finita: fu così che Starr, ancora determinato a vedere il suo nome iscritto a chiare lettere di fuoco nelle cronache dell’aviazione, decise a quel punto di superarsi. Un obiettivo perseguito grazie alla progettazione, e conseguente messa in opera del Bumble Bee II, una nuova versione del mini-aereo capace di superare ogni possibile aspettativa di un ipotetico pubblico in trepidante attesa. Lungo 2,7 metri e con un’apertura di appena 1,68 (!) il nuovo biplano di un color giallo acceso (potete osservarlo in apertura a questo articolo) vantava quindi un motore Continental con velocità massima di 305 Km orari e un rateo di salita di 23 metri al secondo. Era il 2 aprile del 1988, finalmente, quando la nuova improbabile creatura spiccò il volo, presso l’aeroporto regionale di Marana a nord-ovest di Tucson, Arizona. Missione che sarebbe stata giudicata pienamente riuscita, conseguendo l’annotazione antologica che continua a durare tutt’ora.
Ma le cose avrebbero ben presto preso, purtroppo, una piega particolarmente sfortunata per Starr. Che in uno dei voli immediatamente successivi del 5 maggio di quello stesso anno (data significativa) avrebbe subito un lieve calo di potenza del motore mentre stava volando contro-vento, allineandosi alla pista d’atterraggio. Così che il Bumble Bee II, del tutto privo di alcuna capacità di planare, cadde rovinosamente a terra, finendo totalmente distrutto e ferendo il suo pilota in modo piuttosto significativo. Il formidabile pensionato tuttavia, andando incontro a un totale recupero, avrebbe potuto godersi per il resto dei suoi anni la consapevolezza di aver ottenuto finalmente giustizia dalle cronache, in qualità di creatore e pilota dell’aereo più piccolo del mondo.
Tutto ciò anche perché il Guinness, rimasto colpito dal pericolo a cui si erano sottoposte queste figure d’inventori spericolati al fine di accedere agli onori delle cronache, decise immediatamente di non togliere gli onori al Baby Bird di Stits, mantenendolo piuttosto al vertice dei più piccoli monoplani, cui si sarebbe affiancato il minore biplano al mondo. Soluzione pratica che avrebbe consentito, in aggiunta, d’includere le fotografie di entrambi gli straordinari apparecchi all’interno del loro best-seller ormai del tutto privo di confini nazionali.
Scattate nelle nuove edizione all’interno dei rispettivi musei dove continuano ad essere custoditi gli strani uccelli tecnologici (escluso quello andato distrutto) creati sulla base di un pensiero ed una sfida così tipica dell’intera discendenza umana. Relativa a cosa sia possibile riuscire comunque a fare, una volta stabiliti dei limiti operativi sufficienti da essere gli unici a poterli affrontare. Sempre più difficili e impossibili da superare, come nel caso dell’aereo dalle ali tronche. Forse il più memorabile ed ancora oggi apprezzato, nell’intera storia dei videogames.