Apre il parco in bilico su 280 colonne oltre il ciglio di Manhattan, New York

Al termine di un tempo lungo e travagliato, emerge sempre un’epoca di riscoperta e nuove, inaspettate meraviglie, l’ora di riscossa contro un fato eccessivamente gramo. Così è possibile pensare, mentre si percorre il ponte a forma di “L” che con la sua brusca curva, s’inoltra sotto una foresta di cemento situata a ridosso di una letterale giungla di grattacieli. Piante assai particolari quest’ultime, con la loro capacità di sbocciare direttamente dalla superficie dell’azzurro mare, formando un singolo tappeto di giganteggianti tulipani, a loro volta in grado d’ospitare alberi, prati, anfiteatri e un certo numero di panchine. Ed è soltanto una volta che si è passati sotto un paio di quei tulipani, che per la particolare forma ondulatoria del paesaggio fuori scala ci si ritrova direttamente a vivere in quel micro-mondo fatto di scorci prospettici e precise proporzioni, come l’ideale estetico di un giardino giapponese o d’altro paese del distante Oriente. Mentre gli ordinati viali geometricamente complementari si susseguono da un lato all’altro di quel profilo, idealmente simile a quello di un singola foglia galleggiante nel mare delle idee, in realtà frutto di precisa pianificazione ad opera dell’architetto inglese Thomas Heatherwick, la sua collega esperta in aree verdi Signe Nielsen e per generosa concessione dei miliardari Barry Diller e Diane von Fürstenberg, che secondo le precise usanze nordamericane hanno in questo modo scelto di restituire un qualche cosa di tangibile alle affollate moltitudini della propria nazione. Proprio lì, in corrispondenza dell’ormai scomparso molo 54, dove il transatlantico Carpathia riaccompagnò il 18 aprile del 1912 i sopravvissuti al disastro del Titanic, affondato tra le gelide acque dell’Atlantico quella fatale notte di tre giorni prima…
Ogni grande città di un popolo possiede una sua storia e molto spesso, si tratta di una storia caratterizzata dal valore strategico, l’importanza economica e culturale di uno specifico luogo. Così New York, agglomerato maggiormente popoloso dell’intero Nord America (nonché tra i maggiori al mondo) fu per lungo tempo un porto di primaria importanza, dai cui moli partivano e tornavano le schiere di bastimenti e transatlantici col compito di avvicinare i continenti tra il XIX ed inizio del XX secolo. Che si susseguivano l’un l’altro, come denti di un’enorme balena, a partire dalla zona nota come West Side o Lato Ovest, verso quello spazio riparato dai marosi e le intemperie che ebbe il nome di Hudson River, oggi l’autostrada d’innumerevoli spedizioni turistiche, voli d’elicottero ed altri approcci all’osservazione mobile del panorama ultra-urbano. Però ancor prima che i grattacieli più alti potessero sorgere dalla solida roccia sotto il suolo di quell’isola comprata dai Nativi, simili strutture simili ma orizzontali e poste in bilico sopra le onde, persero gradualmente la loro importanza mentre le navi diventavano progressivamente più grandi, giungendo a richiedere strutture di concezione più moderna. E i moli, inizialmente trasformati in luoghi di ritrovo e ristorazione, come le imponenti meraviglie ingegneristiche che erano, caddero progressivamente in disuso, mentre i costi di manutenzione superavano progressivamente il possibile guadagno offerto per coloro che li avevano in gestione. Così alcuni quartieri dove trovavano collocazione gli alloggi e i luoghi di ritrovo per gli addetti provenienti principalmente dall’Irlanda ed altri paesi europei, come Hell’s Kitchen, si trasformarono in luoghi d’alto valore immobiliare e qualità evidenti. Mentre altri luoghi, abbandonati e derelitti, andavano progressivamente incontro al disfacimento strutturale della propria iniziale idea. E può certamente sorprendere come nella nostra Era dedita all’assoluta efficienza e guadagno economico, un luogo dal valore immobiliare come Manhattan potesse ancora presentare un’intera area in sostanziale disuso, al punto che ancora all’epoca dell’amministrazione Reagan (1981-1989) si parlava seriamente di asfaltare tutto, demolire le vecchie strutture e trasformarla in una lunga autostrada, sperando in tale modo di riuscire ad alleggerire il traffico terribile di un luogo tanto densamente popolato. Almeno finché in uno dei progetti di qualificazione maggiormente impegnativi dell’epoca contemporanea, non si decise piuttosto d’intervenire sulla natura stessa e il ruolo operativo dell’intera zona degli Hudson Yards, trasformandolo in un letterale parco giochi architettonico per gli abitanti e tutti coloro che venivano da fuori…

La costruzione degli svettanti tulipani ha richiesto approfondite simulazioni informatiche, per la creazione di un sistema che potesse risultare sufficientemente stabile una volta infisso nel fondale dell’Hudson. La stessa particolare struttura simile alle palafitte, nel frattempo, ha prevenuto la necessità di fare uso di dighe temporanee (cofferdam) prima di procedere all’installazione.

In tale ottica il nuovo punto di riferimento locale di Little Island con un nome elaborato solamente nel 2019, ben cinque anni dopo la sua prima concezione sul tavolo da disegno, costituisce un’offerta di ulteriori spazi verdi situata là dove un tempo approdavano le navi, nell’esatto punto da cui sorsero i pilastri degli antichi moli ormai pressoché scomparsi a seguito del passaggio distruttivo dell’uragano Sandy nel 2011. Creata a partire da una domanda che per quanto siamo in grado d’ipotizzare, nessun creativo degli spazi si era posto fino a questo specifico momento; ovvero se fosse possibile, in qualche maniera, mettere un’intero parco in equilibrio sulla ragionevole approssimazione di un sistema di palafitte. Così lo stesso Heatherwick, tra gli architetti più importanti al mondo e che potreste già conoscere per il Vessel, la strana struttura a scale panoramiche che orna i prossimi recessi cittadini (vedi articolo) dopo una prima serie di proposte scartate dal suo facoltoso committente scelse di rivolgersi al gruppo ingegneristico Arup, per chiedere se fosse possibile creare degli alti pali monoblocco di cemento, ciascuno sormontato da una serie di “petali” capaci d’interconnettersi tra loro, in modo che gli spazi risultanti fossero al tempo stesso modellabili e distanti dalle acque sottostanti, mettendosi così al sicuro da eventuali inondazioni o possenti ondate marine. La diretta risultanza di un simile approccio, quindi, sarebbero stati questi oggetti totalmente inusitati dall’altezza unitaria di fino 61 metri, la cui forma assai diversificata avrebbe permesso al parco soprastante di possedere una forma interessante e imprevedibile, come un paesaggio naturalmente sorto dalle acque limpide dove si specchiano gli alti palazzi di New York. E soprattutto, ciò venne giudicato assolutamente primario fin da principio, dotato di una serie di spazi per esibizioni artistiche e teatrali, tra cui piccole arene, il prato centrale e l’indentatura evidente dell’anfiteatro più importante, capace di contenere fino a un massimo di 687 persone. Con uno stanziamento inziale di 100 milioni di dollari da parte dei due consorti e rispettivi patròn (tra le altre cose) di Expedia e il brand di moda DvF, il parco iniziò così a prendere forma nel 2015, con il nome chiaramente temporaneo di Diller Island, che scherzosamente era solito affermare di averne sognato più volte l’aspetto una volta portata all’auspicato coronamento. Se non che di lì a poco, l’ente civico autogestito del Club Cittadino di New York, sulla base di una serie di considerazioni per lo più di tipo ambientale, riuscì a portare in tribunale gli avvocati incaricati di tutelare il progetto, causando una serie di ritardi e il conseguente aumento di costi operativi per le compagnie coinvolte. Dopo un primo momento in cui sembrava che l’isola sarebbe stata cancellata, si ottenne quindi l’Ok a procedere con l’ulteriore lasciapassare del governatore dello stato Andrew Cuomo, mentre il trasporto delle letterali centinaia di massicci tulipani cominciava in modo graduale dalle fabbriche situate nella zona dell’Upstate, a più riprese causa la necessità di fermare le operazioni nei più freddi mesi della stagione invernale. Così 164 giunsero a destinazione complessivamente nel 2018, ed ulteriori 103 nel 2019, mentre finalmente iniziava a prendere forma l’aspetto visitabile del parco soprastante. Ma i guai non erano certo finiti, con la maniera in cui a marzo dell’anno successivo, come sappiamo molto bene, avrebbe avuto inizio la drammatica pandemia globale da Covid-19.
Giudicato al tempo stesso un progetto necessario, causa i grandi investimenti anche pubblici che aveva già richiesto, nonché fortunatamente un cantiere situato totalmente all’aperto, con conseguente rischio minore di contagio, l’opera per la ribattezzata Little Island avrebbe ricevuto quindi la speciale concessione di procedere, verso una possibile inaugurazione l’anno successivo, che si sarebbe per fortuna concretizzata lo scorso 21 maggio del 2021. Giungendo in tal modo ad offrire un letterale simbolo e strumento utile per la ripresa, economica e turistica, che si spera il mondo possa vivere nel corso dell’imminente stagione estiva, nella speranza di recuperare almeno in parte i 260 milioni di dollari investiti alla fine. Mediante un approccio totalmente nuovo a quel tipo di osservazione panoramica delle svettanti torri newyorchesi, che per una volta ci si augura di poter fare non più dall’altitudine di un luogo equivalente ed altrettanto fuori dalla cognizione umana. Bensì luoghi che possiedono una proporzione ed area pedonabile più facile da ricondurre alla natura, nonché ornati da piante, opere temporanee e vere e proprie performance di artisti di chiara fama; senza dover necessariamente scorgere o pensare a quelle spettacolari, inusitate palafitte di cemento modellato ad hoc (a meno che non si desideri farlo!)

L’unico modo per apprezzare le proporzioni quasi oniriche di un tale luogo è visitarlo in prima persona, o in alternativa fare ricorso ad uno dei numerosi video ripresi passeggiando in tali lidi, comparsi come funghi in queste ultime due settimane su YouTube.

Dal punto di vista dell’architetto Heatherwick, nel frattempo, Little Island può idealmente rappresentare la realizzazione alfine completata di una sua visione che già aveva fallito altrove, causa problemi di natura politica, organizzativa e situazionale. Vedi l’ormai leggendario Garden Bridge, proposto nel 2016 e fortemente sostenuto dall’allora sindaco di Londra, Boris Johnson, che avrebbe dovuto attraversare il Tamigi con una corrispondente proposta di zona verde sopra dei pilastri frutto dell’ingegneria umana, sebbene in quel caso sarebbero stati di un tipo decisamente più convenzionale. Per un risultato, alla fine della storia, altrettanto valido a fornire nuovi spazi e un altro tipo di respiro agli abitanti della tentacolare metropoli, proprio là sopra le acque dove, idealmente, avrebbero pensato di passare solamente per pochi minuti, verso mete di un tutt’altro tenore.
Il che costituisce, in fin dei conti, la morale che possiamo trarre dall’intera vicenda: ipotesi secondo cui non è affatto possibile creare qualcosa di grande, e soprattutto totalmente privo di precedenti, senza un’idea ma anche soldi, conoscenze e un terreno culturalmente fertile affinché lo scarto dalla consuetudine possa incontrare il necessario grado di tolleranza. Ed ogni grande architetto, perché possa realizzare la sua visione, deve possedere non soltanto i meriti comunicativi necessari a promuoverla dinnanzi alla collettività che un giorno potrebbe riuscire a farne uso…. Ma anche e soprattutto, saper scegliere qualcuno che resti sufficientemente in alto nello schema generale delle cose, nonché interessato alla questione, da riuscire a trasportarla fino al suo ultimo e difficile punto d’approdo. Qualunque siano le condizioni dell’oceano antistante.

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