In uno dei video virali più famosi nella storia di Internet, capace di accumulare oltre 87 milioni di visualizzazioni attraverso un periodo di 13 anni, le voci dei partecipanti ad un safari fotografico si sovrastano a vicenda, mentre dentro l’obiettivo si sussegue una delle scene naturali più impressionanti mai catturate su nastro, pellicola o memory card. Inizia con uno sparuto gruppo di leoni, che si avventa all’improvviso contro una coppia di Syncerus caffer o bufali africani e il loro cucciolo, lasciando molto poco tempo ai genitori per tentare di reagire. Le vittime del famelico assalto assumono per ciò la posizione difensiva, ma le corna da frapporre sono tropo poche, ed i felini abbastanza scaltri e rapidi, da riuscire ad avventarsi sul cucciolo, che senza troppe cerimonie viene scaraventato già dagli argini scoscesi della vicina pozza d’acqua normalmente usata dalle bestie per abbeverarsi. Mentre i bufali adulti osservano muggendo furibondi i felini dai muscoli possenti che s’impegnano per “salvare” il loro pranzo, succede allora l’impensabile: un grosso coccodrillo che emerso repentino dai flutti, afferra col suo morso possente l’altro lato del malcapitato giovane bovino. Dando inizio ad un selvaggio tiro alla fune, che sembrerebbe poter terminare solamente in un modo, se non che prima che la storia assuma proporzioni salomoniche, i possenti richiami dei due bufali sembrerebbero aver sortito l’effetto desiderato, mentre ai margini dell’obiettivo appare l’indistinta massa nera di una moltitudine compatta: è un intero distaccamento della più potente entità della savana, il branco composto tra una quantità variabile tra 1.000 e 5.000 montagne che camminano, ciascuna in grado di raggiungere il peso approssimativo di una tonnellata. Di fronte ad una tale vista, il coccodrillo batte molto presto in ritirata. Ed è soltanto una volta che il numero di bufali pronto al contrattacco ha raggiunto proporzioni sufficiente, con gli scapoli sacrificabili ad aprire il gruppo della carica, che la collettività interviene per assistere la mamma ed il papà del piccolo, circondando in pochi attimi quelli che idealmente, dovrebbero rappresentare i più temibili sovrani della savana. Ma il gruppo di leoni comprende, quasi subito, il pericolo in cui si trova e inizia ad allontanarsi dal proprio trofeo di caccia, mentre i più coraggiosi tra i bovini iniziano a punzecchiarli con le grosse corna arcuate. Uno di loro si mette improvvisamente a correre, benché sia troppo tardi, ormai: raggiunto alle spalle da un maschio infuriato, viene agganciato e letteralmente sollevato in aria come un fuscello dalle sue corna minacciosamente fuse assieme, per ricadere gravemente ferito a qualche metro di distanza. Gli altri predatori a quel punto, capiscono l’antifona e battono ben presto in ritirata. Nell’inaspettato lieto fine della storia, incredibilmente, il piccolo bufalo si rialza; con i suoi organi vitali ancora intatti, sembra ancora essere abbastanza in salute da poter correre e riunirsi ai propri genitori. Non è difficile immaginare, per lui, un futuro ruolo di primo piano nella politica sociale del branco. Ancora una volta, la selezione naturale sembrerebbe aver fatto il suo corso.
Pathos, violenza, un vero sprezzo del pericolo. E l’assoluto desiderio di sopravvivenza: la famosa battaglia del parco di Kruger, in pieno territorio protetto del Sudafrica, sembrerebbe avere tutto quello che può essere desiderato dalla scena di un catartico film d’azione, riuscendo a costituire la testimonianza di una circostanza estrema che assai raramente riesce a comparire, anche nel più pregevole e costoso dei documentari per la Tv. Eppure esso rappresenta, nella realtà dei fatti, nient’altro che una minima percentuale dell’ingiustamente poco conosciuta fierezza e possenza di questi animali esteriormente simili a una mucca, tra i più combattivi dell’intera zona geografica sub-sahariana. Mentre c’è davvero ben poco in comune, biologicamente ed anche dal punto di vista genetico, tra tali entità perfezionate dall’evoluzione per difendersi da alcuni dei più grandi predatori di terra al mondo e una creatura scelta dall’uomo, che attraverso letterali millenni è riuscito a incrementarne ulteriormente il carattere già naturalmente portato alla mansuetudine inter-specie. Un tipo di tolleranza che tra gli animali dell’Africa Nera semplicemente non esiste e non potrà mai esistere, causa un sistema ecologico in cui non soltanto i forti sopravvivono, ma letterali Ere geologiche di corse agli armamenti sembrerebbero esser state più volte sul punto di riportare tra di noi l’epoca dei dinosauri. Mentre guerrieri possenti, nel tentativo di ricavare le limitate risorse e spazi disponibili per i viventi, fanno di tutto per dimostrare al mondo il proprio legittimo diritto all’esistenza…
Caratteristica primaria ed assolutamente unica nella forma esteriore del bufalo africano, assente sia nella sottospecie più piccola e rossiccia (S. c. nanus della foresta) che nel distante cugino asiatico, il bufalo d’acqua (Bubalus bubalis) riesce dunque ad essere il suo armamentario di corna situato in corrispondenza della fronte, con una riconoscibile forma arcuata che si orienta verso il basso, prima di girare verso il cielo culminando in due punte ricurve con una distanza complessiva di circa un metro, variabile a seconda dell’età e dimensioni. Un palco tanto spesso e necessario, per i molti conflitti tra maschi in cerca di una posizione dominante ma soprattutto contro i nemici che farebbero di tutto per riuscire a farne fuori una parte, da aver assunto attraverso le generazioni una forma straordinariamente spessa e solida, le cui radici frontali si avvicinano al punto da formare una letterale massa indivisa simile a uno scudo, chiamata in gergo africano il boss. Tale impenetrabile placca ossea, quindi, sembrerebbe possedere per l’animale l’apprezzabile ruolo di un’arma utilizzabile al tempo stesso per la difesa e l’offesa, da frapporre con ferocia all’indirizzo dei propri spesso scriteriati assalitori. Che includono un alto numero di turisti armati di fucili e cacciatori professionisti, per l’indesiderabile iscrizione tradizionale del bufalo nell’elenco dei Grandi Cinque (assieme a leone, leopardo, elefante, rinoceronte) in quanto preda particolarmente desiderabile dal punto di vista di chi sia alla ricerca di trofei da usare per ornare il salotto della propria casa. Una moda certamente spiacevole dal punto di vista concettuale tuttavia ragionevolmente sostenibile vista l’esistenza di oltre 900.000 esemplari di questo animale e un costo unitario per singola preda uccisa stimabile attorno ai 10.000 dollari, estremamente utile al fine di favorirne la conservazione presente e futura. Sebbene tale attività presenti, di contro, un costo estremamente significativo in termini di vite umane: fino a 200 annuali secondo la stima maggiormente pessimistica (sfortunatamente, stime più precise sembrano del tutto assenti dagli archivi di Internet) superando abbondantemente quelle mietute dai leoni, molte specie di serpenti e persino il più temuto tra i giganti della savana, il notoriamente territoriale ed aggressivo ippopotamo all’interno del proprio stagno. Proprio dal paragone con quest’ultimo, che non a caso resta il grande assente nell’elenco ideale dei “Big 5” si può giungere a comprendere la furia ed aggressività nascosta all’interno di tali “placidi” erbivori dalle corna aguzze, che sono soliti caricare il bersaglio senza nessun tipo di avvertimento né preavviso, arrivando talvolta a tendere dei veri e propri agguati nei confronti dei loro cacciatori umani. Come quello costato la vita nel 2012 al cacciatore e guida dello Zimbabwe Owain Lewis, che dopo aver seguito per quatto giorni una di queste bestie ferita di striscio da un membro della sua spedizione, giunse finalmente a ritrovarla nei pressi di un corso d’acqua, evidentemente stremata e sdraiata a terra in mezzo ad alcuni cespugli. Se non che all’avvicinarsi dei suoi carnefici, pronti a infliggergli un pietoso colpo di grazia, il mostro gigantesco si sollevò di scatto, caricando ferocemente il gruppo di persone, ciascuno a suo modo drammaticamente impreparato a reagire. E fu così che l’unico capace di mantenere il sangue freddo, frapponendosi tra il bufalo e i più giovani partecipanti della caccia, riuscì a sparargli più volte, ma non evitare che l’animale, prima del suo ultimo sussulto, lo uncinasse con le corna scaraventandolo in aria, senza lasciargli alcuna possibilità di scampo. Morire facendo ciò che si ama e ritiene giusto, non sempre solo per un mero desiderio di guadagno: un destino toccato in sorte a molti personaggi attivi nella caccia grossa organizzata dalle grandi nazioni africane, proprio per l’effetto ed il comportamento formidabile di questo eccezionale, ma fin troppo spesso sottovalutato guerriero cornuto. Il cui soprannome internazionale è giunto ad essere, in determinati ambienti anglofoni The Black Death (“la Morte Nera”) o ancora il più banale widowmaker, ovvero molto semplicemente: “Il creatore di vedove”. Particolarmente nel periodo più tardo della sua vita, per una creatura capace di raggiungere anche i 18-20 anni in assenza di effettivi predatori abituali fatta eccezione per i coccodrilli più grandi, quando i maschi un tempo dominanti si ritirano dalla vita comunitaria del vasto branco, formando gruppi indipendenti di appena una dozzina d’esemplari che in determinati circoli vengono chiamati con timore reverenziale i dagga boys (probabilmente da digger-scavatore, per la frequenza in cui si presentano coperti dal fango, al fine di scoraggiare i molti parassiti locali). Circostanza in cui, sentendosi più vulnerabili, assumono un comportamento ancor più aggressivo e imprevedibile, ulteriormente reso pericoloso dalle loro condizioni fisiche ancora ottime e le corna rafforzate dal continuo utilizzo al fine di proteggere i membri meno resistenti della loro grande famiglia.
Ciò detto, non c’è posto per chi ha ormai visto calare la propria fertilità all’interno della struttura strategica del grande branco, formato da una serie di harem ciascuno guidato da un singolo maschio, che si accoppia ripetutamente con le sue multiple consorti. Permettendo, al tempo stesso, la partecipazione occasionale dei maschi più giovani all’intento riproduttivo, in cambio della protezione offerta da questi ultimi ai nuovi nati nei sempre possibili momenti di crisi. Pargoli che raramente superano, comunque, il singolo cucciolo per vacca in ciascuna stagione delle piogge, benché l’eccezionale capacità difensiva della moltitudine riesca a garantire un ragionevole numero di volte la sua sopravvivenza fino all’età adulta. Interessante anche il sistema sociale che permette al grande gruppo allargato di mettersi d’accordo sulla direzione in cui spostarsi, con le giovani femmine letteralmente incaricate di “votare” le diverse possibilità facendo qualche passo per poi sedersi in attesa, poi alzarsi e ripetere lo stesso gesto. Finché un poco alla volta, come un’onda in piena, il grande gruppo non decida spontaneamente una linea operativa comune. Ma non prima di aver assunto l’inviolabile formazione da battaglia, con gli esemplari più piccoli e vulnerabili al centro della carovana, mentre i maschi del gruppo si preparano ancora una volta a dimostrare l’incrollabile validità del proprio furore combattente.
Perché soltanto dal punto di vista superficiale, un semplice carnivoro può essere considerato il supremo dominatore della savana africana. Mentre è la notevole capacità di autodifesa degli erbivori più grandi, perfezionata dalla saggezza dei millenni di dure battaglie, a determinare il vero predominio sui limitati spazi vivibili spietatamente offerti dalla Natura.