“Al mio segnale, lasciate rotolare la sfera… Inintelligibile” declama il bizzarro sottotitolo, di un video dal contenuto e provenienza ancor più incerti. Forse propaganda bellica, magari una prova di fattibilità strategica, oppur secondo la descrizione ed i commenti forniti dal suo proprietario su YouTube, nient’altro che un’effettiva operazione militare messa in atto dalla brigata “Petar Krešimir IV” in Croazia, durante la difesa della città di Livno dalle truppe bosniache nel corso della guerra del 1992. Con metodologie evidentemente derivanti dalla più pura e semplice arte di arrangiarsi, in quella che potrebbe assomigliare con la lente odierna a una sequenza registrata con finalità di mero intrattenimento, da un gruppo di goliardi con più voglia di apparire che istintivo senso d’autoconservazione personale: gli ingredienti, a tal proposito, ci sono tutti! Il pendio scosceso in un’area almeno in apparenza disabitata; l’oggetto straordinariamente pericoloso, trasportato fuori dal contesto con finalità e metodologie del tutto ignote; ed infine, l’esplosione roboante nel bel mezzo della foresta, in merito alla quale nessuno dovrà mai chiedersi se abbia effettivamente avuto modo di verificarsi (se un albero cade…) Per il semplice fatto che a quanto possiamo immaginare, sarà stata udibile da centinaia di chilometri rispetto all’oscuro luogo della sua occorrenza. “Dite a quella gente giù nella foresta che stiamo arrivando!” Grida in tono perentorio il sergente, o comandante della strana operazione. Al concludersi di un breve discorso che potrebbe essere, per quanto ne sappiamo, l’oggettiva descrizione di una procedura contenuta in un segmento documentaristico, oppure il frutto disumanizzante dell’assoluta apatia della guerra. E chi può dire se davvero, all’altro lato di questa circostanza surrealista, ci fosse qualcuno destinato a ricevere la formidabile possenza della sfera.
Esiste a tal proposito, in una possibile correlazione d’intenti, una citazione spesso ripetuta negli ambienti dello Stato Maggiore americano, a seguire del periodo successivo agli anni ’60. L’affermazione secondo cui “Lo spazio” offrirebbe, nell’opinione di chi s’interessa alla faccenda: “…La posizione sopraelevata definitiva.” intesa come vantaggio tattico in qualsiasi ingaggio militare dell’epoca moderna, e con indiretto ma chiaro riferimento a quel tipo di bombardamento cinetico. Concepito per impiegare, nella sostanziale realtà del conflitto, nient’altro che oggetti grossi e pesanti, come sbarre di metalli resistenti al calore, trasformati in mortali meteore dalla semplice tendenza all’accelerazione verso un possibile bersaglio finale. Poiché l’altitudine rappresenta, come è noto, la più istintiva forma di energia potenziale. Ma soltanto ogni qualvolta si riesca a trasformarla in velocità, un fine raggiungibile anche attraverso particolari forme o soluzioni tecnologiche immanenti. Vedi la forma… Rotolante, di un qualcosa che in un tale inusitato frangente, può trasformarsi nella fatale palla da bowling della Fine. Ora le risposte fornite dal publisher nazionale Neshchi, il cui canale ospita alcuni video dal contesto simile a partire da un anno a questa parte, non sembrano nutrire alcun dubbio: “Sono sicuro al 99% che la bomba provenisse dalla base navale Lora, posizionata nei dintorni della città costiera di Split” Un passaggio e riutilizzo forse risultante dai mancati conflitti paventati sul lato del Mar Adriatico, anche per l’intervento della Nato a favore del governo e gli ideali nazionalistici e anti-comunisti del presidente croato Franjo Tuđman, e in forza di un approccio alla guerra fluido e raffazzonato, così tipicamente rappresentativo di talune guerre dell’Est Europa. Conforme ai metodi impiegati durante l’ancora recente e sanguinosa battaglia della città di Vulkovar, durata 87 settimane tra agosto e novembre del 1991 e culminante con l’eccidio di una significativa parte della popolazione civile coinvolta suo malgrado in una simile catastrofe generazionale. Ma non prima che gli appena 1.800 soldati croati, contro 36.000 militi appartenenti all’esercito dell’ex-Jugoslavia, giungessero alla soluzione estrema d’impiegare armi improvvisate costruite con il corpo macchina delle caldaie, le cosiddette boiler bomba, fatte rotolare fuori dalla stiva di vecchi biplani per l’irrigazione agricola Antonov An-2. Perché nulla induce l’uomo a rallentare, nella frenetica accezione della guerra priva ormai di alcun quartiere. Men che mai, l’intento originariamente previsto per i suoi più funzionali e pluripremiati metodi d’uccisione….
Non c’è in effetti nulla, nell’intero comparto conflittuale della marina militare di una nazione, che possa vantare un’efficienza paragonabile a quella di una mina navale. Rapida da produrre, e con un costo di dislocazione pari a circa un decimo di quello necessario successivamente per rimuoverla, potendo chiudere effettivamente l’accesso a una sezione costiera indipendentemente dall’agilità ed efficienza tattica del proprio nemico. Vedi il caso spesso citato dell’attacco da parte della flotta statunitense della Corea nel 1950, quando l’intero gruppo di navi venne trattenuto per oltre una settimana, per la paventata presenza di vecchie mine sovietiche in corrispondenza degli obiettivi selezionati per dare il via all’invasione. Con un conteggio delle vittime pari al 70% dell’intero costo in termini di vascelli nell’intera operazione al conteggio finale del dimenticato e doloroso conflitto in Estremo Oriente. Ma il principale utilizzo tattico di simili ordigni galleggianti, generalmente ancorati al fondale mediante l’impiego di un’ampia serie d’ingegnosi e possibili sistemi, si sarebbe verificato durante il periodo dei due grandi conflitti mondiali del Novecento, quando sull’onda dei primi esperimenti effettuati all’inizio del secolo, buona parte dei paesi coinvolti disposero delle vaste cortine di sbarramento, alcune delle quali risiedono tutt’ora in tratti di mare scarsamente navigati, per il semplice costo proibitivo che potrebbe avere la loro funzionale rimozione. Vedi il caso di una buona parte che costituiva quella letterale analogia marittima alla famosa, inutile (e successiva) linea di Maginot, disposta tra le Orcadi e la Svezia dalla marina inglese con l’assistenza degli americani, le cui sferoidali componenti ancora riescono a rimergere, talvolta, presso alcune delle spiagge più famose a entrambi i capi del Mare del Nord. Con la caratteristica forma ragionevolmente idrodinamica di un pallone da calcio, ornato per l’occasione da una serie di puntali o preminenze, ciascuno contenente l’allora necessario dispositivo d’innesco elettrico del tipo “a contatto”. Il tipo di mine utilizzate in Europa Occidentale a quell’epoca, create sulla base degli ordigni difensivi usati con notevole ma temporaneo successo dai russi durante il loro conflitto d’inizio secolo contro l’Impero giapponese, si basavano sull’impiego di una serie di fiale di acido posizionate all’interno di fragili capsule di vetro. All’urto delle quali contro lo scafo di una qualsivoglia imbarcazione, tale sostanza avrebbe attivato un circuito, causando l’innesco e successiva esplosione del dispositivo. Soltanto successivamente allo scoppio della seconda guerra mondiale e con il progressivo aumento delle competenze tecnologiche internazionali, tali apparati non troppo dissimili alla macchina umoristica del disegnatore di fumetti Rube Goldberg sarebbero stati sostituiti con i più efficaci ed affidabili sistemi ad “influsso” capaci di detonare tramite l’impiego di sensori magnetici e/o sonori, spesso mantenuti in stato semi-dormiente fino all’avvicinarsi di un possibile bersaglio, al fine di preservare il più possibile la durata della batteria contenuta all’interno della bomba.
Sia che la mina fatta rotolare dai croati all’inizio degli anni ’90 appartenesse al secondo tipo, che in maniera molto più improbabile fosse addirittura antica al punto di affidarsi al vecchio metodo, possiamo egualmente immaginare che l’originale metodo di detonazione fosse stato preventivamente disattivato, poiché se fatta esplodere a contatto, la mina si sarebbe autodistrutta già durante le prime fasi dell’esperimento, mentre l’assenza di effettive navi ne avrebbe prevenuto del tutto la deflagrazione al presumibile raggiungimento dell’obiettivo serbo. Le spiegazioni possibili per l’uso (relativamente) ben riuscito dell’arma, sono quindi rintracciabili nell’impiego di un detonatore controllato a distanza, un timer programmato ad hoc, oppure la semplice efficacia dell’impatto a gran velocità, contro un tronco particolarmente sfortunato della foresta ai piedi del rilievo di “lancio”. Quest’ultima metodologia, tuttavia, sembra decisamente meno affidabile, persino in un contesto tanto assurdo ed estremo…
Se vogliamo quindi tentare di costituire una storia pregressa nell’impego anti-convenzionale di una simile tipologia d’arma, possiamo farlo nei resoconti coévi di un altro grande assedio dell’epoca moderna, quello di Port Arthur nel 1904, verso il termine del già citato e particolarmente cruento conflitto russo-giapponese. Ovvero la principale ragione per cui ancora all’inizio dell’invasione tedesca della Russia stalinista, buona parte delle migliori e più attrezzate truppe sovietiche si trovavano di stanza attorno a Vladivostok, presso l’estremità opposta di un intero continente. Una guerra durante la quale, si narra, venne costituito da entrambi gli schieramenti un informale banco di prova per molte delle armi che sarebbero state impiegate nei successivi ingaggi bellici, inclusa la mitragliatrice, il mortaio e le granate anti-uomo. Per non parlare di quell’improvvisato e funzionale ri-utilizzo fatto proprio dai soldati giapponesi, durante la cattura di quella che costituiva la singola fortezza più imprendibile di tutta l’Asia, delle stesse migliaia di armi utilizzate dai russi per affondare così tante delle loro navi, trasformate in quel frangente in chiavi utili ad abbattere le mura e fortificazioni della città. Ed è proprio il testo storiografico “La verità su Port Arthur” scritto nel 1908 dal corrispondente di guerra E.K. Nojine a parlare di una sorprendente mina navale fatta rotolare all’interno di una trincea occupata dai difensori russi, con tutte le orribili conseguenze del caso. Anticipando in tale modo, una metodologia del tutto conforme a quella dimostrata dai soldati della guerra in Croazia quasi un secolo a seguire da quei drammatici eventi.
E non è forse la considerazione più sorprendente allo stato dei fatti attuali, la maniera in cui tale video risalente all’ultimo decennio del secolo scorso stranamente rassomiglia per i nostri occhi alla più tipica bravata contemporanea messa in piedi per il popolo di YouTube, Instagram e TikTok? Quasi come se la memoria ed il più strenuo sacrificio dei nostri predecessori, in fin dei conti, finisca in subordine alla costante ricerca di soddisfazione, misurabile nel numero di visualizzazioni e click. Per il conseguimento di un altro tipo di medaglie, forse meno durature nel tempo…. Ma che almeno, per quanto ci è possibile osservare, non comportano la stessa quantità di sangue e lacrime alle vittime “collaterali” della situazione.