Col procedere dei giorni, crescendo e accumulandosi, l’acqua vince su ogni altro possibile componente dell’universo filosofico immanente. Elemento chimico, o congregazione di elementi, che sorgendo dalle profondità immote o cadendo dalle prime propaggini nebbiose della volta celeste, s’incontra nel mezzo spegnendo le fiamme, soverchiando ed inglobando l’aria, consumando le più solide creazioni della Terra. Così archi, torri e i più maestosi troni crollano, per l’insistente effetto di una circostanza inarrestabile e la forza senza tempo della meteorologia. Che goccia dopo goccia, insiste, esiste e pervicacemente accresce la sua continuativa persistenza… Fino alla creazione di terribili devastazioni. E qualche preziosa, scintillante meraviglia. Avrebbe in effetti potuto costituire una scoperta quasi mistica e del tutto accidentale, quella fatta dai primi coloni della regione sudamericana di Aysén, sperduta tra le alte montagne della Patagonia Occidentale, se non fosse per la posizione presso le alte coste del più vasto lago del circondario, alimentato dai ghiacciai eterni che si trovano presso questa particolare parte della catena montuosa delle Ande. Tale da riuscire a farne un elemento di primaria importanza nella composizione generale del territorio: General Carrera, come lo chiamano dal lato ad est del Cile; o lago Buenos Aires, secondo la toponomastica dell’antistante Argentina, entro cui si spingono le braccia simili a propaggini di un vasto albero senza tempo. E nel suo centro (concettuale, se non propriamente geografico al calcolo delle misure) un alto monumento dato in concessione agli occhi dei viventi, simile a una costruzione creata per rendere omaggio al senso indefinibile della divinità: svettante, alta e cesellata roccia, sostenuta da una serie di pilastri candidi alla più remota apparenza. Ancorché mediante l’avvicinamento tramite l’impiego di un’imbarcazione, dalle spiagge non troppo vicine di uno degli svariati puertos costruiti entro lo spazio idrico di un tale scosceso baratro sempiterno, non si scorgano le reali sfumature della sua presenza: azzurri, bluastri, splendidi gradienti tendenti al rosa, collettivamente simili all’aspetto di opere pittoriche di espressionisti dalle proporzioni misteriose, ed altrettanto ignote epoche di provenienza.
È tutto ciò nient’altro, se insistiamo a dargli un nome, che la roccia in bilico della possente Catedral de Marmol (traduzione: non credo serva) diventata attraverso il corso delle ultime decadi e successivamente alla nomina come geosito d’importanza sudamericana a un punto di convergenza per il turismo internazionale, in forza di un aspetto già capace di colpire ogni molecola di chi abbia ancora la capacità d’interpretare la poesia. Visuale ma anche metaforica, per la capacità di suscitare l’istintivo senso di venerazione, che aveva in epoche pregresse aveva portato i popoli autoctoni a chiamare queste acque Chelenko. Termine di reverenza che nell’antica lingua dei popoli Tehuelche significa letteralmente “Acque Tempestose”, con indiretto riferimento agli indifferenti spiriti divini della Creazione. Ma è soltanto con il procedere della saliente visita, e l’inoltrarsi del proprio sfuggente scafo oltre i giochi prospettici di un così memorabile ed originale luogo, che la meraviglia inizia ad assumere le proporzioni degne di quest’occulto tesoro del paesaggio e il territorio. Quando lungo le scoscese pareti della vasta pozza, talvolta inclinate a 35/40 gradi in avanti come la prua di una giganteggiante nave, appaiono le multiple aperture o capillas (cappelle) che s’inoltrano in un network di caverne interconnesse, ciascuna impreziosita da una sfumatura, un colore degno di commemorare i gli scalini successivi nelle trasformazioni degli strati epocali. In una letterale costellazione di armonie cromatiche, firmamento dalla provenienza ed il significato tutt’altro che palesi…. E che permettono alla mente di creare e immaginare un’ampia gamma di scenari, da cui scaturisce la più pura ed innegabile poesia…
Dal punto di vista fenomenologico, la creazione delle formazioni carsiche del lago General Carrera/Buenos Aires è dunque la diretta risultanza di una serie di fattori coerenti all’erosione, indubbiamente dettata dalle intemperie, ma anche la particolare composizione delle acque di questo particolare segmento del continente. Arricchite, già nel momento del proprio sgorgar dalle profonde caverne delle sierras, di copiose quantità di diossido di carbonio, non dissimile da quello contenuto nella comune acqua gassata (lievemente acida all’insaputa di molti). Il quale mescolandosi con l’acqua piovana, e vedendo in conseguenza di ciò aumentare il suo pH corrosivo, ha generato un tipo di composto che prende il nome ad ampio spettro di acido carbonico. Non propriamente capace di attaccare le strutture solide di una parete rocciosa, come quelle composte dal carbonato di calcio. Ma che nel giro di pochi mesi o anni, molti, moltissimi anni, non può fare a meno di accrescere le doti innate di disgregazione possedute da quel distruttore impareggiabile: l’acqua trasparente di questa Terra. Ed è in effetti significativa a tal proposito, la datazione maggiormente accreditata per quanto concerne le meraviglie geologiche di questo particolare lago della regione di Aysén: circa 10.000/15.000 anni, ovvero quelli trascorsi dell’ultima grande glaciazione, quando con l’accrescimento progressivo della temperatura alle basse altitudini, ghiaccio e neve ritornarono al proprio stato liquido al di sotto delle quote più elevate. Acquisendo, conseguentemente, un diverso tipo di caratteristiche e poteri. Si fa presto, d’altra parte, a sottolineare la possenza inarrestabile di un’ingombrante valanga, mera e diretta conseguenza dell’accumulo di un potenziale d’energia, improvvisamente scatenato per l’effetto della forza gravitazionale del nostro pianeta. Ma altrettanto invincibile risulta, ed assai più subdolo, l’effetto persistente di una forza “in essere” come quella dettata dai meri processi carsici dell’esistenza.
Letteralmente sconosciute fuori dalla loro nazione d’appartenenza (le caverne si trovano dalla parte cilena del lago) almeno fino agli anni ’90, causa la posizione a circa 223 Km a sud del capoluogo regionale Coyhaique, questi luoghi memorabili iniziarono quindi a comparire sulle guide turistiche soltanto con la laboriosa costruzione della grande autostrada della Carretera Austral, capace di estendersi 1240 Km tra Puerto Montt e Villa O’Higgins lungo il più oblungo paese della Terra. Dando luogo ad una nuova e fiorente industria degli operatori fai-da-te nella vicina città di Puerto Río Tranquilo, da cui oggi (o almeno prima della pandemia) ad ogni ora parte al minimo un’imbarcazione ricolma di turisti, affinché il mito delle arcane cappelle possa continuare ad essere celebrato da persone provenienti da ogni angolo e recesso del mondo. Così come avvenne svariati secoli fa, alla venuta dei coloni che tanto fecero per accrescere le zone sfruttabili per l’agricoltura, arrivando a bruciare un acro dopo l’altro di antichissime foreste pedemontane. Ma senza mai dimenticare di gettar lo sguardo, nell’estendersi dei propri interessi coloniali, verso le straordinarie meraviglie di quel mondo ancora largamente inesplorato, il cui potenziale continuava a rimanere drammaticamente inespresso. Finché in un futuro assai remoto, molti avrebbero scelto di continuare a fare la stessa cosa, ma stavolta armati di fotocamere per l’essenziale condivisione collettiva delle proprie esperienze, possibilmente accompagnato da aberranti filtri cromatici frutto dell’elaborazione digitale. Poiché qual è il valore di qualcosa di magnifico, se non mostrarlo ai propri colleghi di lavoro, ex-compagni di scuola e remotissimi parenti? E ben venga, a seguito di questo, l’imprescindibile benché collaterale divulgazione oggettiva degli eventi.
In senso generale il marmo non è dunque altro che una roccia metamorfica, frutto dell’accumulo e reazione tra diversi elementi, nel susseguirsi di cause ed effetti tra sostanze in grado di creare un qualcosa di più memorabile e resistente. Passaggio obbligato, tramite cui trova arricchimento e connotazione delle cosiddette impurità, tra cui limo, argilla, sabbia e ossidi di ferro. Ma non sono proprio quest’ultime, gravando sopra il treno delle conseguenze, a porre le basi delle molte straordinarie sfumature di questa pietra, coerente manifestazione dei più memorabili e segreti sogni dell’umanità operosa? Immancabilmente pronta, attraverso il trascorrere di molte successive civiltà, ad estrarre progressivamente simili risorse, per scolpire sulla base delle proprie preferenze estetiche e inclinazioni frutto di contesti destinati a durare relativamente poco: statue, monumenti, colonne e capitelli. Roba da poco! Quanto meno, rispetto alle inesauribili tempistiche che crearono i corpi celesti attraverso le distese del cosmo, le loro valli, le loro montagne. E i laghi mai silenti, dove ogni fattore coopera per la creazione dello stato in essere di quel pianeta. Il prodotto di un laboratorio ed un intento che dovranno necessariamente restare segreti. A meno di riuscire a volgere i propri pensieri alle corrispondenze filosofiche tra materia ed apparenza. Che qualche volta ci permettono, con una preparazione sufficientemente valida ed il giusto grado di fortuna, a raggiungere il più profondo significato della Natura.