Negli ombrosi corridoi asfaltati che percorrono la giungla tropicale, rami bassi e appesantiti, che ricadono esponendo piccoli tesori, oblunghi ed odorosi dall’aspetto particolarmente distintivo. Sono i doni naturali della terra, che il sistema dei tre regni di animali, piante e minerale usano come moneta di scambio, perseguendo quello stato di equilibrio da cui trae l’origine il reciproco benessere dell’esistenza. Sono… Ovunque. Inclusa Internet, dove compaiono all’interno delle foto, stranamente appetitose, che compaiono nei gruppi Facebook e in mezzo alle pagine degli altri social network: “Ah, perfettamente deliziosi.” Oppure: “Che ricordo magnifico della mia infanzia! Da quando sono andato altrove per lavoro, non li ho più trovati.” E tutti sembrano riuscire a commentare quel sapore, tranne chi dall’altro lato dello schermo osserva, interrogandosi sull’effettiva provenienza di quel frutto dall’aspetto particolarmente insolito, nonostante il nome alquanto semplice, persino mondano. “Mela d’acqua” o “Mela di Cera” per quanto l’aspetto tenda a ricordare, più che altro, quello di una pera. E manchi d’appartenere, nella realtà dei fatti, all’una e l’altra categoria, rientrando piuttosto in un vasto genere dalla definizione scientifica di Syzygium, di piante appartenenti alla famiglia delle mirtacee i cui frutti rientrano piuttosto nel gruppo delle bacche. Essendo ragionevolmente privi, in altri termini, di una componente interna legnosa e/o scorza dura, ad ulteriore contributo delle proprie straordinarie qualità alimentari. Mentre viene consumato, generalmente crudo al prelievo diretto dall’albero, ma anche all’interno di notevoli marmellate, capaci di mantenere integre le sue presunte qualità benefiche ed anti-infiammatorie. Non che occorra giustificarsi mediante alcun tipo di finalità ayurvedica e medicinale, per voler mangiare il più possibile qualcosa di così attraente, nel suo naturale e lucente splendore nonché a quanto dicono, anche il gusto particolarmente rappresentativo. A patto, s’intende, di voler in qualche modo generalizzare, vista la straordinaria quantità di varianti, sia selvatiche che coltivate dall’uomo, che condividono lo stesso ampio areale d’appartenenza. A partire dalle rosse Syzygium malaccense, originarie della Malesia e spesso tra quelle maggiormente messe in mostra su Internet, causa il loro aspetto straordinariamente fotogenico e le dimensioni molto interessanti. Senza dimenticare le S. samarangense, una vista tipica dell’isola di Java e il resto dell’Indonesia, dalla forma maggiormente tondeggiante e una colorazione tendente al verde pallido ma non meno invitante. E che dire invece delle S. cumini dalla grandezza approssimativa di un chicco d’uva, anche dette prugne di Malabar o Jambalar? Benché risulti opportuno specificare la maniera in cui, data la natura da sempre considerata utile all’umanità, molte specie di questa pianta siano appartenute al gruppo delle cosiddette “piante della canoa” trasportate in lungo e in largo durante l’antica diaspora polinesiana. Arrivando a comparire anche nelle isole Hawaii, in buona parte dell’Australia ed in epoca più recente, persino in Jamaica, dove sono alla base di un’industria fiorente con ottimi ritorni d’investimento lungo tutto il territorio nordamericano. Questo perché la maggior parte delle mele d’acqua, per loro implicita natura, appartengono a quel tipo di frutta tropicale particolarmente difficile all’esportazione, causa la tendenza a maturare presto ed attraversare altrettanto rapidamente il periodo ideale della consumazione, senza neppure prendere in considerazione l’inerente fragilità che si trova diametralmente all’opposto di un valido e sereno trasporto fino a destinazione. Ed è forse proprio per questo, che continua a costituire soltanto uno strano sogno, o lontano desiderio, per buona parte dei suoi molti ammiratori di provenienza europea…
Dall’osservazione delle manovre di raccolta e stoccaggio di una buona parte dei frutti appartenenti al genere Syzygium, quindi, è possibile trarre l’impressione di trovarsi di fronte a una tipologia di frutto che necessita di molte attenzioni non soltanto logistiche, ma anche durante il periodo della crescita e al momento della raccolta fatta rigorosamente a mano. Il che potrebbe sembrare strano per un tipo di pianta che possiede ancora tante varietà selvatiche e assolutamente indipendenti dall’uomo, inclusi molti cultivar tornati progressivamente allo stato ferale, ma assume un senso assai più ragionevole nel momento in cui si pensa alle esigenze, e le tipiche caratteristiche dell’economia di scala. Interessante resta, nondimeno, la maniera in cui la cosiddetta Jambu Air (un tipo di S. samarangense derivante da piccoli alberi simili a peri) viene attentamente tutelata nella piantagione dell’isola di Sunda mostrata nel canale YouTube specializzato Noal Farm, mediante l’utilizzo di sacchetti di plastica disposti accuratamente per coprire ciascun grappolo di frutti, con l’obiettivo dichiarato di tenere il più possibile lontani gli insetti. Un rischio apprezzabile anche a pieno titolo nel video sull’argomento dell’esperto recensore e consumatore di frutta Weird Explorer, che durante uno dei suoi viaggi presso Serian, Sarawak, mostra alcune mele d’acqua acquistate in un mercato vicino a poca distanza da appetitose larve giganti di coleottero, ciascuna delle quali evidentemente perforate dalla soggettivamente indesiderabile presenza artropode di uno strisciante clandestino. Non che ciò lo freni dal gustarle con ottimo e palese entusiasmo (dopo tutto, è facile immaginarlo, occorrerebbe ben altro per dissuaderlo!) aprendo il capitolo dell’immancabile descrizione del sapore, come sempre di valore inestimabile al fine di contestualizzare un cibo tanto inaccessibile nel nostro paese. Ora non è semplice nei fatti, ed è lui stesso il primo ad ammetterlo, capire quali specie o varianti esattamente siano l’oggetto di questa particolare esperienza gastronomica, viste le letterali centinaia, se non addirittura migliaia di Syzygium diffuse nell’intero territorio d’Oriente ed oltre, spesso con crescita e diffusione in grado di estendersi per l’intero ciclo delle stagioni. Il nostro eroe non sembra tuttavia particolarmente colpito dall’effetto dimostrato sulle sue papille al primo morso, descritto come una via di mezzo tra l’aspro ed il dolce, ma soprattutto non particolarmente intenso o memorabile rispetto da altre delizie agresti acquistate nel corso dello stesso viaggio o quelli precedenti. Decisamente meglio va con il secondo frutto, di una colorazione tendente al verde, il cui sapore appare maggiormente “floreale” (forse si riferiva più che altro al profumo?) ed altrettanto gradevole risulta essere la consistenza, morbida ed al tempo stesso croccante come quella, per l’appunto, di una mela. Il che rientra a pieno titolo nel tipo di commenti generalmente reperibili online per quest’ampia varietà di frutti, che possono risultare a seconda dei casi notoriamente poco saporiti, al punto da essere comunemente venduti assieme ad appositi sacchetti con miscele di sali e spezie, piuttosto che una letterale festa del gusto in una splendida commistione situata nel punto intermedio tra il sapore di un cocomero e una mela. Eventualità, quest’ultima, particolarmente e notoriamente associata a particolari cultivar originari dell’isola di Taiwan, la cui vendita al dettaglio soprattutto in territorio giapponese tende a generare introiti alquanto considerevoli, ad ogni livello della rilevante filiera commerciale.
Come le creature mitologiche di affascinanti leggende o draghi serpeggianti nei cieli d’Oriente, la mela o pera (o prugna, o susina) d’acqua inizia lentamente a fare la sua comparsa nella cultura globalizzata, filtrando progressivamente nei luoghi più insoliti ed inaspettati. Vedi ad esempio il recente ed ultra-popolare videogioco Genshin Impact della cinese Mihoyo (anteprima a settembre del 2020) nel quale molti utili ingredienti possono essere raccolti, per potenziare o curare i personaggi utilizzati dai giocatori, tra cui l’attraente frutto chiamato fantasiosamente Sunsettia ed in molti casi scambiato per una pera, in realtà riconducibile a questo mondo gastronomico immediatamente riconoscibile in tutta l’Asia. Sebbene sia comunque ragionevole pensare che possa trattarsi nell’idea originaria degli artisti dell’anacardio, frutto dall’aspetto e forma simile, ma di tutt’altra provenienza tassonomica e soprattutto idealmente caratterizzato dall’essenziale e vistosa noce posta nella sua parte inferiore.
Ed è sotto alberi soltanto digitali, proprio per questo, che molti di noi potranno pronunciare quel solenne e importantissimo giuramento. Di potersi trovare sotto quei pendenti rami, un giorno o l’altro, ed allungar la mano a cogliere il tesoro mai proibito della conoscenza. Checché ne dicano le lobby roboanti e prive di sostanza, ostili ad ogni novità possibile, dei metaforici paradisi ormai perduti all’umanità.