Uccidere per sopravvivere, divorare allo scopo di ottenere la prosperità. In quella voragine che si spalanca innanzi alla condanna, quotidiana, di creature, materiali e risorse… Un apparato che comincia col pedissequo sminuzzamento, tra la pluralità di aguzzi denti, sopra il moto serpentino di una lingua ed a seguire giù nella voragine di un tubo, fino a quella sacca ricolma d’acido che è lo stomaco umano. Esiste nulla, a ben pensarci, di più orribile del nutrimento? Cibo per l’anima e soddisfazione dell’anelito, che antepone la necessità dell’individuo all’integrità della sua anima e del mondo. Che ancor più orribile diventa, quando si scelga di applicare un distinguo dalle naturali necessità che condizionano la nostra vita: bulimia, anoressia, apatia ed ogni altra immaginabile tipo di malattia, mentre il corpo deperisce e in breve tempo lo segue la mente, fino alla cessazione di ogni necessaria funzionalità dell’organismo. Per non parlare della pica, condizione assai specifica (e per fortuna, piuttosto rara) il cui nome deriva dal termine latino che significa gazza, un uccello ritenuto all’epoca capace di mangiare qualsiasi cosa. Il cui strano anelito, per l’appunto, viene comunemente ritrovato in chi ha l’inclinazione a fagocitare ogni possibile materiale, indipendentemente dal suo contenuto nutriente oppur nocivo, addirittura velenoso. Tendenza simile a quella di un infante, che spesso conduce a un’esistenza dolorosa e in ultima analisi, una dolorosa dipartita prima del raggiungimento della tarda età. A meno che…
Un sistema digerente d’acciaio, e una ferrea volontà fondata sull’esperienza. Unita al desiderio d’iscrivere il proprio nome a lettere di fuoco nella storia della gastronomia globale. Simili punti di forza sembrerebbero aver guidato le scelte di vita di Michel Lotito alias Monsieur Mangetout (1950-2007) il francese originario di Grenoble che sotto lo sguardo dei suoi amici prima, quindi le telecamere e i rappresentanti del Guinness dei Primati, riuscì a fagocitare l’impossibile a vantaggio di un pubblico ludibrio mai del tutto ipotetico o privo di basi pratiche d’apprezzamento collettivo. Ciò in quanto il suo metodo privo di termini di paragone, praticato per una buona parte dei suoi 57 anni su questa Terra, prevedeva la consumazione a più riprese anche di oggetti particolarmente ingombranti, gradualmente trangugiati con l’ausilio di copiose quantità d’olio minerale, attraverso periodi capaci di durare settimane, mesi o persino anni. Come nel caso maggiormente celebre del Cessna 150, da lui consumato tra il 1978 e il 1980 dopo averlo smontato un pezzo alla volta ed introdotto attraverso la fornace posizionata tra il suo naso ed il mento. Senza riportare, a quanto certificò il suo medico, alcun tipo di conseguenza grave per la sua salute, in forza di uno stomaco capace di resistere agli spigoli aguzzi del metallo e persino metabolizzare stoffa, gomma e altri materiali, grazie a succhi gastrici eccezionalmente corrosivi. Una capacità che l’uomo scelse di mettere a frutto verso l’acquisizione della celebrità, mangiando tra le altre cose nel corso della sua carriera: biciclette, lampadari, letti, carrelli del supermercato, un paio di sci, un computer. Quando vari articoli iniziarono a comparire, in giro per la Francia, sulle presunte conseguenze letali di un’attività tanto sregolata, Lotito chiamò le telecamere, sotto il cui sguardo si affrettò a consumare la sua stessa bara. Alla ricezione della placca commemorativa d’ottone per il riconoscimento di “dieta più bizzarra” da parte del Guinness, la fece a pezzi e fagocitò anche quella. Anticipando in un certo senso, se vogliamo, l’inclinazione a fare qualsiasi cosa pur di mantenere la celebrità, in maniera analoga alle abitudini di tanti odierni frequentatori di Instagram e TikTok. I quali forse non avrebbero potuto cogliere, in assenza di nozioni storiche in materia, la precisa corrente operativa ed il contesto nazionale in cui costui riusciva a muoversi, come prolungamento fino all’epoca contemporanea di un asse originariamente posto in essere da almeno due insigni predecessori. Ed a partire da quell’evento epocale, che sarebbe stato per l’intera Europa la grande rivoluzione di Francia…
Ma prima di risalire tanto indietro c’è un diretto possibile ispiratore, in effetti, per l’opera compiuta da Monsieur Mangetout, nella figura vissuta tra il 1754 e il 1825 di Jacques de Falaise (al secolo Jacques Simon) che era diventato famoso nella Parigi d’inizio secolo per la capacità di fagocitare qualsiasi oggetto ed animale, nel suo caso perfettamente integri ed orribilmente vivi. Personaggio inizia la sua vicenda nota alle cronache della storia come minatore nelle cave di gesso di Montmartre, finché non gli capitò di assistere per caso allo spettacolo di un gruppo di fachiri indiani, che vide fare fortuna inserendo nella gola una serie di spade attentamente smussate e di una lunghezza calibrata ad arte. Lui che, attraverso il corso della sua pregressa esistenza, era sempre stato in grado d’ingoiare per scommessa vari oggetti spesso non commestibili, senza riportare alcuna conseguenza per la salute. Così nacque l’idea di presentarsi al celebre prestigiatore itinerante e ventriloquo di origini svizzere, Louis Comte, per partecipare alle sue esibizioni dimostrando le eccezionali capacità del proprio organismo. E di leggende attorno a lui, ne nacquero parecchie, vista l’inclinazione a trangugiare orologi, noci, pipe, topi passeri ed anguille, senza neanche preoccuparsi di masticare. Almeno finché uno di quei pesci sguiscianti, risalendo per il suo esofago, non si aggrappò dolorosamente al retro delle sue nari, costringendolo a interrompere momentaneamente lo show. In un altro caso celebre, poiché i termini del teatro prevedevano che qualsiasi cosa ingoiata diventasse di sua proprietà, Jacques ingoiò una quantità approssimativa di 300 franchi in pezzi da cinque, diventando a tutti gli effetti un salvadanaio umano, con conseguenti dolori significativi ed il bisogno di indossare una cintura particolarmente alta e stretta, mentre si aggirava tintinnando per il vicinato. La sua carriera ebbe quindi termine prematuramente attorno al 1821, per l’insorgere di un grave e persistente caso di gastroenterite, conseguenza di un’attività che aveva in ogni caso sempre praticato per guadagno ed acquisizione di gloria personale, piuttosto che una condizione clinica pre-esistente. A differenza di colui che, nel secolo antecedente, aveva aperto per primo gli occhi della Francia sulla valle spesso enigmatica costituita dall’universo oscuro della polifagia.
Immaginate quindi, anche soltanto per un attimo, vivere quei drammatici momenti e il capovolgimento lungamente paventato, di un sistema monarchico che tanto a lungo aveva regolato il sistema di valori sociali e la struttura stessa della società umana. Ed immaginate muoversi all’interno di un simile scenario fiammeggiante, l’ombra teatrale di un letterale Grendel o Gollum, l’orco, il troll, ovvero il mostro “umanoide” capace di sovvertire ogni ragionevole aspettativa su cosa potesse essere, o fare un individuo veramente affamato.
Tarrare, di cui conosciamo solamente il soprannome, era il giovane nato nel 1772 che venne cacciato via dalla casa della sua famiglia finanziariamente disagiata, per l’abitudine ad ingurgitare da solo un’intera moltitudine di cibi ed ogni riserva a lungo termine dei suoi genitori. Per vagare secondo la leggenda in giro per la Francia con un disparato gruppo di ladri, prostitute e un impresario fanfarone, effettuando spettacoli in cui divorava qualsiasi cosa il pubblico scegliesse di porgergli. Finché una volta giunto presso la capitale, non decise che era giunto il momento di mettere la testa a posto, arruolandosi nell’Esercito Rivoluzionario. Egli aveva circa 17 anni all’epoca, ed è qui che ebbe inizio la sua leggenda. Si dice infatti che nessuna razione potesse soddisfare Tarrare, il quale sfuggiva continuamente alle guardie notturne per andare a rovistare nella spazzatura, rubare vettovaglie o catturare i piccoli animali di Parigi, come ratti o felini. Ciononostante, il suo aspetto viene spesso descritto come magro al punto di sembrare smunto, con soli 45 Kg di peso, con capelli molto sottili e labbra quasi invisibili. Ma la sua bocca era capace di allargarsi all’inverosimile, così come il ventre, che un medico avrebbe descritto in grado di “gonfiarsi come un’enorme palloncino” ogni qualvolta l’uomo portava a termine uno dei suoi spropositati banchetti. Inoltre, i resoconti coèvi parlando di una notevole tendenza alla sudorazione e persino l’emanazione di vapori descritti come nauseabondi, sintomi giudicati a posteriori come coerenti con una possibile condizione d’ipertiroidismo. Chiaramente mai diagnosticata all’epoca, durante cui fu pensato che egli fosse solamente un uomo molto strano, possibilmente affetto da un qualche tipo di malattia mentale. Il che non avrebbe d’altra parte impedito al generale Alexandre de Beauharnais d’elaborare un piano per sfruttare le eccezionali doti del suo sottoposto, facendone una spia capace di trasportare qualsiasi messaggio dietro le linee nemiche, semplicemente ingoiando una scatola di legno contenente ordini o rapporti segreti. Così il ragazzo, non particolarmente scaltro o svelto a elaborare soluzioni, fu inviato nel territorio di Prussia, dove non conoscendo neppure il tedesco venne ben presto riconosciuto e sottoposto a un interrogatorio. Frustato e malmenato, confessò quindi l’idea del suo superiore, finendo per essere legato dietro la latrina finché non fu possibile recuperare il contenuto del suo stomaco. Il quale si rivelò essere, ad ogni modo, soltanto un messaggio di prova per un colonnello francese prigioniero del nemico, permettendo il successivo rilascio e ritorno in patria del povero malcapitato. Ed è proprio a questo punto, che la vicenda inizia ad assumere i suoi tratti maggiormente tragici e cupi.
Iniziando a risentire delle sue tremende abitudini alimentari Tarrare scelse quindi di chiedere aiuto alla scienza medica, facendosi ricoverare presso l’ospedale militare di Soultz-Haut-Rhin. Luogo in cui venne piuttosto sottoposto ad ogni tipo d’esperimento, tra cui cure a base di laudano e cocaina, ma anche pasti a base di ogni possibile creatura reperita dal personale “medico” incluse lucertole, serpenti e cani. In un caso particolarmente celebre, l’uomo prese un gatto tra le sue mani, lo fece a pezzi, ne bevve il sangue e lo ingoiò completamente fatta eccezione per le ossa ed il pelo. Ma con il trascorrere dei giorni, neanche questo sembrò bastare a soddisfarlo, mentre vagava disperato per le corsie dell’edificio, ormai più simile a una belva che ad un essere umano. Ed è qui che la storia inizia a diventare meno credibile, con un potenziale intento a sconvolgere i suoi fruitori: pare infatti che Tarrare avesse iniziato a bere il sangue delle trasfusioni ed ogni altro tipo di scoria medicinale. Finché un giorno particolarmente infausto, avvenne l’inimmaginabile: un bambino di poche settimane era sparito dalla corsia. E proprio lo strano e derelitto individuo, venne sospettato di averlo rapito e messo in atto l’efferata pratica del cannibalismo.
In assenza, per sua e nostra fortuna, di prove, Tarrare venne comunque allontanato dall’ospedale iniziando a vivere come vagabondo. Per ricomparire alle cronache soltanto quattro anni dopo, nel 1798, chiedendo aiuto per estrarre una forchetta d’oro che affermava essersi piantata dolorosamente nei suoi intestini. Ma la diagnosi fu di tutt’altro tipo: aveva infatti contratto la tubercolosi. Morì di lì a poco tra atroci tormenti, lasciando un cadavere tanto maleodorante che secondo i resoconti scientifici dell’epoca, molti dottori si rifiutarono di praticarne l’autopsia. Fatta eccezione per alcuni coraggiosi, che all’apertura del corpo scoprirono un canale digerente vasto e diretto, tale da permettere di scorgere lo stomaco guardando direttamente tra le fauci del defunto. Ogni parte del suo apparato digerente, inoltre, era coperto di ulcere e cicatrici.
La polifagia, questa tendenza inimmaginabile a fagocitare qualsiasi cosa, può quindi essere una condanna, l’effetto e la concausa di gravi condizioni di salute. Ed anche la via d’accesso ad un livello superiore di celebrità e ricchezza. Ma come ogni altra inclinazione che devia sensibilmente dalla convenzione, richiede un senso della misura particolarmente ben calibrato. E la capacità di dire basta, prima di essere del tutto sazi. Le conseguenze, altrimenti, sono difficili da prevedere. Mentre alla fine, nessuno riuscirà a ritrovare neppur l’agognata metafora (scomparsa) della forchetta d’oro.