Mentre acquistava familiarità con il suo nuovo corpo, successivamente all’emersione dallo stato pupale, la piccola creatura corazzata rossa e nera prese familiarità coi nuovi confini del suo mondo. Per la prima volta non più limitata allo spazio oscuro e nutritivo della propria cripta vegetale, entro cui sfruttò le forti mandibole per completare il tunnel che per tanti mesi aveva scavato in forma di verme. E con un gran sospiro, emerse dalla foglia in mezzo al tenero lucore della foresta. Voltando allora la sua testa dalle sensibili antenne prima a destra, poi a sinistra, chiese all’Universo quale fosse il suo scopo. “Vola, mio elicottero.” Rispose la possente voce che esisteva solamente nel suo semplice sistema nervoso. “E quando avrai trovato il luogo adatto, fai lo stesso.” Lo stesso. Lo stesso! E mentre irrigidiva i forti muscoli del proprio collo, puntando dritto in avanti quel timone longilineo, il curculionide giraffa del Madagascar decise che ad ogni costo ci sarebbe riuscito. In quella che sapeva essere, nel profondo della sua anima chitinosa, l’ultima e più breve stagione della sua esistenza.
Non tutti conoscono la figura del zoologo francese Jean-Baptiste Lamarck (1744–1829), creatore di una delle più diffuse teorie sull’evoluzione prima che Charles Darwin pubblicasse l’Origine delle Specie (1859). Inventore del cosiddetto lamarckismo, antecedente alla cognizione della selezione naturale, secondo cui non fossero fattori esterni a determinare gli aspetti e le capacità degli animali. Bensì il loro più profondo “desiderio” di accedere a determinati metodi o stili di vita. Così la gazzella, manifestando il suo bisogno di sfuggire al leone, sviluppava muscoli più forti e trasmetteva in modo intrinseco tale dote anche alla sua prole. Il che potrebbe non sembrare tanto eccezionale o irragionevole, finché non si arriva ad abbinarlo all’altra nozione essenziale del lamarckismo: la trasformazione. Processo per spiegare il quale, normalmente, si usa l’esempio prototipico della giraffa. Animale che scrutando affamato, giorno dopo giorno, le più tenere e invitanti foglie che pendevano sulla savana, riuscì gradualmente ad allungare il suo collo fino al distintivo aspetto attuale. Così come almeno idealmente, qualunque altro essere avrebbe potuto fare lo stesso, se soltanto avesse posseduto la stessa notevole forza di volontà. Una visione che indubbiamente avrebbe potuto individuare valida conferma, se soltanto nel corso della sua esistenza fosse stata scoperta la creatura malgascia oggi nota alla scienza come Trachelophorus giraffa, il singolo insetto dal collo più sproporzionato al mondo. La cui data d’etichettatura varia in modo molto significativo, a seconda della fonte che si scelga d’utilizzare, tra un’improbabile 2008 secondo i siti internet virali e le altre testate che ne parlarono qualche tempo fa, a seguito della circolazione di una serie di foto scattate dal naturalista russo Nikolay Sotskov. Al ben più remoto 1860, come riportato negli studi dell’entomologo francese Henri Jekel. Senza dimenticare un possibile e intermedio 1929, all’interno del Catalogo elettrico dei nomi degli insetti, con l’autore della descrizione identificato unicamente come “Voss”. Chiunque sia stato l’effettivo scopritore di questa bizzarra creatura, ad ogni modo, possiamo affermare con certezza che nessun studio particolarmente approfondito è mai stato svolto a suo proposito (dopo tutto, appartiene a una famiglia con oltre 97.000 specie) benché molti comportamenti e fattori possano essere desunti con facilità dal contesto. Il coleottero giraffa appartiene infatti alla categoria dei curculionidi, più volgarmente detti tonchi o punteruoli, di cui fanno parte anche numerosi altri insetti infestanti del grano, la crusca e gli altri cereali così frequentemente immagazzinati dall’uomo. Molti di voi potranno effettivamente associarlo alla lontana alla specie Sitophilus oryzae delle prototipiche “farfalline del riso”, una delle più abili nel perseguitarci e la più efficace nel mettere in pratica tecniche di volo. Che ciò derivi dai precedenti peripezie costate la capacità di riprodursi ai suoi predecessori, piuttosto che un interno desiderio pluri-generazionale, una cosa possiamo affermare con certezza: che il suo cugino della principale isola africana, semplicemente, non possiede una forma particolarmente aerodinamica o adatta a fare lo stesso…
Questo perché il T. giraffa piuttosto, con la sua misura approssimativa di circa 2,5 cm collo incluso (che costituisce più della metà della lunghezza dell’animale) appartiene ad un gruppo particolarmente distintivo di curculionidi, chiamati Attelabidae o in modo informale “insetti arrotolatori di foglie”. Creature che vedono in genere i caratteristici pedipalpi o “baffi” della famiglia ridotti sensibilmente nelle dimensioni, se non del tutto assenti, mentre il rostro frontale si allunga esponenzialmente al fine di compiere con la massima efficienza il compito per il quale si sono preparati durante l’intero lungo periodo larvale. Caso vuole, tuttavia, che l’effettiva pianta usata come principale fonte di cibo dal nostro tonchio malgascio, esponente vegetale delle melastomacee nota come Dichaetanthera cordifolia (o più raramente, D. arborea) presentasse delle appendici clorofilliane sufficientemente resistenti e coriacee da richiedere una forza, e struttura fisica, ancor più forte e funzionale. Ecco dunque l’origine del collo pieghevole dotato di muscolatura possente, coadiuvato da mandibole particolarmente affilate ed utili a rosicchiare, gradualmente, la venatura centrale della foglia prima di tentare l’arduo compito di arrotolarla attorno alla propria prole, composta generalmente da un singolo uovo deposte più volte l’anno (fino a sei). Una particolare ripresa effettuata in epoca recente e che potete osservare qui sopra, per un documentario della BBC del 2011 con la riconoscibile voce di Sir Attenborough, dimostra tuttavia l’esistenza di un ulteriore fattore possibile in alternativa al desiderio ipotetico della giraffa: quello della selezione ad opera degli esemplari di sesso femminile. Inclini a presenziare, nella ricorrente stagione degli accoppiamenti, formidabili tenzoni tra i maschi dal collo molto più lungo del loro, durante cui i coleotteri si percuotono a vicenda con tale arto in maniera non dissimile da quanto fatto dai mammiferi più svettanti d’Africa, almeno finché uno dei due non verrà scaraventato via senza eccessive cerimonie giù dalla foglia. Segue quindi l’accoppiamento, deposizione ed il complesso e articolato processo di costruzione del pacchetto-foglia, entro cui dovrà restare protetto il piccolo con il mandato di mangiarlo dall’interno. Passaggio in merito al quale sembrerebbero esserci di nuovo discrepanze su Internet, con alcuni siti pronti a giurare che sia il maschio a compiere tale mansione d’arrotolamento (visto il collo più lungo) piuttosto che la femmina (capace di muoverlo con maggior precisione) o che addirittura i due collaborino (improbabile, direi) alla maniera delle aquile che a turno covano nel proprio alto nido. Fatto sta che ad opera conclusa, diversamente da altre specie di curculionidi impacchettatori, il tonchio giraffa reciderà del tutto la foglia lasciandola cadere a terra, con il fine probabile di nasconderla al meglio dai predatori. Contro i quali, secondo talune trattazioni, s’industrierebbe a continuare a fargli la guardia, girandogli attorno con la sua forma stranamente indomita sebbene dalle proporzioni decisamente ridotte.
Per quanto concerne d’altra parte la presunta rarità dell’animale, possiamo solamente riportare in via del tutto aneddotica come esso costituisca una vista “ragionevolmente frequente” nei suoi legittimi areali d’appartenenza, che includono il famoso parco naturale di Ranomafana, rendendo ancora più improbabile l’idea secondo cui esso possa essere stato scoperto soltanto nel corso dell’ultimo decennio. Mentre l’indice internazionale dello IUCN, allo stato dei fatti attuali, manca ancora di una classificazione e valutazione ufficiale, ritardando nei fatti l’attuazione di eventuali iniziative di conservazione o allevamento su larga scala. Processi potenzialmente necessari, data la relazione simbiotica con una singola specie di pianta, così strettamente legata al destino del suo territorio.
Occasionalmente scambiati con gli scarabei, altri coleotteri con cui hanno in realtà ben poco a vedere (esiste a tal proposito in Nuova Zelanda, un altro tipo di “tonchio giraffa” appartenente piuttosto alla famiglia dei brentidi) i curculionidi costituiscono la dimostrazione pratica di quale grado di specializzazione sia capace di raggiungere la natura, nel momento in cui necessiti di determinate risorse al fine di preservare una particolare forma di vita. E ciò indipendentemente da quale sia l’effettiva fonte di un simile processo, che provenga dall’esterno, oppure il più profondo essere del suo diretto interessato.
Che con sguardo telescopico, dalla cima di quel collo molto più che taurino, potrà continuare a sentirsi chiedere per molti secoli a venire: “Che tempo fa lassù?” Pioggia, grandine e tempesta. Il chiasso ed il clamore degni di un’artropode celebrità.