L’espediente sociolinguistico delle cercopiteche nasobianco per difendersi dai leopardi

Uno sguardo carico di un qualche tipo di saggezza insospettata, espresso da occhi rossastri incorniciati tra vistose sopracciglia nere alla base e gialle in punta, orecchie ursine e un naso bianco e candido come la neve. Quali segreti si nascondono nel tuo vissuto? Quale insegnamento possiamo trarre, dalle particolari esperienze della tua irsuta esistenza?
Molti sono i metodi attraverso cui, nell’ampia varietà di specie che abita la Terra, riesce a esprimersi l’intelligenza. Intuito, costruzione di strumenti, dinamiche d’interazione all’interno del singolo clan scimmiesco, calcolo del quadrato che costituisce l’ipotenusa del triangolo scaleno. Le più notevoli manifestazioni di potere cognitivo, tuttavia, sono quelle che risolvono un problema, riuscendo a trovare la strada per farlo a partire da circostanze storicamente avverse, tramite l’accumulo di metodi creati dalla collettività in gramaglie. Il che può includere, nel caso degli umani, convenzioni sociali create tramite anni o qualche decade. Per gli animali dalla mente più monotematica, secoli o millenni. E nel caso delle scimmie che si trovano in mezzo ai due contrapposti estremi, una quantità di tempo variabile, che può trovare la realizzazione in base a scale cronologiche particolarmente diverse. Come nel caso del sistema utilizzato dal cercopiteco nasobianco dell’Africa Centro-Occidentale (C. nictitans) usato per difendere il suo spazio nell’ambiente in bilico tra giungla e savana, figlio della sua particolare interpretazione in merito allo scopo, e le modalità dell’interazione maschi-femmine con suoni, gesti e iniziative per difendere il territorio.
Trattasi di scimmia arboricola, del peso medio approssimativo di 4,2-6,6 Kg, con un aspetto particolarmente distintivo e non particolarmente studiata, almeno fino all’articolo pubblicato alla fine del mese scorso da studiosi e naturalisti della Wildlife Conservation Society presso il parco naturale Nouabalé-Ndoki, nella Repubblica del Congo, sulla rivista Open Science. Un’interpretazione dell’intera faccenda nata a partire dall’esperienza fatta di travestirsi con finte pelli di leopardo, avvicinandosi di soppiatto ad alcuni gruppi di primati composti come di consueto da 15-20 esemplari e registrando per la prima volta i loro scambi allarmati, finalizzati ad attivare i meccanismi di autodifesa in possesso del branco. Già da tempo sapevamo, in effetti, della complessa serie di vocalizzazioni ragionevolmente simili a un’idioma fatto di grida, trilli e cinguettii, di cui facevano uso queste creature al fine di concordare a distanza un metodo adeguato per risolvere problemi di una simile natura. Linguaggio che prevede suoni come “hack-hack” quando la minaccia avvistata sottintende la presenza di un’aquila coronata (Stephanoaetus coronatus) piuttosto che un predatore di terra, identificato con un caratteristico “pyow!” oppure “kek” a seconda della distanza. Per non parlare della deriva modulata del significato, che può risultare dalle diverse estensioni, combinazioni e modulazioni di tali suoni, capace di esprimere concetti complessi quali “affrettatevi a fuggire” piuttosto che “restate immobili, nessun rumore”. Ciò che mai era stato tuttavia documentato, per mancanza di un approccio sperimentale realmente adeguato, era la maniera in cui tali vocalizzazioni potessero variare anche in modo sensibile tra i singoli esemplari, ed in modo particolare tra quelli di sesso maschile e femminile.
Stiamo parlando, in altri termini, di un complesso sistema di attribuzione dei ruoli, figlio di quel potere che in molte specie possiede la metà di Venere rispetto all’infuocato cielo Marziano: decidere chi è degno di costruirsi una futura eredità biologica, senza ricatti ne alcun tipo di forzatura. Ma escludendo in forza della pura necessità selvatica coloro che, di contro, dovranno aspettare fino alla prossima occasione per riuscire a costruirsi una discendenza…

Il breve video prodotto dalla WCS a sostegno del nuovo studio offre l’opportunità di udire i diversi richiami del cercopiteco. Non credo di essere l’unico, tuttavia, che avrebbe voluto assistere alla singolare scena degli scienziati vestiti da leopardo.

Quanto gli autori dello studio del WCS, Frederic Gnepa Mehon e Claudia Stephan, sono quindi riusciti a documentare in modo privo di precedenti, è la maniera in cui le femmine del gruppo di scimmie, messe di fronte al pericolo, emettessero soltanto un quinto tipo di suono, più soffuso e precedentemente ignoto, che potremmo traslitterare come un “chirp” molto breve e privo di alcuna modulazione di frequenza. Un richiamo emesso soltanto un numero limitato di volte oppure fino alla risposta molto più rumorosa dei loro cospecifici di sesso maschile, seguita da una transizione verso l’assoluto silenzio mentre le madri, figlie e sorelle prendono i piccoli e corrono a mettersi in salvo. Ciò che gli scienziati descrivono nel loro resoconto, in altri termini, era un approccio difensivo estremamente raro, per non dire unico all’interno dell’intero mondo naturale; una struttura in cui non soltanto il ruolo dei sessi dominava l’interazione dei primati, ma una reazione più pronta e risolutiva, da parte del maschio, veniva successivamente ricompensata nella selezione del futuro partner riproduttivo. Dovete considerare a tal proposito come, per il cercopiteco nasobianco, la tipica struttura del gruppo preveda un unico maschio dominante, il cui regno è solito estendersi, senza alcuna possibilità di appello, per un periodo approssimativo di 5 anni. Ciò che può cambiare entro tale periodo, tuttavia, è la costruzione di nuovi gruppi ad opera degli esemplari che raggiungono l’indipendenza, tra cui le loro controparti coetanee avranno l’opportunità di scegliere, in base alla maggiore capacità dimostrata nel proteggere la famiglia e i fratelli minori. Ed è un approccio metodologico che possiamo immaginare come piuttosto efficiente, nonché in grado di riprendere quel tipo di comportamenti che tanto spesso siamo inclini a definire “quasi umani”, sebbene le pesanti implicazioni di quel meccanismo, tanto spesso, vengano subordinate alle ragioni di convenienza.
Potrà in effetti fare una certa impressione pensare alla scimmia nictitans come una fonte di cibo per gli umani, sebbene questo sia proprio lo sfortunato destino a cui vanno incontro molti esemplari nel territorio del Congo, Guinea, Gabon, Costa d’Avorio, Nigeria e Camerun. Per l’assenza di diffuse superstizioni valide a proteggerne la sopravvivenza, con conseguente inclusione all’interno del variegato repertorio gastronomico della bush meat o cosiddetta selvaggina della savana. Il che potrebbe portare a ramificazioni ecologiche di natura anche piuttosto complessa, dato il ruolo primario occupato da questa specie nella diffusione di semi vegetali, in forza della sua natura frugivora e la capacità di tenere grandi quantità di tali oggetti all’interno delle guance, mentre si sposta da un ramo all’altro disperdendoli attraverso il territorio del sottobosco. Ulteriore problema, a tal proposito, la comprensibile incapacità di queste scimmie di comprendere i confini della proprietà privata, con inevitabile danneggiamento delle coltivazioni intensive create dagli umani e conseguenti ritorsioni ai danni della loro intera specie. Un destino che purtroppo non si preoccupa di tenere conto su chi fosse venuto prima, ed avesse conseguentemente il diritto all’utilizzo privilegiato di quel territorio. Ma questo, se vogliamo, è il segno inevitabile dei tempi, come esemplificato anche dalla drammatica condizione delle scimmie asiatiche in tutti i territori adibiti alla produzione dell’olio di palma. E non c’è naso bianco, o altra caratteristica esteriore degna di essere ammirata, che possa rendere i nostri distanti cugini biologici più attraenti e degni di essere protetti rispetto al richiamo irresistibile del dio denaro.

Anche se non fa mai piacere vedere un animale selvatico al guinzaglio, specialmente quando è un piccolo, questo raro video reperito su YouTube permette di comprendere all’istante le proporzioni di tali scimmie. E il tipo d’interazioni complesse che risultano possibili, nei confronti di creature che possiedono un simile grado di sofisticazione.

Studi come quelli del WCS, almeno in apparenza privi di conseguenze pratiche sulle metodologie e contromisure che possono essere messe in atto per le specie a rischio, possiedono in realtà un ruolo di primaria importanza dal punto di vista comunicativo, potendo servire ad accrescere la percezione pubblica di questi animali ed in forza di questo, in un auspicabile futuro prossimo, favorire l’implementazione di misure potenzialmente risolutive. Magari secondo le linee guida dettate dall’ente di conservazione internazionale dello IUCN, che classifica il cercopiteco nasobianco come specie NT (Near Threatened) ovvero soggetta al rischio dovuto a un progressivo ridursi della sua popolazione proiettato ad un probabile ulteriore 20-25% entro le prossime tre generazioni. Tutto questo, a meno dell’implementazione di nuove leggi contro la sua caccia nei paesi che ne sono ancora privi (Gabon, Costa d’Avorio) e l’utilizzo di misure più stringenti nella restante parte del suo areale (Nigeria, Congo, DRC) dove l’uccisione sistematica di esemplari continua nonostante l’esistenza su carta di leggi mirate a punirne il bracconaggio, giudicato totalmente privo di autorizzazione governativa. Ma come la complessa struttura sociale delle scimmie dal naso bianco dimostra a chi ha voglia e capacità di trarne conclusioni, disporre di un sistema valido non vuole sempre dire avere la soluzione in mano. Giacché occorre una precisione divisione dei compiti. Ed attribuzione valida dei ruoli.

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