Nove pali possono essere ammirati con la bassa marea lungo la spiaggia di Brighton, nella storica contea inglese del Sussex, presso la città architettonicamente interessante di Bristelmestune, oggi più frequentemente indentificata con la semplificazione etimologica di Brighton. Otto sono dei costrutti arrugginiti, dell’altezza approssimativa di tre metri e mezzo, svettanti come zanne solitarie di un massiccio dinosauro ormai polverizzato dal tempo. Il nono sale invece un po’ più in alto, arrivando a misurare con la sua ombra, dal mattino a sera, i più remoti confini visibili del lungo mare. Per quei 162 metri, distribuiti in soli 4 di diametro, tali da farne una delle torri più alte e sottili al mondo. Ma chi fosse naturalmente, e comprensibilmente incline a scambiare da lontano una simile colonna per un’antenna utile alle radiocomunicazioni intercontinentali dovrà ben presto ricredersi, allo spuntare da oltre l’orizzonte di una grande capsula che ne risale il verticale percorso, il cui aspetto sfolgorante sotto la luce dell’astro solare può indicare solo un materiale: vetro, trasparente e inusitato, soprattutto in tali circostanze frutto del più estremo ingegno della società umana. L’avevate mai vista prima? Non è particolarmente nota all’estero. Il che in un certo senso, può indicare la condizione poco desiderabile di un fallimento comunicativo. Già perché la linfa e le vicissitudini di un così atipico punto di riferimento, possono individuarsi unicamente nella quantità di turisti che decidano di visitarlo ogni giorno, settimana e col trascorrere dei mesi. E quest’ultimo anno appesantito dalla pandemia, sotto un simile punto di vista, non dev’essere di certo risultato un aiuto.
Ecco, perciò, l’ultimo video promozionale con indicazioni sulla sicurezza del contagio, pubblicato dalla West Pier Trust, associazione culturale e amministrativa incaricata di curare la promozione dell’i360, risposta dell’Inghilterra Meridionale al grande successo comunicativo e d’immagine della ruota panoramica London Eye. Monumento londinese che avvicina l’estetica della capitale a quella di un colossale Luna Park. E se vogliamo ampliare i confini di quell’area fino alle acque vorticose del canale, non potremo che scorgere quest’altra concessione ad un simile quadro sorprendente, con quel tipo di attrazione che generalmente sale, sale e sale verso il cielo; per poi ricadere, con velocità inquietante, verso il compatto suolo in silenziosa attesa. Ed è tutto esattamente uguale tranne questa specifica modalità d’impiego (difficilmente scalabile senza indesiderabili implicazioni strutturali) nella creazione opera proprio di quello stesso studio architettonico Marks Barfield, responsabile anche del sopracitato monumento sulla riva su del Tamigi. Così due hostess della British Airways, sponsor di una simile improbabile meraviglia, accolgono il pubblico all’interno dell’ufo trasparente con la forma di una grande cipolla, prima d’indicare la collocazione già delimitata dagli “spicchi”, ciascuno corrispondente ad uno dei pannelli che compongono la forma della navicella. Che puntualmente, la concludersi del giro della durata di circa 30-35 minuti, vengono accuratamente disinfettati dal personale operativo dell’attrazione. Certo, nonostante tali ineccepibili linee guida, risulta difficile immaginare per il 2020 e 2021 una quantità di visite anche soltanto prossime alle 800.000 annue, ritenute neccessarie a partire dal completamento nell’aprile del 2016 per riuscire a giustificare l’investimento pregresso di 46,2 milioni di sterline.
L’i350, con un nome che imita lo schema e discende chiaramente dal successo, all’epoca insuperabile, dell’azienda americana Apple, che cinque anni fa pareva dominare incontrastata il mondo dei device tecnologici su scala pressoché globale, costituisce dunque la dimostrazione di quali confini sia possibile oltrepassare, e con quanti approcci tecnologici finalizzati all’obiettivo, sia possibile riuscire a conseguire un qualche cosa di davvero sorprendente. In un contesto urbano e storico, quello di Brighton, già tutt’altro che privo di luoghi e strutture caratteristiche pregresse…
A partire dai sopracitati otto pali di metallo ormai corroso dall’incuria, ovvero tutto quello che rimane dell’antico West Pier, un molo turistico con tanto di edifici per lo svago, bar e ristoranti, che tra il 1866 e il 1975 aveva costituito, per la ridente città costiera del Sussex, un luogo caratteristico in grado di attirare schiere di turisti giunti con il treno o altri veicoli, proprio dalla grande metropoli di Londra situata a poco più di 80 Km a settentrione. Un ruolo tanto a lungo attribuito alla città di Brighton, fin da quando la figura del sovrano Giorgio IV, durante il periodo della cosiddetta Regency (la Reggenza di suo padre il re, affetto da disturbi mentali) fece qui costruire a partire dal 1787 il suo padiglione e residenza per gli occasionali soggiorni di svago, con una distintiva estetica orientaleggiante completa di minareti e colonnati in pieno stile moresco. Il quale costituisce, nei fatti, soltanto una delle molte meraviglie strutturali di questo luogo, che includono il grande complesso di appartamenti risalente all’inizio del XIX secolo di Regency Square, la torre dell’orologio costruita per il giubileo della regina Vittoria nel 1888 e l’ancora operativo molo di Brighton Palace, ultimato esattamente l’anno successivo. Un quadro esteticamente prestigioso ed antico, che rende comprensibile la grande quantità di proteste e obiezioni suscitate, a partire dall’approvazione del progetto nel 2014, per un qualcosa di tanto moderno e fuori dal contesto come l’i360, in apparenza prelevato direttamente da un gusto estetico di terre d’Oltremare e distanti. Per un’idea che nonostante tutto, piacque a chi di dovere per il chiaro potenziale di potenziamento della visibilità cittadina, con conseguenti effetti positivi sull’economia potenzialmente paragonabili a quelle della non troppo distante torre di Spinnaker nell’altra città costiera di Portsmouth, nella confinante contea dello Hampshire. Ma un intento nettamente mirato all’utilizzo e il pagamento reiterato, ed auspicabilmente entusiastico, del biglietto da parte di una quantità di turisti sufficienti a ripagare almeno in parte l’investimento iniziale. Un proposito che mai, storicamente, si è rivelato semplice da soddisfare in simili contesti. Ed in effetti le prime avvisaglie di problemi finanziari hanno iniziato a prendere forma già durante la crisi finanziaria del 2007-2008, con il progetto a conduzione esclusivamente privata che richiede al concilio cittadino un prestito di 14 milioni di sterline, successivamente ampliato a 36 milioni entro l’anno 2013. Con la garanzia e giustificazione, di fronte a un grande pubblico sempre meno entusiasta della strana costruzione, di poter pignorare l’attrazione nel caso di una successiva mancata restituzione della somma, eventualità che ha iniziato a diventare sempre più probabile con la diminuzione delle visite negli anni successivi, che anche nei momenti migliori non hanno superato le 500.000 annue, inferiori di oltre un terzo alle aspettative originariamente auspicate. Ciò, probabilmente, per una serie di casistiche sfortunate, inclusa una serie stagioni estive molto brevi e ventose, con condizioni climatiche avverse per l’uso della capsula, nonché un funzionamento giudicato carente del trasporto ferroviario dalla capitale. Una serie di tre piccoli incidenti, del tutto privi di conseguenze realmente degne di nota, non devono inoltre aver aiutato l’immagine della torre, con i visitatori all’interno rimasti bloccati temporaneamente a varie altezze del loro affascinante, nonché delicato tragitto fino ai confini del cielo. Ma il panorama lassù per chi ha deciso di tornare, alla fine, dovrà necessariamente averli ricompensati, con vista affascinante sui tetti cittadini, il parco naturale dei South Downs e le increspate onde della Manica Inglese…
Mettendo da parte le critiche di natura estetica, professate tra gli altri da una petizione con firme di oltre 1499 tra cui figure della cultura, artisti ed architetti dalla fama internazionale, è innegabile che la torre di Brighton costituisca una significativa meraviglia dell’ingegneria moderna. Costruita con una serie di segmenti tubolari di metallo sovrapposti e rivettati l’uno all’altro, ed una forma aerodinamica della capsula capace di resistere ai significativi venti della costa sud d’Inghilterra. Contenendo, senza fatica, fino a 200 persone allo stesso tempo (escluse eventuali necessità, comunque temporanee, di mantenere il distanziamento sociale) mantenute in condizioni di assoluto comfort grazie alla presenza di un sofisticato impianto di climatizzazione. Certamente degno di nota, dal nostro punto di vista italiano, risulta quindi essere la partecipazione al progetto della compagnia Sigma Composite, parte del gruppo specializzato in trasporto funicolare della Leitner con sede in Alto Adige, che ha collaborato con la Jacobs Engineering e la Hollandia Infra BV per creare quella che doveva risultare essere “la più alta torre mobile al mondo”. Almeno finché non venne scoperto come, nel 2013, fosse già stata ultimata negli Stati Uniti la Top o’Texas Tower presso il Fair Park di Dallas, alta “appena” 150 metri, ma la cui capsula panoramica era in grado di raggiungere un’altezza superiore a quella dell’i360.
Chi ha mai detto, in fin dei conti, che i risultati tecnologici raggiunti debbano per forza essere paragonati a quelli delle altre nazioni, che rispondono a dei canoni formali ed esteriori totalmente distinti? Soprattutto per una torre come quella di Brighton, costruita per sostituire idealmente la forma di quel molo affascinante andato in rovina (ed in effetti, bruciato da un possibile piromane) nell’ormai remoto marzo del 2003, portando alla repentina scomparsa di quello che per tanti anni era stato dato per scontato. E ponendo le basi dell’ineccepibile sostituzione verticale, che vedrà i visitatori avventurarsi in una differente regione dell’azzurro terrestre, non più marittima ma condivisa con il volo degli uccelli al confine dell’Empireo distante. Catene di tipo finanziario, e condizioni avverse di possibile derivazione dedalo/icariana, permettendo.