Rigogliosa foresta relativamente vergine, cercasi nel territorio temperato dell’American Midwest. Quella regione naturalmente equilibrata, ecologicamente tranquilla, dove flora e fauna sopravvivono senza particolari cambiamenti nei reciproci rapporti di correlazione fin dai tempi precedenti alla nostra venuta. O almeno, questo è quello che si dice. Poiché all’ombra dei faggi e degli olmi, degli ontani e degli aceri, qualcosa di spiacevole ha iniziato ad accadere. Proprio alla base degli alti tronchi, dove un tempo crescevano bassi cespugli ed erbe mediche, o attecchivano i virgulti delle prossime preziose ramificazioni, compare sempre più di frequente il suolo scarno e privo d’altri ornamenti, con soltanto qualche timido filo d’erba circondato dalla polvere dei cupi giorni odierni. Situazione, questa, motivata dalla persistenza di qualcuno che continua a esistere non visto, sotto la copertura delle foglie e sotto i suoi svariati centimetri di terra. Strisciando nell’oscurità e l’essenziale consapevolezza, come il Diavolo dei vangeli, di aver convinto l’intera umanità di essere un mero prodotto dell’immaginazione della gente.
Ma Amynthas agrestis giunto dalla Corea e il Giappone esiste davvero, sebbene sia diffusa l’abitudine di attribuirgli un’ampia varietà di nomi. Tra cui verme saltatore, verme serpente o Alabama jumper, terminologia particolarmente utilizzata quest’ultima dai pescatori dell’omonimo stato, per tutti quegli anellidi che si mostrano capaci di agitarsi più a lungo, riuscendo ad attirare verso l’amo i migliori tesori pinnuti delle profondità lacustri e/o fluviali. Sebbene stiamo parlando, nella realtà dei fatti, di creature appartenenti a una famiglia tassonomica nettamente distinta e piuttosto vasta, quella denominata Megascolecidae originaria dell’Asia Orientale e dell’Australia, con significative differenze morfologiche rispetto al tipico lombrico di provenienza europea, fino alla disposizione degli organi stessi all’interno del suo corpo tubolare. Esteriormente, quindi, l’animale presenta una lunghezza generalmente inferiore ma un corpo tozzo, con un vistoso clitellum bianco (ghiandola impiegata per la protezione delle uova) a un terzo della distanza dalla testa, che spicca sul colore rossastro di una forma per il resto ragionevolmente ordinaria. Mentre qualcosa di più nettamente diverso appare evidente nel momento in cui si tenta di afferrare, o in qualsiasi altro modo si disturba il verme: poiché piuttosto che reagire agitandosi o tentando di strisciare via, la specie in questione presenta la capacità di sobbalzare con violenti sussulti paragonabili a quelli di un serpente a sonagli, qualche volta lasciando dietro di se la coda e tentando letteralmente di terrorizzare la percepita minaccia cogliendola di sorpresa. Una reazione sottilmente inquietante che nei fatti anticipa la natura molto problematica di tali creature, capaci di rovinare in modo irrimediabile il sistema ecologico alla base della rigenerazione vegetativa. In forza della loro propensione alla voracità, per non parlare dell’indole aggressiva che gli permette di scacciare via letteralmente tutti gli altri tipi di verme, riservando solamente a loro stessi quell’intero spazio vivente che riusciva un tempo a perpetrare se stesso.
Poiché la propagazione del verme pazzo, in costante crescita nell’intera parte settentrionale degli Stati Uniti, può essere facilmente rilevata attraverso la presenza di un diverso tipo di terriccio, secco e di colore assai scuro, totalmente incapace di fornire nutrimento a qualsivoglia tipo di pianta. Il cui aspetto, convenzionalmente, è stato paragonato ai residui che fuoriescono dalla caffettiera, ogni qualvolta si procede per riporla prima dell’utilizzo successivo…
Nessuno sa esattamente, dunque, quando il verme A. agrestis ha iniziato a diffondersi nei territori dove non costituisce specie nativa, sebbene l’evento sia generalmente fatto risalire attorno alla fine del XIX secolo, con l’aumento esponenziale dell’importazione delle pianti provenienti dal distante Oriente. Ciò detto e per ragioni non del tutto comprese, l’invasione avrebbe avuto luogo soprattutto negli Stati Uniti al di là dell’oceano, come apprezzabile dall’assenza di studi di settore pubblicati nel nostro già abbastanza problematico Vecchio Continente. Questo, potenzialmente, a causa dell’assenza di una popolazione di lombrichi pre-esistente nella zona del Midwest, fatta eccezione per alcune isolate popolazioni di vermi di terra (Lumbricus terrestris) a loro volta giunti con le navi dei coloni, assai più benefici ma come dicevamo, totalmente incapaci di competere con la capacità di proliferazione del loro temuto cugino d’Asia. Il quale non soltanto presenta un ciclo di maturazione pari ad appena 60 giorni, ma possiede anche il prezioso segreto dell’autogamia o riproduzione autonoma, che può permettere ad un singolo esemplare di mettere al mondo un’intera e vivace prole. Aggiungete a questo le straordinarie doti delle uova o capsule del verme, capaci di sopravvivere a lungo e in situazioni avverse, come venendo trasportate dalla corrente di un fiume o restando attaccate sotto la scarpa di un agricoltore. Potendo anche resistere ai rigidi inverni della nuova zona d’adozione, laddove gli esemplari tendono piuttosto a perire ogni anno verso l’inizio della stagione fredda. Ma non prima di essersi occupati, assai responsabilmente, di assicurare la propria strisciante discendenza. Prove di laboratorio hanno quindi dimostrato la natura relativamente vulnerabile di tali organismi a fattori climatici avversi, morendo presto una volta che la temperatura ambientale scende sotto i -5 gradi o sale oltre i 35, oppure alla discesa dell’umidità sotto il livello dell’8%. Il che offre comunque una consolazione alquanto risibile, quando si considerano gli effetti sempre più gravosi del mutamento climatico, tanto favorevole a talune specie nocive quanto lesivo nei confronti di ogni auspicabile proposito di biodiversità. Aggiungete a tutto questo la natura straordinariamente integrata di ogni specie di verme con il sistema ecologico ospitante, e non vi sarà difficile comprendere la continuativa assenza di un reale piano di attacco nei confronti di questa letterale minaccia biologica, contro cui qualsiasi pesticida si troverebbe impossibilitato ad agire senza arrecare danni altrettanto gravi nei confronti dell’intero ambiente. Unica contromisura consigliata dai dipartimenti di studi agricoli negli stati colpiti dalla sua presenza, è l’impiego su scala privata di polveri a base di mostarda piccante diluita in acqua, soluzione notoriamente capace di disturbare i vermi nel sottosuolo costringendoli a riemergere, per poi catturarli e chiuderli in un sacco della spazzatura, da lasciare al sole per almeno un’ora. Il che riesce a dimostrarsi efficace nel 100% dei casi nell’uccidere le problematiche creature, sebbene richieda una collaborazione costante da parte della popolazione locale. E non faccia nulla, nei fatti, per rimuovere le uova. Con l’unica contromisura possibile a tal fine individuata, nel 2014, da uno studio di Hiroshi Ikeda e colleghi dell’Università di Hirosaki: l’utilizzo ad ampio spettro d’incendi controllati, capaci di sterilizzare i bozzoli privando al tempo stesso i neonati sopravvissuti di ogni possibile fonte di cibo. Un approccio, tuttavia, capace di portare con se non pochi problemi, soprattutto considerato il caso sempre presente che riesca a sfuggire al controllo degli addetti forestali.
Così altri studiosi, nel frattempo, adottano uno stile più pragmatico e tollerante. Vedi Bernie Williams dell’Università del Massachusetts, citata in un articolo dell’Atlantic, che apprezzando le doti evolutive e quasi aerodinamiche del verme, afferma rassegnata che in America sarà necessario imparare a convivere con esso, vista l’impossibilità pratica e sistematica di procedere alla sua totale eliminazione. Così come avvenuto con altre specie tutt’altro che native ma ormai perfettamente integrate nell’ecologia del Nuovo Mondo, vedi il passero domestico e lo storno comune. Il che significherà di certo rinunciare ad un sostrato vegetativo realmente degno di questo nome in tutte le foreste densamente popolate dal verme, che nondimeno riusciranno ad adattarsi e continuare a perpetuare se stesse.
Perché questo, in fin dei conti, è proprio quello che riesce meglio alla natura. Talvolta, anche troppo bene, quando si ritrova trasferita in un contesto di natura geograficamente così fuori dal suo legittimo contesto di appartenenza. Dopo tutto è impossibile bere dell’ottimo caffè, senza poi trovarsi a dover gestirne il tipico residuo polveroso. Materia pura e facilmente identificabile, di quel costante processo universale che è l’entropia.