Genesis 28:10-22: Giacobbe partì da Beer-Sceba e andò verso Caran. Giunse ad un certo luogo e vi passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, se la mise per capezzale e lì si coricò. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima toccava il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano per la scala. Il Signore stava al di sopra di essa e gli disse: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio d’Isacco. La terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza.” Storie della Bibbia, storie degli uomini a contatto con le strane meraviglie del Creato, luoghi assurdi come un’isola nel mezzo dell’oceano, a 1950 Km dalle coste dell’Africa ed oltre un giorno di navigazione dall’insediamento emerso più vicino. Uno dei luoghi maggiormente solitari della Terra, scelta non a caso come luogo d’esilio per la figura spropositata di Napoleone. Ma molti anni prima di questo, comparsa sui diari di diversi viaggiatori per la copiosa quantità d’acqua non salata da sfruttare, tra cui il galiziano João da Nova (1502) e gli altri portoghesi Estêvão da Gama (1503) e Francisco de Almeida (1505) che ne fecero un promettente punto d’approdo, durante l’ardua traversata per congiungere due continenti. Il terzo dei quali scelse di attribuire a questo luogo, indiretta conseguenza di antichissime eruzioni vulcaniche di una montagna ormai sopita da tempo, il nome della santa Flavia Giulia Elena, imperatrice di Costantinopoli dal 324 al 329 d.C. Nella cui memoria, qui venne fondata una cappella, e alcuni marinai negli anni successivi scelsero di stabilire il villaggio di Jamestown. Con al crescita dei commerci durante l’epoca delle Grandi Esplorazioni, l’isola di Sant’Elena diventò quindi abbastanza importante da costituire un porto sicuro per svariati bastimenti olandesi, spagnoli e portoghesi. Ma sarebbe stato solamente il generale inglese in grado di mettere a morte Re Carlo I, Oliver Cromwell, a decretare questo luogo parte del dominio della sua nazione, includendolo nei territori d’Oltremare sotto il comando della Compagnia delle Indie Orientali. Così mentre la popolazione dell’isola cresceva, fino a 1.110 persone inclusi gli schiavi nel nel 1730, l’insenatura dove aveva luogo il principale punto portuale vedeva aumentare anche le bocche dei propri cannoni, posti sulla cima di quella che sarebbe diventata, nella toponomastica locale, assai appropriatamente Fort Hill. Ora, nessuna grande battaglia venne mai combattuta, per il predominio di queste pur fertili vallate circondate dall’oceano, neanche successivamente al trasporto fino a questo luogo dell’Imperatore deposto di Francia nel 1815, che qui avrebbe trascorso gli ultimi anni della sua vita. Fatta eccezione per quella quotidiana, combattuta duramente dalle ormai svariate migliaia di abitanti, di mantenere appropriatamente rifornito il piccolo villaggio sorto attorno al forte collinare, completo di campi coltivati con l’essenziale necessità di essere occasionalmente sottoposti a concimazione. Ed alla reiterata questione, dal tenore assai notevole, di come trasportare efficientemente copiose quantità di letame sulla cima di una parete scoscesa alta 195 metri, chi poteva rispondere se non l’ingegnere J. W. Hoar… Il quale attorno al 1829, avendo attentamente disegnato i piani, vide realizzare ai margini della città ciò per cui il mondo avrebbe finito per ricordarlo a tempo indeterminato: una serie di due binari paralleli. Utili a tirare rispettivamente verso l’alto, e lasciar scendere nel senso inverso, altrettanti vagoni su ruote, carichi di tutto il necessario a mantenere operativa la struttura difensiva sulla cima del promontorio… Anche grazie all’opera instancabile di una squadra di muli collegati a un’argano di grandi dimensioni. Nel centro esatto di quel meccanismo, chiamato per l’appunto il Piano Inclinato (Inclined Plane) trovava quindi posto una lunga gradinata di servizio dall’inclinazione superiore ai 20 gradi, in onore della quale l’intero luogo fu ribattezzato da quel momento la Collina della Scala (Ladder Hill). E la stessa struttura di quest’ultima, con un’inaspettato colpo di scena, il percorso angelico citato nella Bibbia e attribuito al sogno di Giacobbe d’Israele: Jacob’s Ladder. Ma caso volle che i locali non avessero fatto i conti con qualcosa d’imponderabile: il volere ed il potere dei più famelici, e minuscoli, tra tutti coloro che condividevano le pur sempre limitate risorse a disposizione…
Uno degli aspetti maggiormente apprezzabili dell’isola di Sant’Elena, in effetti, fu giudicato fin da subito il suo essere priva di una popolazione nativa. Il che includeva ogni possibile villaggio umano, ma anche animali di natura pericolosa o inospitale, come belve feroci, serpenti velenosi etc. Uno stato di silenzio animalesco che non sarebbe stato destinato a durare molto a lungo, vista l’importazione progressiva nel tempo dei soliti cani, gatti, capre, bovini e tutto l’essenziale comparto dell’industria dell’allevamento, coadiuvata da taluni assai più problematici clandestini. Provate ad immaginare di chi stiamo parlando: operose, compatte, con sei zampe e vibranti antenne; come gli scarafaggi ma a differenza di questi ultimi, capaci di distruggere in breve tempo un’intera struttura costruita dagli umani. Quelle che all’epoca si era soliti definire le “formiche bianche” ma che oggi riconosceremmo istantaneamente con il nome generico di isoptera, ovvero le termiti. Insetti i quali giunsero ad attaccare, con efferata veemenza, le preziose traversine inchiodate alla roccia che facevano parte della breve funicolare della montagna, rendendola ben presto totalmente inutilizzabile. Era quindi soltanto il 1871, soltanto 42 anni dopo la sua costruzione, che il Piano Inclinato di Jamestown dovette essere demolito, causa irrimediabile fatiscenza della sua stessa ragion d’essere. Con le strade ormai costruite attorno al resto della collina, perfettamente in grado di raggiungere agevolmente l’intero distretto sopraelevato che ormai aveva preso il nome di Half Tree Hollow, nessuno ebbe quindi più l’idea di ricostruire il singolare metodo di trasporto. Ma restavano del tutto integre le scale, scavate direttamente nella nuda roccia della montagna, che del resto erano ormai una parte giudicata importantissima del paesaggio e colore locale. Fu quindi posta una placca in corrispondenza del loro punto di partenza, tale da commemorare la perdita di un singolo scalino per l’innalzamento del livello stradale, per un totale di 699 passi necessari a giungere presso la sommità di un simile luogo scosceso. Ed i locali continuarono a percorrerla, di tanto in tanto, per gioco, per allenamento o con tutta la solennità di un’importante impresa commemorativa.
Successivamente all’epoca della seconda guerra mondiale, in cui sull’isola venne costruita l’immancabile base statunitense, vennero quindi messi nero su bianco i primi piano per la costruzione di un aeroporto nella parte meridionale dell’isola, che avrebbe potuto accrescere i suoi presupposti turistici funzionali ad aiutare un’economia tutt’altro che fiorente. In forza della notorietà sugli album della storia, concessa dall’inevitabile menzione in tutti i libri e sussidiari scolastici, Sant’Elena si era saputa dimostrare attraverso gli anni la meta di un pellegrinaggio per gli estimatori dell’epilogo napoleonico, nonché chiunque avesse il desiderio di sperimentare, anche per poche settimane e giorni, l’esperienza di vivere in uno dei luoghi più remoti dell’intero pianeta. Ci sarebbero voluti, tuttavia, ulteriori 70 anni e fino al 2016 perché la pista d’atterraggio fosse finalmente portata a termine, grazie a un copioso apporto di fondi proveniente direttamente dalla madrepatria inglese.
Creando e giustificando soprattutto negli ultimi anni, grazie ad un passaparola fatto rimbalzare su Internet, il mito popolare della Scala di Giacobbe, un percorso da trekking totalmente assurdo nella sua odierna ed apparente inutilità. Tale da diventare una delle esperienze giudicate irrinunciabili per i visitatori di Sant’Elena, come preludio all’osservazione dall’alto del memorabile panorama locale, benché un risultato simile possa essere ottenibile, con fatica molto minore, tramite la mera percorrenza delle strade convenzionali attorno a Ladder Hill. Il che naturalmente priva di ogni fascino la strana esperienza, giudicata tra l’altro al centro dell’annuale “Festa della Corsa” culminante nella gara cronometrata lungo i 699 ripidi scalini, restaurati e dotati di un’illuminazione moderna nel corso della prima decade a partire dal 2000. Così che l’attuale versione del cartello alla loro base, ad oggi, indica il nome del partecipante Graham Doig, con il tempo notevole di appena 5 minuti e 16,79 secondi. Davvero, un risultato degno di figurare nel curriculum di qualsivoglia sportivo ed aspirante celebre maratoneta.
Così la storia delle isole costituisce un micro-mondo, tale da rispondere alle proprie regole, concetti e linee pratiche di ragionamento. Al punto che un’aspetto piccolo ed in apparenza storicamente poco significativo, può riuscire a diventare un monumento e la ragion d’orgoglio per l’intera popolazione locale, i cui giovani sono stati visti occasionalmente scendere il percorso dei 699 gradini scivolando con le mani e braccia sui distanti corrimani ai lati; un’attività pericolosa che dimostra la chiarissima fiducia nei confronti della Provvidenza divina. E un letterale punto di riferimento sulle guide turistiche, potendo accrescere il prezioso fascino di un luogo! Perché chi può dire, realmente, cosa sia importante e degno di essere visitato di persona, al fine di sperimentare in via diretta i metodi e lo stile di vita dei nostri predecessori ed eroi… Finanche l’esperienza del condottiero dell’antico popolo che prima di ogni altro, ebbe il modo di vedere la strada maestra degli angeli, inviati sulla Terra dal suo Creatore. Il cui destino, come quello delle botti maleodoranti di Sant’Elena, era salire e diventare parte di quel tutto che in eterno scorre; vero senso inarrestabile, e per molti versi simile a una pianta ben concimata, dell’inconoscibile e ramificata realtà.