Stagliandosi contro uno sfondo collinoso di color verde intenso, la torre dalla struttura reticolare trema leggermente per stabilizzarsi, sotto il peso del carico aggiunto ai lati della sua sommità. Due oggetti triangolari, che soltanto ad un’analisi attenta si rivelano essere altrettante mani umane, con le dita protese in senso perpendicolare, ornate dalle larghe maniche di una tunica dall’aspetto clericale. Ma è al preciso sollevarsi del terzo componente, una testa di cemento grande come la motrice di un autotreno, che la situazione inizia a farsi ragionevolmente chiara. Quando posta in posizione sulla sommità della struttura, essa completa la forma tripartita di quello che è stato, continua ad esserlo ed anticipa un possibile futuro. In altri termini, è come tornare indietro nel tempo. Per assistere alla rinnovata costruzione di una delle statue più famose al mondo…
Uno e trino, per una cifra dal significato iconografico profondo: come per la croce, il globo e lo scettro. Poiché regale doveva essere, nel contegno, la posa e lo stile, la statua proposta inizialmente nel 1850, da porre sopra il monte Corcovado al fine di onorare la Principessa Isabella, figlia di Pedro II. E sulla base di questo concetto, dopo un accantonamento temporaneo motivato dalla separazione tra stato e chiesa, una massiccia raccolta di donazioni tra la popolazione cattolica di Rio de Janeiro permise di riprendere il progetto nel 1920, sebbene i gusti della gente fossero ormai cambiati. Così il soggetto venne messo ai voti, e tra le possibili proposte vinse qualcosa di radicalmente differente: l’immagine che tutti ben conosciamo creata dallo scultore Paul Landowski, con il figlio di Dio in posizione cruciforme, ricordando al tempo stesso il suo destino e il suo sentimento benevolo nei confronti dell’umanità intera. Visione tanto diretta ed efficace, nel suo messaggio estetico di fondo, da riuscire a diventare un simbolo dell’intera metropoli e per estensione, l’intera nazione brasiliana. Potrebbe perciò sembrare piuttosto strano, a distanza di oltre cento anni, che un diverso centro abitato nel vasto territorio di quel paese, Encantado nello stato meridionale di Rio Grande do Sul, abbia recentemente approvato un progetto finalizzato a riprodurne in modo ragionevolmente fedele le sembianze. Facendone, nel contempo, una versione nettamente sovradimensionata, con un’altezza di oltre 42 metri contro i 37 (incluso il piedistallo) del suo celebre ed ancor più insigne predecessore. Eppur anche questo giunge a realizzarsi almeno parzialmente, nell’aprile di questo bizzarro 2021, in cui l’intrigante forma incompleta del monumento si avvicina nell’aspetto ad un Salvatore robotico, o androide sacro delle valli sudamericane. Con una finalità dichiarata che potremmo definire almeno apotropaica, quando si considera il nome scelto per identificarla, che non lo vuole più coadiuvato dalla qualifica di Redentore bensì quella, molto più al passo coi tempi, di Protettore di coloro che l’accesso al regno dei Cieli, ormai da tempo, sembrano vederlo progressivamente più lontano. Mansione espressa nella nuova figura da un’aspetto generale ancor più influenzato dallo stile formale dell’Art déco, con lineamenti cesellati e uno stile geometricamente netto, che nello specifico contesto danno al personaggio un aspetto più forte e deciso della statua di Rio, creata per esprimere un sentimento di accettazione e benevolenza. Questo grazie alla visione dell’artista sessantacinquenne Genesio Gomes Moura detto il Cearà, già autore di oltre 30 statue di grandi dimensioni nel suo Brasile, che collaborando in questo caso con il figlio Markus ha saputo investire sapientemente il budget, ancora una volta frutto di raccolta tra il popolo e gli investitori locali, per porre le basi di quella che dovrà diventare, entro la fine dell’anno, la sua opera più imponente e famosa. 2 milioni di real, corrispondenti a 350.000 dollari in un periodo economicamente difficile come quello attuale, con l’obiettivo di ridare lustro al turismo e la tradizione religiosa locale. Con un occhio di riguardo citazionistico, ed altrettanto attento, nei confronti di coloro che ci avevano provato prima di quel fatidico momento…
Non tutti sanno a tal proposito che già un secondo Cristo Redentore era stato portato a termine, nel 2007, presso la città di Elói Mendes, nella regione costiera di Minas Gerais. Un piccolo comune di appena 28.000 abitanti, nondimeno capace d’investire 326.000 real per l’assunzione di due società di costruzione ed uno scultore (non citato per nome) al fine di riprodurre, in maniera ragionevolmente indistinguibile, il famoso Cristo con le braccia sollevate di Rio. Fatta eccezione per un piccolo “dettaglio”: l’altezza complessiva di 35 metri, già sufficiente a superarlo di 7 facendone tra l’altro, all’epoca del suo completamento, la quinta statua più grande al mondo. Una passione per i soggetti più imponenti dal soggetto religioso che coinvolge fortemente l’intero Brasile e sembrerebbe aver segnato una buona parte dell’intera carriera dello stesso G. Gomes Moura, già creatore tra le altre cose di una statua della Vergine, di Santa Rita da Cascia, della figura ecclesiastica di Padre João di Santo Domingo, del calciatore Pelè (ovviamente) e la partecipazione collaborativa al Buddha seduto del tempio Zen di Ibiraçu nello stato dell’Espírito Santo, con i suoi 38 metri la più grande statua dell’Illuminato in tutto l’Occidente. Una preferenza per le proporzioni notevoli che sembrerebbe aver fatto del cemento armato il suo materiale elettivo, usato a più riprese per le sue caratteristiche di resistenza e immutabilità nel tempo superiori a quelle del semplice metallo. Un’approccio diametralmente opposto, e certamente più moderno, rispetto a quello del Cristo Redentore di Rio, costruito all’epoca dall’ingegnere Heitor da Silva Costa mediante l’impiego di un’armatura di metallo ricoperta da steatite (alias pietra saponaria) un’involucro tanto resistente agli elementi quanto vulnerabile alle sollecitazioni dirette, al punto da poterlo graffiare mediante l’impiego di una semplice unghia umana.
La costruzione del nuovo monumento quindi, concepita in una serie di fasi la cui prima e più difficile si è conclusa all’inizio di questo mese, assume un ruolo particolarmente toccante causa il forte sostegno all’iniziativa gestita dalla neonata ed apposita associazione AACristo (Amici di Cristo) da parte del defunto politico locale ed ex sindaco Adroaldo Conzatti, che ha raggiunto l’Altissimo lo scorso marzo causa contrazione di una forma grave della pandemia da Covid-19. Andando incontro alla stesso tragico destino di tanti altri suoi connazionali, in quello che continua a rappresentare ancora oggi il terzo paese più colpito al mondo. Impegnato in questo caso in un progetto che, come accennato poco sopra, nasce da un grandissimo numero di donazioni della popolazione locale, incentivate dal ricevimento in cambio di una serie di piatti commemorativi e la partecipazione ad una singola estrazione finale di un pickup Chevrolet S10 4×4. Guidare il quale, per il fortunato vincitore, potrebbe giungere a costituire un’esperienza quasi mistica, vista la natura particolarmente sacrale del suo contesto di provenienza. Elemento ad ulteriore coronamento della statua, il progetto per l’inclusione di un ponte panoramico all’altezza del cuore di Cristo, raggiungibile con l’ascensore e dotato di vista dal paesaggio collinare di Encantado fino alla vicina città costiera di Laguna, luogo di nascita di Anita Garibaldi.
Ciò detto, ancora una volta il nuovo gigante ancora in attesa del suo mantello giunge vicino alla possibilità di stabilire un nuovo record, ma purtroppo si ferma poco prima riuscire a farlo. Nell’ideale graduatoria delle statue del figlio di Dio con le braccia aperte, infatti, essa resta tutt’ora superata in altezza da parte del Cristo Re di Świebodzin, in Polonia (2007, 52,5 metri) e il Jesus Buntu Burake d’Indonesia, completato nel 2016 e capace di raggiungere i 52,55 metri.
Fondamento stesso del concetto dell’arte appare quindi tanto spesso essere, nella maggioranza delle situazioni, la sua unicità. Eppure chi può dire cosa costituisca, realmente, il carattere più profondo e caratterizzante di un’opera? Al punto che cambiarne semplicemente il suo contesto, traslandone gli elementi costituitivi altrove, può giungere a cambiarne in modo significativo e l’esplicito intento programmatico iniziale.
Sia attraverso lo spazio che, come possiamo apprezzare in questo caso, il tempo. Poiché nessun miglior protettore possiamo immaginare, nel Brasile soverchiato a tal punto dalla più grande tragedia del corrente secolo, che la figura istantaneamente riconoscibile del solo ed unico Messia. Che potremmo a questo punto auspicare includere nel suo possente abbraccio, salvifico e consolatorio, anche coloro che dovranno limitarsi a guardarlo dall’altro lato dell’Atlantico immoto. Fino all’esaurirsi del gravoso blocco del turismo globale, che a tal punto sembrerebbe aver rallentato ogni possibile investimento artistico e decorativo della nostra Era.