Il più radicale cambiamento negli approcci disponibili allo studio della natura venne introdotto con la nascita del razionalismo nel XVIII secolo, quando le antecedenti giustificazioni alle caratteristiche più notevoli di animali, piante e minerali vennero sostituite dalla mera e spassionata osservazione degli eventi, basata sulle innate capacità interpretative degli umani. Ancora alle soglie di quello che sarebbe passato alla storia come il “secolo della scienza” tuttavia, alcune delle nuove scoperte che si palesavano dinnanzi agli occhi degli studiosi parevano violare le più basilari norme della logica, conducendo a lidi speculativi che sembravano protendersi, come tentacoli, verso il più aleatorio regno del misticismo, religione e magia. E uno di tali episodi può senz’altro essere identificato nell’esperienza della grande naturalista, entomologa ed illustratrice Maria Sibylla Merian, figlia del pittore di Francoforte Georg Flegel, che attorno al 1700 venne a contatto nel corso di un suo viaggio in Suriname con una delle più incredibili e surreali tra tutte le specie tratteggiate dalla sua sapiente penna fino a quel drammatico momento. In una laguna paludosa o tra le acque chete di un torrente, ella avrebbe raccontato di aver scorto vari esemplari di uno strano pesce lungo più di 25 cm. E a poca distanza da essi, comuni rane gracidanti non più grande di 5-7 cm. Ma cosa ancor più eccezionale, vari piccoli animali con zampe appena accennate, capaci di rappresentare la via di mezzo deambulante tra le due creature. In breve tempo, l’esperta interprete del mondo giunse all’unica possibile conclusione sulla base delle nozioni precedentemente acquisite: di essersi trovata a diretto contatto con due stadi evolutivi, ante e post-metamorfosi dello stesso animale, e che come in ogni altra situazione, la versione più grande rappresentasse lo stadio adulto del suo ciclo vitale. Nacque in questo modo, il concetto surreale della cosiddetta Rana piscis, un anuro teoricamente capace di trasformarsi in essere acquatico a tutti gli effetti, stadio che gli avrebbe dato accesso alla possibilità di ridursi, in qualche… Misteriosa maniera.
Ci sarebbero voluti ulteriori 60 anni, e la decima pubblicazione del testo seminale di Carl Linnaeus, Systema Naturae, perché proprio a quest’ultimo venisse in mente di mettere in dubbio la sua valutazione, sulla base di quell’essenziale quadro d’insieme che soltanto allora stava iniziando (finalmente) a prendere forma. Il primo vero tassonomista della storia, infatti, nell’addendum alla sua opera scritta in Svezia intitolato “animali paradossali” aveva fino a quel momento deciso d’inserire la rana di Merian in buona compagnia assieme all’unicorno, il drago ed altri esseri direttamente prelevati dai bestiari medievali. Finché un ulteriore balzo d’intuizione non gli permesse di capire quale fosse stato l’errore interpretativo della sua insigne collega: aver investito, come nel racconto letterario e cinematografico di Benjamin Button, l’essenziale ordine degli eventi. Poiché l’assenza di un osservabile apparato riproduttivo nel mega-girino-pesce cessava di essere un problema, una volta che si ritornava alla visione secondo cui la rana fosse lo stadio adulto, come in ogni altra situazione osservata prima di quel frangente. Il che non la rendeva in alcun modo meno sorprendente, riuscendo a giustificare a pieno il nuovo nome in latino tutt’ora in uso: Pseudis paradoxa, alias “rana che rimpicciolisce se stessa”. Nell’apparente, ed innegabile violazione, di quella che in primo acchito potrebbe sembrare una delle leggi basilari della fisica applicata, ma che nei fatti rappresenta unicamente una convenzione biologica, frutto di precise norme e regole che sarebbero state annotate soltanto nel 1859, con l’ulteriore rivoluzione analitica de L’origine delle specie di Charles Darwin. Qualcuno che, lui per primo, iniziò a dirimere il più grande tra i misteri della vita biologica sul pianeta Terra…
Che la rana paradossale sia capace di rimpicciolire con il trascorrere dei suoi 11 anni di vita è oggi un fatto acclarato, tramite l’osservazione approfondita degli esemplari tenuti in cattività. Ma non è difficile immaginare quanto assurdo, e surreale, dovesse essere sembrato ai suoi primi studiosi ed osservatori, che ne apprezzarono le caratteristiche in alcuni dei luoghi più misteriosi dell’America meridionale. In un areale particolarmente vasto, che ancora oggi si estende dalle pianure alluvionali del Pantanal fino all’Amazzonia e la Guyana, passando per l’Argentina, la Colombia ed il Venezuela. Senza dimenticare le popolazioni separate, ma perfettamente in salute, delle isole caraibiche di Trinidad e Tobago. Mai, prima di allora, si era del resto neanche concepita la fondamentale possibilità che il girino, concettualmente non dissimile dallo stadio larvale di talune specie d’insetti, potesse raggiungere proporzioni totalmente fuori parametro rispetto a quelle dei suoi stessi genitori; per poi continuare a perdere progressivamente peso, fino alla trasformazione in un animale non più grande di un quinto della sua massa precedente, capace di balzare allegramente sulla terraferma, cambiando radicalmente le proprie abitudini biologiche e l’intera composizione della propria dieta che diventa per lo più carnivora ed insettivora. E particolarmente poco studiato resta ancora in epoca contemporanea, in tal senso, l’esatto meccanismo nutrizionale messo in campo dal girino per raggiungere simili proporzioni, trattandosi di una creatura prevalentemente erbivora capace per lo più di filtrare l’acqua, attraverso i corti tentacoli situati in prossimità dell’apertura orale, in un approccio difficilmente scalabile e che viene ritenuto il principale limite di un’ipotetica crescita ulteriore, benché i particolari piccoli della Pseudis paradoxa siano stati osservati anche strappare direttamente le alghe dalle rocce nel profondo dello stagno. Una visione inquietante, realizzatasi a partire da quella comune massa di uova fecondate e successivamente ricoperte di muco verde, che la femmina depone durante la stagione delle piogge primaverili tra le piante acquatiche e che inizialmente lasciano fuoriuscire girini dello stesso colore non dissimili da quelli degli altri anuri appartenenti al grande genus delle Pseudis, o rane nuotatrici. Poco prima che l’attivazione di un particolare gene all’interno del loro più segreto e distintivo codice genetico, coadiuvato dall’ormone della prolattina, potesse dare il via all’eccezionale fase di crescita accelerata che li caratterizza, per il superamento entro la fine della stagione della dimensione dei suoi stessi genitori. Una tendenza che può risultare meno marcata, o persino discontinua, nel caso di ambienti acquatici meno spaziosi tra le sei diverse sottospecie riconosciute della rana, oppure territori di caccia per l’adulto maggiormente conduttivi al sostentamento delle proprie funzionalità biologiche, che siano pieni d’insetti, granchi e rane più piccole, capaci di soddisfare pienamente la sua indole predatoria. Tendenza all’adattamento che nei fatti appare anche in altre tipologie di rane tra cui la Lithobates catesbeianus o rana toro, di cui un girino dalla grandezza superiore a quella di una lattina di Coca Cola fu trovato nel maggio del 2020 in Arizona, generando una breve frenesia entusiastica tra i lidi memetici del Web.
Il che apre la via ad uno spunto d’analisi che incidentalmente, è poi lo stesso applicato al caso dei bruchi e farfalle appartenenti all’ordine dei lepidotteri. Due facce della stessa moneta che sia dal punto di vista funzionale che esteriore, non sembrano possedere alcun tipo di caratteristiche comuni. Questo in forza dell’appartenenza a nicchie ecologiche totalmente distinte, come nel caso della rana, che hanno portato i due stadi evolutivi dell’animale a seguire percorsi e concatenazioni di effetti radicalmente diverse. Fin all’ottenimento di due creature totalmente disconnesse l’una dall’altra, fatta eccezione per il fatto, quasi accidentale, di costituire fasi successive nella vita dello stesso animale. Un po’ come prendere tutti i pezzi di una nave, ed utilizzarli come componenti funzionali alla costruzione di un aeroplano. Che non sempre, per non dire mai, dovrà necessariamente corrispondere nelle proporzioni alla forma osservabile della sua esistenza veicolare pregressa!
Creatura estremamente ben mimetizzata, e per questo non sempre facile da conteggiare nei suoi territori d’appartenenza, la rana paradossale costituisce uno di quegli animali recentemente inseriti nell’indice delle specie a rischio dello IUCN, sebbene non si abbiano notizie di un suo effettivo rischio d’estinzione. La ragione di una tale scelta preliminare, allo stato attuale dei fatti, è rintracciabile principalmente in due tipologie di problematiche: la costante ed apprezzabile riduzione del suo habitat naturale, causa sfruttamento agricolo e industriale, assieme al commercio fatto da parte degli esportatori per il fiorente mercato internazionale degli appassionati, che alquanto comprensibilmente non sembrano poter resistere al fascino di una creatura che sembra percorrere la nostra stessa storia dell’Esistenza previo adattamento al suo stile di vita, ma in ordine diametralmente opposto. Qualcosa che ben pochi altri appartenenti al poliedrico universo della biologia possono vantare all’interno del proprio curriculum, pesantemente influenzato dalle caratteristiche ambientali di contesto. Certo è che ad ogni grande mistero, tanto spesso, può effettivamente corrispondere un tesoro della scienza. Come quello paventato nel caso della un tempo leggendaria shrinking frog, che in un particolare studio delle università congiunte di Ulster e degli Emirati Arabi (Abdel-Wahab et. al, 2008) è stata individuata come possibile produttrice del peptide pseudin-2, da lei utilizzato per prevenire eventuali infezioni. Ma che potrebbe un giorno, potenzialmente, offrire una via di cura al diabete di tipo 2; qualcosa che dimostrerebbe al mondo, finalmente, i meriti di chi cresce nello stagno e ne fuoriesce diventando piccolo. Per poi proseguire, in modo tanto strano e imprevedibile, il gracidante racconto della sua lunga vita.