Sembra strano affermarlo per una creatura chiaramente creata dall’uomo, eppure nessuno conosce esattamente l’origine del cane terranova, potenziale discendente delle razze ancestrali trasportate dagli esploratori Vichinghi nel Nuovo Mondo. Forte protettore dall’indole gentile, capace di tuffarsi tra le onde per tentare di trarre in salvo uno sconosciuto, anche senza nessun tipo d’addestramento preventivo. Tutti conoscono, d’altronde, il luogo e l’epoca di provenienza del cosiddetto sommozzatore moscovita (московский водолаз – moskovskiy vodolaz.) Ovvero la razza nata, assieme ad altre, dall’urgenza russa di disporre di una nuova generazione di cani da lavoro, dopo che la quasi interezza di tali animali erano morti a seguito della grande guerra, alias il primo conflitto mondiale. Così vennero istituiti per decreto del governo centrale, in diversi luoghi del paese, i nuovi canili Stella Rossa (Красная Звезда – Krasnaya Zvezda) tra cui il principale nel villaggio di Knyazhevo, non troppo lontano da Mosca, dove gli esemplari ancora disponibili di pastore del Caucaso e pastore dell’Europa Orientale vennero incrociati con le razze delle zone limitrofe e regioni facenti parte del nascente impero Sovietico. Creando molte varietà potenzialmente utili… Ed alcune assolutamente problematiche, per non dire addirittura impossibili da gestire.
Il cane d’acqua Moscovita nasce dunque come progetto poco dopo il 1924, anno d’istituzione del sopracitato allevamento statale e soprattutto l’occasione in cui A. Mazorev riportò dalla Germania un certo numero di terranova puri al 100%, che avrebbero finito per fornire il principale stock genetico di questa discendenza oggi estinta, esteriormente certo non dissimile dal più rappresentativo cane del settentrione canadese. E la ragione di tutto ciò è presto detta, quando si considera il resoconto dei risultati raggiunti a partire dalla presentazione ufficiale del magnifico animale (esteriormente per nulla dissimile dalle sue radici) soltanto nel 1955, durante la 19° mostra canina di Mosca, come risultato perfettamente riuscito degli obiettivi statali, in qualità di un animale forte, affidabile, fedele. Ma le prime prova pratiche nella preparazione degli esemplari inviati per l’addestramento da parte della marina, ben presto, rivelarono una storia diametralmente all’opposto: in ogni singolo caso in cui un vodolaz veniva sguinzagliato in mare all’indirizzo di una persona che fingeva di essere prossima all’annegamento, questo si lanciava coraggiosamente per raggiungerla in pochi minuti. La guardava bene fissa negli occhi e dopo solo un attimo per prendere bene le misure, l’aggrediva ferocemente, alla maniera di un lupo selvatico delle innevate steppe settentrionali. La vicenda del cane d’acqua rappresenta in effetti la perfetta parabola del concetto secondo cui talvolta, tentare di modificare un qualcosa che ha già raggiunto l’assoluta perfezione in un contesto culturale e situazionale distante, non possa far altro che generare un’ampia serie di problemi inaspettati. O uno solo, ma abbastanza significativo da inficiare il pieno raggiungimento del programma iniziale. Considerate, d’altra parte, come stiamo qui parlando di un tipo di razza creata, fin da principio, in qualità di cane militare che potesse assistere i suoi addestratori anche in battaglia, ragion per cui la mansuetudine non fu mai estensivamente ricercata nella scelta dei tratti caratteriali da trasmettere alle successive generazioni. Se non che attraverso un simile processo, fu anche trascurata quella dote assolutamente fondamentale dell’empatia o capacità di considerare il proprio padrone come un membro della famiglia, portando alla nascita di un essere che era si perfettamente capace di assolvere fisicamente alle mansioni più risolutive. Ma non aveva alcuna propensione mentale a farlo. E i risultati non avevano tardato a rivelarsi tragicamente chiari…
I laboratori centrali Krasnaya Zvezda quindi, ricevendo ampi finanziamenti dallo stato, intrapresero una serie di sentieri scientifici paralleli nel campo dell’allevamento, dell’addestramento e la nutrizione del cane. Essi pubblicarono più di 180 scritti, giungendo a porre la base dei moderni club e leghe di tutela delle razze in tutta la Russia, attraverso i lavoro cooperativo di una grande quantità di studiosi, biologi ed esperti in materia. Ma quello che non riuscirono mai a fare, fu dare un senso e una funzione al cane sommozzatore, nonostante le ottime speranze e premesse di partenza. Il vodolaz infatti, con le sue orecchie triangolari e pendenti, l’ossatura resistente ed il manto per lo più nero esclusa l’occasionale macchia rossa sul petto, si presentava molto simile al terranova fatta eccezione per la testa dalla forma “più semplice” (non è chiaro cosa intenda la descrizione ufficiale) ed un pelo ispido meno attraente da accarezzare, aveva ereditato dai cani pastori facenti parte del suo stock una certa propensione all’indipendenza, potenzialmente utile alle condizioni d’impiego ideali come parte di un’istituzione militare. Ma esso si era anche rivelato, purtroppo e come sopra descritto, naturalmente aggressivo, feroce, disubbidiente. Tanto da rappresentare, essenzialmente, uno dei più clamorosi fallimenti nella storia moderna dell’allevamento canino, soprattutto quando si considera l’alta visibilità fatta avere a questa razza nei primi anni successivi all’ottenimento di quella che, a torto o a ragione, venne considerata la sua forma pienamente realizzata. Dopo alcuni anni di tentativi, verso l’inizio degli anni ’60, gli esemplari custoditi presso Knyazhevo vennero quindi dati in dono alla MGOLS (Società degli Amanti dei Cani di Mosca) che nel giro di qualche generazione li ibridarono nuovamente con dei terranova d’importazione, portando alla scomparsa progressiva dei tratti comportamentali indesiderati. Il che potrebbe anche considerare la fine della nostra storia, non fosse per il binario collaterale seguito a partire dal 1949 dal canile della Stella Rossa, per la produzione di un nuovo tipo di cane da guardia che potesse rivelarsi utile a tutte le difficili condizioni climatiche dell’URSS. La base di partenza scelta fu ancora una volta quella del pastore dell’Europa Orientale, un cane molto simile al tipico pastore tedesco ma più imponente, mentre l’apporto straniero fu fornito dallo Schnauzer gigante e l’Airdeale terrier, entrambi cani dalle folte sopracciglia e la distintiva barba sul muso tozzo e forte. Ma poiché l’indole sembrò rivelarsi da principio ancora una volta eccessivamente feroce, gli allevatori pensarono bene di gettare il proverbiale paletto nella ruota degli eventi, reintroducendo nella discendenza di questo cane qualcosa di totalmente inaspettato: alcune femmine, insolitamente placide, di cane sommozzatore moscovita. Il risultato fu in grado di dimostrarsi, attraverso gli anni, assolutamente degno di encomio tanto che tra i nomi possibili per il conseguente black russian terrier include anche “cane di Stalin” o ancor più direttamente nash geroy (наш герой – il nostro eroe). Una volta messa alla prova l’indole gentile, tale da permetterne l’adozione anche in ambiti domestici, Krasnaya Zvezda iniziò la distribuzione dei nuovi cuccioli tra gli allevatori verso il principio degli anni ’50, iniziando il percorso che avrebbe portato 43 di questi cani a figurare tra i protagonisti della grande fiera del 57 a Mosca. Da cui l’esportazione verso l’estero sarebbe stato il passo ulteriore e inevitabile, fino al riconoscimento ufficiale della razza da parte della FCI (Fédération cynologique internationale) il 29 settembre del 1983. Ricevendo in tal modo, almeno in parte, l’eredità perduta del cane d’acqua moscovita.
Ogni considerazione ereditaria sui tratti genetici del migliore amico dell’uomo, ad ogni modo, non può che costituire una mera generalizzazione. Così che siamo a conoscenza, ad esempio, di almeno un esemplare di cane sommozzatore abbastanza ubbidiente da essere utilizzato in campo cinematografico, come co-protagonista della famosa pellicola tragicomica e fantastica del 1987 di Leonid Kvinikhidze, Amico (Друг – Drug). Nella quale Kolun, un uomo alcolizzato e dalla vita particolarmente difficile incontra sulla strada di casa un grande cane nero, di cui inizia all’improvviso a sentire la voce. Assieme a cui vivrà una serie di pessimistiche peripezie e la cui comprensione canina e naturale empatia nei confronti dell’animo umano gli permetteranno, alla fine, di comprendere qualcosa d’importante su se stesso e la società contemporanea. Visione in qualche modo reale oltre che metaforica, visto come le nozioni aneddotiche e i racconti coévi alla realizzazione cinematografica identificano chiaramente la razza dell’attore a quattro zampe non come un semplice terranova, bensì un vero e proprio esemplare di cane d’acqua moscovita.
Non che molti sarebbero in grado di notare la differenza, tanto che in determinati ambienti della Russia contemporanea, ancora al giorno d’oggi, tutti i terranova vengono chiamati per antonomasia inversa московский водолаз, in un misto di patriottismo a prescindere e spontaneo appiattimento delle più sottili ed invisibili distinzioni. Almeno finché a qualcuno non venisse in mente di avvicinarsi all’improvviso a un lupo nel bel mezzo della foresta. Per scoprire la differenza che possono fare, molti millenni di selezione artificiale e reciproca benevolenza tra le specie.