Un passo alla volta, la giovane regina di Francia vestita totalmente di bianco salì le scale del patibolo assemblato frettolosamente in Place de la Révolution. La gente di Parigi assediava il gruppo delle guardie armate, gridando a gran voce lo sdegno sconfinato nei confronti della monarchia e inneggiando alla repubblica di Francia. Chiedendosi per l’ultima volta come fosse stato possibile giungere a un simile grado di spietatezza, la moglie condannata a morte di Luigi XVI Capeto fece appello alla sua sicurezza già messa a dura prova durante il processo, affinché nessuno potesse pensare, in quell’ultimo frangente, che il popolo avesse il sostegno di Dio nella condanna dei suoi sovrani. Mentre gettava uno sguardo atterrito verso la svettante struttura della ghigliottina, con la sua lama sfolgorante nel sole pomeridiano, inciampò accidentalmente nel piede del boia, finendo così per pronunciare le sue ultime parole. “Pardon, Monsieur. Non l’ho fatto apposta”. Ma fu quando la rigida gogna della morte si serrò crudelmente sul suo collo, che la vide strisciare nella cesta fatale una figura amica; spiraleggiante guscio gasteropode di lumaca, due corna sollevate per comunicare a gesti un’ultima speranza per il domani: “Non si preoccupi, noi siamo dalla sua parte” Disse il mollusco, ammiccante per una simile prova signorile d’empatia: “Abbiamo un piano.”
Cos’è in fondo la separazione dell’anima, cos’è la morte? Se non la cessazione in un preciso momento della progressione temporale dei giorni, d’ogni segnale nervoso prodotto nel punto di controllo e ricevuto dalle remote periferie del corpo, necessario a mantenere un organismo coeso e capace di provvedere alla propria stessa continuativa sopravvivenza. Al punto che un taglio netto, posizionato nel punto di collegamento per una tale cooperazione delle diverse membra, fu un tempo considerato sinonimo di un’esecuzione scientifica, proprio perché privo di possibilità di appello, persino per l’organismo umano così disperatamente incline a sopravvivere. Persino nella desolazione dei suoi più tragici momenti. Eppure la natura c’insegna, e nel presente caso insegna alla ricercatrice dell’Università delle Donne di Nara (Giappone), Sayaka Mitoh, che i preconcetti talvolta ingannano e persino una testa, in condizioni idonee, può continuare a sopravvivere lietamente. Persino una testa può ritornare completa, se è stata dotata dall’evoluzione dell’ingegnoso meccanismo necessario a riformare il resto del suo corpo.
Svariati esemplari della lumaca di mare sacoglossa Elysia marginata cf. (distinta per la dimensione leggermente maggiore dei parapodia rispetto alla E. marginata senza cf.) ed E. atroviridis, sua specie cognata ed altrettanto erbivora, si trovavano così all’interno di un piccolo acquario nel laboratorio della scienziata ed il resto del suo team, per una ricerca assolutamente consueta sui loro processi di crescita e sviluppo. Creature già sufficientemente interessanti per le loro particolari abitudini biologiche, tali da permettergli di non digerire affatto i cloroplasti contenuti nella vegetazione di cui si nutrono, ma piuttosto integrarli nel proprio organismo, imparando in questo modo a sviluppare la fotosintesi clorofilliana. Così un giorno particolarmente inaspettato di alcuni anni fa, osservando quegli ingegnosi pargoli striscianti, la donna si trovò al cospetto di uno scenario degno di un film dell’orrore: uno dei molluschi sembrava infatti aver subìto, per ragioni non totalmente evidenti, una totale decapitazione. E il suo corpo giaceva a terra, agitandosi lievemente, mentre la testa continuava tranquillamente a fluttuare presso gli strati superiori dello spazio acquatico a disposizione. Dinnanzi agli occhi spalancati per lo stupore dell’osservatrice, a quel punto, accadde l’impossibile: il capo del tutto autonomo raggiunse la coltura di alghe usate per nutrire gli sfortunati animaletti. E con apparente quanto incomprensibile nonchalanche, iniziò a brucare…
Il titolo dello studio, recentemente pubblicato sulla rivista Current Biology, in merito a questo surreale argomento? “Autotomia estrema e rigenerazione del corpo intero nelle lumache fotosintetiche” il che non inizia neppure a grattare la superficie delle improbabili implicazioni, nonché la straordinaria creatività della natura, nell’aver creato un essere tanto lontano da quelli che potremmo definire i nostri schemi biologici pre-acquisiti. E sebbene, sia chiaro, la rigenerazione di parti del corpo sia tutt’altro che rara tra gli esseri invertebrati. Nonché taluni tra quelli dotati di forma più simile a noi come salamandre e lucertole, al punto da offrire sostegno all’idea secondo cui sia stata una scelta piuttosto dei grandi mammiferi, quella di perdere tale straordinario ma dispendioso potere qualche milione di anni fa, semplicemente perché tendevano a morire dissanguati per la ferita prima di poter provare a tornare nuovamente integri come se nulla fosse accaduto. Eppure chiunque avrebbe potuto pensare, fino a quello specifico momento, che almeno il cuore (per non parlare del resto degli organi) fosse necessario a mantenere la testa in vita, assicurando sostanzialmente la dipartita di qualunque organismo fosse stato sottoposto al supplizio finale della ghigliottina. Ed anzi, sai che ti dico? Perché scomodarsi fino a quel punto! Quando l’evidenza dei fatti all’interno del laboratorio giapponese aveva in effetti appena dimostrato l’intento e capacità di simili lumache di staccarsi la testa da sole, senza nessuna evidente ragione di contesto.
La dottoressa Mitoh avrebbe quindi continuato ad osservare approfonditamente i soggetti del suo esperimento, notando una serie di aspetti rilevanti che avrebbe in seguito riconfermato, tagliando intenzionalmente la testa alle lumache mediante l’impiego di un filo di nylon. Primo, che gli esemplari ancora integri presentavano in effetti una lieve scanalatura in prossimità del collo, quasi come se fossero “fatte apposta” per andare incontro ad una tanto drastica procedura. E secondo, che dopo una rapidissima guarigione della ferita, i molluschi più giovani iniziavano immediatamente a nutrirsi, nell’interesse di mantenere sufficientemente alto il proprio apporto calorico. Necessario proprio perché, di lì a poco, il loro copro avrebbe iniziato a rigenerarsi. Ecco dunque dopo un periodo di appena una settimana, il nuovo cuore formatosi presso la parte posteriore della testa di lumaca. E nel giro di nove giorni, il ritorno di un primo accenno preliminare di parapodia (il “piede” deambulatorio dell’animale). Per giungere infine, dopo un periodo totale di 13 giorni, ad una lumaca fatta e finita completa di corpo perfettamente funzionante. Mentre presso le regioni inferiori dell’acquario, il precedente involucro continuava ancora a muoversi e reagire agli stimoli anche a distanza di settimane; pur essendo, ahimé, del tutto incapace di generare una seconda testa.
Eliminata a questo punto l’ipotesi che potesse trattarsi di un approccio insolito alla riproduzione, le scienziate dell’Università di Nara hanno esaminato le possibili basi evolutive di una tale prassi. Escludendo che potesse trattarsi di un sistema per sfuggire ai predatori, visto il tempo relativamente lungo necessario a rigenerare il resto del corpo e la maniera in cui, purtroppo, gli esemplari meno giovani di lumaca fossero destinati irrimediabilmente a perire prima di poter riuscire a farlo. Decisamente più interessante, invece, sarebbe risultata l’associazione con il sempre pressante problema del parassita cobepode Arthurius, che infestato il corpo di tali esseri, è solito far venire meno le condizioni necessarie affinché questi possano riuscire a riprodursi. Almeno finché, s’intende, la testa non compia l’estremo gesto, migrando altrove per formarsi una nuova macchina biologica perfettamente autonoma, ma soprattutto ancora dotata della sua dote primaria; quella di trasmettere i propri geni verso un radioso futuro.
Meno problematica, nel frattempo, si è rivelata l’analisi di quale fosse l’effettiva maniera usata per sopravvivere da parte della testa decapitata fino a un ritorno alla piena funzionalità dell’animale. Ciò in farze della già citata capacità delle lumache sacoglosse di trarre una parte importante del proprio sostentamento dalla luce del sole, grazie a un’integrazione all’interno della propria struttura cellulare degli organelli di provenienza vegetale capaci di creare il fotosintato, sostanzialmente carbonio trasformato in zucchero mediante processi metabolici simili a quelli di un batterio. Tanto che in taluni ambienti, si crede ormai da tempo che i cloroplasti fossero stati un tempo proprio appartenenti a quest’ultima classe di creature, almeno finché l’evoluzione non li avrebbe portati, come nel caso dei mitocondri, a stabilire una relazione simbiotica con gli organismi pluricellulari. Ciò detto, raramente tali componenti restano operativi all’interno dell’organismo ospite per più di qualche giorno o ora, permettendo di comprendere a pieno l’importanza per la testa di tornare a brucare immediatamente dopo la separazione dal corpo, affinché non s’interrompa la filiera dell’energia necessaria per tornare ad una forma fisica che risulti, per così dire, completa al 100%.
Ma il piano fallì, almeno nel nostro specifico universo. Semplicemente perché non c’erano state abbastanza alghe, fino a quel momento, nella dieta pregressa della regina austriaca di Francia! Così tutte le lumache del regno passarono per rendergli omaggio, spargendo attorno la bava appiccicosa del lutto. Per ricordare colei che aveva ingenuamente offerto le brioche al popolo, trovando invece pane per i suoi denti. E la ferrea spietatezza di coloro che sembravano pronti a dare, in quel preciso giorno dei giorni, un taglio netto agli apatici e sanguinari ricorsi della storia.