Mentre il grosso della forze statunitensi sbarcavano sulle spiagge Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword, anche loro avrebbero dovuto preparare il campo per l’invasione. Il cielo sopra la città di Arnhem era attraversato da strisce di fuoco, zigzaganti in mezzo alle nuvole di fumo prodotte dai colpi d’artiglieria e le colonne frutto di una lunga mattinata di bombardamenti in quel fatale 6 giugno di guerra senza quartiere. Il rombo continuativo nel tempo dei Flakpanzer, cannoni motorizzati tedeschi, faceva a gara col motore del bombardiere Lancaster assegnato a trasportare sopra l’obiettivo la sesta squadra della 1° Divisione aviotrasportata britannica. Incaricata, assieme ai loro commilitoni, di catturare gli obiettivi strategici a nord dell’insediamento fortemente militarizzato. Scendendo lentamente sotto l’ombrello tondo del paracadute, il sergente Williams si guardò attorno, identificando le forme riconoscibili dei suoi compagni e soprattutto, le capsule CLE con all’interno l’equipaggiamento più pesante. Oggetti oblunghi dalla lunghezza approssimativa di 1,7 metri ed un diametro di 40 cm, migliorati in occasione dell’operazione Market Garden con l’aggiunta di un dispositivo fumogeno di colore rosso, affinché i membri umani dell’assalto aviotrasportato potessero affrettarsi a raggiungerli una volta a terra, evitando di dover affrontare i tedeschi armati solamente dei rispettivi mitra compatti Sten. Anche perché il loro peso di fino a 159 Kg, sensibilmente superiore a quello dei soldati, faceva si che spesso fossero separati da loro durante la discesa, e dovessero venire rintracciati in una dolorosa e rischiosissima corsa contro il tempo. Un’improvvisa raffica di vento, tuttavia, rischiava in quel momento di fare anche peggio di così; Williams vide con i suoi stessi occhi, Ronald e Kenneth venire allontanati via verso il punto d’incontro, laddove lui stesso veniva spinto in direzione delle postazioni nemiche. Svelte forme grigie si assembravano sotto di lui, nel sottobosco. Ebbe appena il tempo di riconoscere le uniformi del kampfgruppe incaricato di difendere le postazioni militari, quando un breve attimo di terrore si trasformò in rassegnazione: appena a terra… Avrebbe gettato le armi e si sarebbe arreso. Quali altre possibilità gli rimanevano, ahimé? Con il progressivo avvicinarsi delle cime degli alberi, tuttavia, riconobbe l’inconfondibile rumore di un cilindro che rompeva i rami sotto di lui. Possibile che… Matematicamente, c’erano esattamente 4 possibilità su 10 che si trattasse di QUELLA cosa! Eppure Williams preparò il coltello, per tagliare appena possibile le corde del paracadute. Avrebbe tentato la sorte, fino all’ultimo minuto di quella dannata guerra.
“Achtung, STOP! Gib auf!” Le grida rimbombavano tra i tronchi, mentre apriva lo sportello della capsula adagiatosi a lato. E con occhi increduli, scorse tutto quello che aveva sempre desiderato: una ruota, quindi un’altra e in mezzo un semplice apparato motorizzato. Con un lieve grugnito, il sergente fece rotolare fuori gli appena 32 Kg del piccolo veicolo, affrettandosi a tirare su il manubrio e bloccarlo grazie all’apposito paletto a molla. I primi colpi d’avvertimento stavano venendo sparati in aria, ma Williams non se ne curò eccessivamente. A quel punto, era un uomo con una speranza: in pochi attimi, fu facile estendere la sella in posizione di guida, evitando di mettersi a cavalcioni dello strano oggetto, poiché ben sapeva che l’unico modo per farlo partire era a spinta! Fortunatamente, innanzi a se si presentava una piccola radura. Con quattro, cinque, sei passi, la Welbike era avviata. Soltanto pochi secondi, ora… Mentre i tedeschi convergevano verso la fonte dell’improvviso rumore, Williams rilasciò la frizione, balzando in avanti verso quella che riteneva essere la posizione dei suoi alleati. Il tutto per tutto: chi cade è perduto. “WROOOM, grazie mille, colonnello Dolphin!”
Quando i vichinghi assaltarono le coste inglesi durante i lunghi secoli dell’Alto Medioevo, a bordo delle loro lunghe ed agili navi con la prua a forma di drago, essi si trovarono ad affrontare un tipo di nemico completamente nuovo. Uomini non particolarmente facili da colpire, poiché posti in sella a quel tipo di animale che loro erano soliti usare soltanto per tirare l’aratro nei campi, il rapido, forte ed imprendibile cavallo. Naturalmente, trasportare un equino a bordo di una drakkar non era cosa semplice, al punto che il concetto di cavalleria risultava totalmente inaudito per i popoli predoni del vasto Nord. Almeno finché alla costituzione della grande armata nel nono secolo, guidata dai cinque figli del leggendario Ragnar Lodbrok, l’importanza e la validità di un tale approccio militare non divenne parte inscindibile della macchina da guerra danese. Per la prima volta nella storia, dunque, piccoli contingenti armati impararono a spostarsi attraverso lunghe traversate marittime, senza per questo rinunciare alla mobilità una volta ritornati sulla terraferma. Sostituisci l’oceano con l’azzurro cielo, siam qui a parlare in pratica di una paragonabile contingenza.
Produttore: la Excelsior Motor Company di Birmingham; Committente: la rinomata Station IX con sede presso la vecchia magione The Frythe, nel sobborgo di Welwyn non troppo lontano a nord di Londra, dove un eterogeneo team di scienziati, tecnici ed inventori aveva fornito il proprio personalissimo contributo ai lunghi anni di guerra, sotto il comando del tenente colonnello John Dolphin e secondo le precise esigenze dettate dal comando dello Special Operation Service. Mediante una serie d’iniziative che avrebbero ispirato, nelle decadi a venire, sia l’immancabile scena di ogni film di James Bond (non a caso, lo stesso Peter Fleming, fratello dell’autore dei romanzi, faceva parte del SOE) che il sistema di suffissi del supereroe Batman, se è vero che ciascun “oggetto” qui concepito prendeva la sua prima sillaba dal toponimo locale, portando a capolavori come la pistola silenziosa Welrod, il sottomarino personale Welman ed ovviamente la pratica, versatile moto pieghevole Welbike, oggetto e ispirazione della nostra trattazione di oggi. Un veicolo concepito per la funzionalità prima che l’estetica o la praticità d’impiego, vista l’assenza di fari, un freno posteriore o invero alcuna concessione al comfort del suo pilota. Benché il veicolo possedesse una capacità insostituibile: quella di essere incapsulata all’interno di un cilindro paracadutabile CLE adeguatamente imbottito nella sua parte anteriore, come si faceva normalmente con gli armamenti facenti parte del corredo di un gruppo di fuoco operativo dietro le linee nemiche. Proprio per questo la meccanica del motore da 98 cc prodotto da Villiers era piuttosto semplice ed estremamente compatta, con un serbatoio che doveva essere pressurizzato mediante l’impiego di una pompa (normalmente si faceva poco prima del lancio) causa il posizionamento troppo in alto del carburatore. Il tutto affinché il soldato, una volta toccata terra, potesse tirare fuori la moto e prepararla all’uso in meno di 11 secondi. A patto, naturalmente, di riuscire a trovarla e che il terreno non fosse eccessivamente fangoso per utilizzarla con successo. Le due piccole ruote generavano una trazione trascurabile, dimostrandosi purtroppo inclini a restare impantanate piuttosto facilmente.
Il concetto di veicolo a due ruote paracadutabile fu in effetti giudicato molto interessante da una buona parte delle forze principali nel secondo conflitto mondiale, ancor prima che il progressivo ingrandimento degli alianti d’attacco permettesse ai paracadutisti di disporre di attrezzature di tipo maggiormente convenzionale. Famose, a tal proposito, sarebbero rimasti gli scooter compatti americani Cushman, così come l’italiana Volugrafo Aermoto 125, particolarmente apprezzata dai tedeschi per la sua affidabilità ma priva del sellino estensibile della Welbike, accentuando ulteriormente la strana posizione assunta da parte dell’utilizzatore.
Ciò che distingue in modo particolare la proposta inglese dai sistemi simili prodotti in quegli anni, tuttavia, è il successo avuto nell’immediato dopoguerra, in risposta all’esigenza di trovare una grande quantità di mezzi di trasporto a buon mercato. Una parte delle circa 3.600 mini-moto prodotte, quindi, finirono presso gli stabilimenti della Corgi Motorcycle di Southport, che in breve tempo elaborò un progetto di riconversione capace di renderle adatte all’uso civile. Con un manubrio allargato e l’aggiunta di un freno anteriore, la nuova moto ribattezzata semplicemente Corgi Scooter (era dopo tutto, lunga e bassa come quella particolare razza canina) venne quindi prodotta in serie fino all’inizio degli anni ’50, con un totale di esemplari ampiamente superiori ai 25.000. Ponendo le basi, in questo modo, di un’ulteriore sotto-cultura del design britannico dell’immediato dopoguerra, capace d’ispirare i consueti raduni, rievocazioni e parate autogestite da letterali schiere d’appassionati. Considerate come oggi sia possibile, persino, acquistare una fedele replica funzionante del mezzo d’epoca bellica prodotto a Canal Lake, Tunstall, al conveniente prezzo di 4.750 sterline. Somma pienamente giustificata, per rivivere le spericolate imprese che permisero di riportare la pace in un’Europa sconvolta dalle conflittuali ideologie del secolo scorso.
Perché una moto, come un cavallo, potrà anche non essere la più veloce, maneggevole o accessoriata nel suo specifico segmento veicolare d’impiego. Ma come sua imprescindibile prerogativa, risulta in grado di spalancare il passaggio verso un’ampia gamma di possibilità. Perché ha il manubrio. La sella. Ed il motore. Che cosa puoi pretendere, oltre a questo, quando i soldati tedeschi si apprestano a circondarti con le baionette già montate sui loro fucili?