Il grande miracolo vittoriano del primo tunnel scavato sotto il Tamigi

Rosica e scava; serpeggia, divora. Il più grande dei vermi teredo, mollusco che mangia le navi, venne ammansito all’inizio del XIX secolo a servire la brava gente della città di Londra. Non nella sua manifestazione biologica, bensì quella artificiale direttamente partorita dalla mente visionaria di un uomo, la cui collaborazione con la Royal Navy aveva già contribuito a semplificare e ridurre i costi nella produzione intensiva di carrucole navali. Stiamo qui parlando, dinnanzi al palcoscenico della storia, della vita e l’eredità di Marc Isambard Brunel, l’ingegnere fuggito dalla Francia nel 1793, dopo alcuni commenti inappropriati in merito alla figura di Robespierre e che ritroviamo esattamente 32 anni dopo, alle prese con un dei più significativi & sofferti problemi a quei tempi per la popolosa capitale del Regno Unito: come congiungere efficacemente, dai rispettivi lati del grande fiume, le nuove strutture portuali che avevano accompagnato la sua crescita industriale ed economica, senza inficiare la mobilità dei vascelli tramite la frapposizioni d’ingombranti sovrastrutture e ponti. Domanda implicita verso cui si era già provato a dare una risposta, quando nel 1803 l’imponente figura di Richard Trevithick, assieme ad un gruppo di minatori da lui reclutati in Cornovaglia, aveva fondato con le finanze messe da parte nella sua pregressa carriera di lottatore la compagnia Thames Archway Company, ricevendo il mandato cittadino allo scavo del più lungo, e difficoltoso, dei tunnel costruiti nel corso della storia umana (nonché il primo a passare sotto un fiume navigabile, fatta eccezione per quello babilonese soltanto teorizzato da parte degli archeologi, sotto l’ancestrale Eufrate). Per scoprire soltanto quanto fosse un ambiente chimicamente ostile, e pericolosamente friabile, quello attraverso cui la sua squadra aveva pensato di scavare un angusto pertugio da ampliare e murare successivamente, mentre pompavano via l’acqua fetida filtrante mediante l’impiego di una piccola macchina a vapore fatta procedere sui binari. Così che dopo appena 313 metri, e quattro anni di lavoro, la compagnia aveva terminato i soldi e l’idea fu necessariamente abbandonata. Passa il tempo ma non spariscono le necessità, così che l’erede più competente di un tale sogno, un bel giorno, avrebbe trovato un ingegnoso metodo per trovare salvezza dalla sua problematica situazione debitoria. Quando direttamente dal carcere in cui era stato confinato con tutta la famiglia causa una serie di pessime decisioni finanziarie, scrisse una lettera indirizzata all’Imperatore Alessandro I di Russia, in cui parlava di un rivoluzionario metodo per far passare un tunnel sotto il fiume Neva. Missiva immediatamente intercettata e fatta pervenire ad un gruppo d’intellettuali, architetti ed altre figure di spicco della politica londinese, che in breve tempo organizzarono una colletta per saldare le migliaia di sterline rimaste e far liberare questa personalità geniale, immediatamente assurta al ruolo di preziosa risorsa per l’Inghilterra. Fu una mera conseguenza di un tale risvolto, quindi, l’effettiva evocazione del verme, con la sua testa corazzata costruita in metallo, legno e quel tipo d’intraprendenza che permette ai saggi di strumentalizzare la natura.
Il miglioramento procedurale previsto da Brunel sarebbe consistito quindi nella scelta di un approccio allo scavo costruendo di pari passo il ponte, piuttosto che accennarne il passaggio e poi, soltanto in seguito, apporvi le strutture che avrebbero dovuto contribuire a renderlo permanente. Questione certamente più facile a dirsi e semplicemente impossibile fino alla sua proposta per il cosiddetto “scudo”. Una solida serie di 36 celle, ciascuna delle quali ospitante un singolo scavatore e facenti parte di un indivisibile muro, il cui graduale avanzamento su viti infinite avrebbe dovuto idealmente imitare quello della testa corazzata del mollusco bivalve tanto giustamente inviso ai marinai. E così fu, per gli anni a seguire, che furono molti più del previsto per un’ampia serie di ragioni. Non ultime la quantità d’interruzioni dovute ad incidenti, assenza di fondi e l’ampio ventaglio di significativi contrattempi che sempre accompagnano i maggiori risvolti del progresso umano…

Le illustrazioni originali di Brunel ed i suoi sottoposti sono oggi custodite presso il museo dedicato al tunnel, situato in prossimità dell’antico ingresso verticale di Rotherthithe. Visite guidate alle sezioni pedonali vengono periodicamente organizzate dai curatori della struttura.

Che la costruzione del tunnel sotto il Tamigi sarebbe stata un grande spettacolo, degno di essere chiamato enfaticamente come l’ennesima “ottava meraviglia del mondo” fu fin da subito chiaro nel 1825, quando successivamente alla formazione della Thames Tunnel Company con significativi investitori tra cui il Duca di Wellington, Brunel fece il primo indispensabile passo alla messa in opera del suo ingegnoso “scudo”: lo scavo, in senso verticale, di un ampia voragine verticale sulla riva sud del quartiere Rotherthithe, ricavata mediante l’impiego di un anello di ferro dal diametro di 15 metri. Il quale, appesantito fino a cifre inimmaginabili dal poderoso macchinario a vapore che si sarebbe occupato del pompaggio dell’acqua fluviale, assieme alle sue stesse mura già pronte per essere seppellite, venne fatto gradualmente sprofondare, mentre gli uomini rimuovevano la terra in eccesso accanto alle sue taglienti pareti paragonabili a quelle di una formina per fare i biscotti. Raggiunta la profondità prevista di circa 20 metri, si cominciò quindi lo scavo in senso orizzontale, che avrebbe dovuto proseguire per ben 396 fino alla struttura simile, che avrebbe preso forma soltanto svariati anni dopo sull’altra sponda del Tamigi. Lo scavo mediante l’impiego dello scudo era un’opera laboriosa e massacrante. I 36 operai, scelti tra le maestranze più esperte, fisicamente resistenti ed affidabili della città, dovevano infatti rimuovere una dopo l’altra una serie di assi poste a proteggere le rispettive celle dal suolo friabile, sempre pronto a franare in qualsiasi momento, facendole avanzare un poco alla volta mentre scavavano e le rimettevano immediatamente a posto. Una volta completata tale opera da parte di ciascuno di loro, quindi, veniva inviato un segnale al cantiere e l’intero scudo avanzava di mezzo metro, mediante l’azionamento di una serie di viti meccaniche infinite. A questo punto, i muratori, che lo seguivano da presso, intervenivano immediatamente per estendere le mura permanenti del tunnel costruite a ridosso dell’ingegnosa struttura. Fu presto scoperto, tuttavia, come il sistema fosse tanto efficace nel fermare frane di terra quanto necessariamente permeabile alle acque filtranti del maleodorante Tamigi, che all’epoca ancor più di oggi assomigliava a una terribile fogna a cielo aperto. Così che i coraggiosi individui incaricati del compito venivano costantemente ricoperti dalle malsane sostanze, capaci d’indurre una terribile varietà di afflizioni e malattie. Tanto che lo stesso capo ingegnere dell’impresa, John Armstrong, dovette ritirarsi dopo essersi ammalato nel 1826, lasciando la sua posizione di primaria importanza al figlio dell’ideatore di tutto questo, il famoso Isambard Kingdom Brunel che tanti significativi segni avrebbe lasciato nella storia dell’ingegneria inglese in epoca Vittoriana. Uomo il cui coraggio ed intraprendenza sarebbero apparse evidenti fin dall’inizio del 1827, quando a seguito della più significativa inondazione subita dal cantiere del tunnel fino a quel momento, si fece personalmente calare fino al fondo del Tamigi in una campana subacquea, per tappare la falla mediante l’impiego di sacchetti di sabbia preparati ad-hoc. Il che non avrebbe impedito, tuttavia, una significativa inondazione l’anno successivo costata la vita a sei uomini che non fecero in tempo a mettersi in salvo, portando i lavori a subire un significativo stato di arresto destinato a durare ben 7 anni. Soltanto nel 1834, grazie a una nuova raccolta di fondi tra cui quelli provenienti dalla Tesoreria di stato, l’opera venne quindi ripresa ed infine completata, dopo ulteriori inondazioni minori e pericolosi accumuli di gas metano ed acido solfidrico, nel distante novembre del 1841.

Tipica di quel secolo, restò l’idea che le cose utili dovessero in qualche modo risultare anche inevitabilmente attraenti. Prima che il valore intrinseco della natura, tramite la corrente nascita di un diverso tipo di coscienza, prendesse piede nella percezione umana del mondo.

Il nuovo tunnel sotto il Tamigi, che già aveva costituito un’attrazione locale dietro il pagamento di uno scellino per ammirare lo stato dei lavori, diventò quindi immediatamente un’attrazione turistica tra le più rinomate di tutta Londra. Viaggiatori giunti da terre lontane, inclusi gli Stati Uniti, ci hanno quindi lasciato entusiastici resoconti sui negozi di articoli d’ogni tipo, tra cui stoviglie, giocattoli e souvenir, che ben presto trovarono posto sotto le sue eleganti arcate, assieme alle esibizioni di acrobati, giocolieri ed altre meraviglie. Ciononostante, il tunnel venne riservato per anni al solo impiego pedonale, senza mai ricevere l’adattamento al passaggio di carrozze per cui era stato originariamente concepito ed anche per questo, venne giudicato un fallimento finanziario fino alla fine della vita di Brunel, sopraggiunta nel 1849 all’età di 80 anni. Un passaggio ormai derelitto e parzialmente abbandonato, dove le prostitute e ladri avevano preso il posto degli attraenti banchi commerciali, venne quindi venduto nel 1865 alla Compagnia Ferroviaria di Londra, che facendovi passare i binari ne fece quella che viene universalmente riconosciuta come prima linea metropolitana sotterranea al mondo.
Ed è significativo notare come per una volta, l’ammirazione per l’antico abbia qui prevalso alle ragioni di mera funzionalità pratica, agevolando l’applicazione di una serie di restauri tra gli anni ’90 ed i primi successivi al 2000 mirata a mantenere per quanto possibile l’originale aspetto dell’opera vittoriana, con tanto di dettagli ed ornamenti pseudo-egizi in voga durante il corso finale della sua originale posa in opera e costruzione. Sebbene i visitatori abbiano oggi circa 25 secondi per ammirarli, mentre sfrecciano all’interno dei moderni treni proiettati da un lato all’altro della città. Nessuna traccia fu mantenuta, di contro, della testa metallica del verme dei nostri incubi più remoti, che per quanto possiamo immaginare, ancora oggi, in qualche remoto recesso sotterraneo, va in cerca di enormi scafi da fagocitare.

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