Verso la seconda decade del Ventunesimo, iniziarono a farsi maggiormente intraprendenti: le loro ipotesi, più risolutive; i loro piani, più ambiziosi. Certo, è difficile negare attraverso il corso attuale degli eventi che il mondo contemporaneo stia affrontando un momento storico complicato. L’instabile situazione economica, dovuta all’attuale situazione pandemica, per non parlare della perdita di preziose vite umane appartenenti all’intero spettro delle età possibili, in forza di un fattore contaminante il cui contenimento si sta rivelando una missione generazionale, non possono e non devono tuttavia precludere il coraggioso avanzamento verso nuovi ed incombenti stadi del progresso storico verso la prossima regione oggetto degli umani vagabondaggi. La quale, volendoci basare sulle conoscenze offerte da parecchi anni di letteratura speculativa ed ipotesi informate, troverà una probabile collocazione al di là degli ampi spazi vuoti del Sistema Solare. O per essere maggiormente precisi, presso le distese polverose di quel quarto pianeta, che un tempo avrebbe potuto essere del tutto simile alla nostra Terra. Che a quell’epoca, per quanto ne sappiamo, avrebbe potuto trovarsi caratterizzato da stazioni radio, scandali politici, grandi centri urbani ed autostrade. Quali siano i segni che forme di vita sufficientemente avanzate possono lasciare successivamente all’estinzione, non ci è d’altra parte noto, in alcuna misura né maniera. Ma una cosa almeno, dopo tutto, resta certa: che siamo intenzionati a scoprirlo. E potremmo riuscire a farlo, ipoteticamente parlando, nelle prossime settimane o mesi grazie all’imminente raggiungimento del punto critico di una missione costata fino ad ora 2,1 milioni di dollari. Per lo più dei contribuenti americani s’intende, trattandosi di quel progetto Marte 2020 che la NASA aveva instradato verso il suo obiettivo il 30 luglio scorso durante una delle migliori finestre di lancio note, a bordo di un potente e ben collaudato razzo Atlas V il cui stadio superiore, subito dopo aver lasciato l’atmosfera, avrebbe continuato fuori dal tragitto orbitale per iniziare i 687 giorni di viaggio destinati a condurlo fino alle rosse, brulle distese del sogno paesaggistico di chi ama meditare in silenziosa solitudine e assoluta tranquillità.
Una missione il cui protagonista non-umano, il rover denominato Perseverance, appare al tempo stesso tanto simile al suo predecessore Curiosity eppure così diverso. Proprio perché dotato, nella sua forma dalle dimensioni paragonabili a quelle di una piccola automobile di non cinque o sei bensì sette strumenti scientifici, scelti tra un carnet di quasi 60 proposte, con lo specifico obiettivo senza precedenti di provare l’effettiva esistenza pregressa della vita sul pianeta bersaglio, in una qualsivoglia forma, quantità o possibile accezione. Intento che trova un’ulteriore riconferma nel significativo miglioramento dei presupposti tecnologici d’atterraggio, per la prima volta fissati non in una regione generica, o gli immediati dintorni di un immaginifico quartiere, bensì l’obiettivo attentamente selezionato del cratere Jezero, considerato il sito probabile di un antico lago ormai da lungo tempo scomparso e dimenticato. Un’impresa possibile soprattutto grazie all’impiego di uno scudo termico dal profilo aerodinamico migliorato, peso inferiore ed un innovativo sistema di scansione e riconoscimento fotografico del paesaggio, che dovrebbe permettere ai sistemi automatici del dispositivo di dirigere la sua discesa durante i fatidici “7 minuti di terrore” che separeranno la fase spaziale del suo viaggio dall’impiego operativo delle quattro formidabili ruote tra la polvere e le rocce, vera ragion d’essere dell’intera costosa, impegnativa faccenda. A fronte di un rilascio davvero spettacolare simile a quello del precedente rover, tramite l’impiego di una “gru a razzo” che dovrà lasciarlo delicatamente a contatto con il suolo, poco prima di volare via verso il tramonto per autodistruggersi altrove.
Ed è proprio questo lo spettacolo che ci aspetta e questa volta tramite l’impiego di migliori inquadrature, secondo il piano chiaramente definito, a partire dalle 21 italiane di domani 18 febbraio 2021, presso i soliti canali internettiani ed a quanto dichiarato anche nel palinsesto di emittenti televisive tematiche come quella di Focus, nello svolgersi di una lunga sequenza che i suoi committenti ed autori considerano in grado di attirare e distrarre l’opinione pubblica del mondo dal pesante senso d’inquietudine che sembra averci coinvolto tutti. Tanto da sembrare intenzionati a farne, per la prima ed importante volta, un vero e proprio show…
Il che non potrà mai avvenire, per la cronaca, perfettamente in diretta; causa i 20 minuti necessari affinché un segnale possa attraversare il grande vuoto che separa la Terra e Marte, ragione d’altra parte che contribuisce e determina l’effettivo bisogno di automatizzare ogni singolo passaggio fino al fatidico touch-down. Che al suo riuscito ed auspicabile completamento, come nelle dozzine e centinaia di simulazioni effettuate a questo momento, aprirà il capitolo seguente di quelle che possiamo augurarci essere una lunga e significativa serie di scoperte sul tema largamente inesplorato della xenobiologia. Forse tramite l’illuminazione, grazie al Sistema Spettro-Litografico a raggi X Planetario (PIXL) del segno riconoscibile di fossili un tempo viventi. O magari grazie allo Spettrometro Raman di Composti Organici e Sostanze Chimiche (SHERLOC) Oppure ancora grazie al Radar di Rilevamento Sotterraneo (RIMFAX) concepito per mappare zone cave potenzialmente ricche di risorse energetiche nell’antico fondale di questo lago. Ma le vere star della faccenda saranno, ancora una volta, le numerose telecamere ad alta definizione distribuite su ogni lato del veicolo, pensate per offrirci una ripresa ad ampio spettro di quello stesso scenario ove potrebbero, in un ipotetico futuro non troppo lontano, posarsi gli stivali indossati da un gruppo d’esploratori umani. Con l’ulteriore innovativa collaborazione di un passeggero totalmente privo di precedenti, l’elicottero autonomo (essenzialmente un drone) Ingenuity, frutto di approfondite ricerche aerodinamiche che dovrà dimostrarsi il primo esecutore di un volo a motore con decollo presso la superficie di un diverso pianeta. Aggiunta dell’ultimo momento alla missione, dal peso trascurabile di appena un paio di chilogrammi e che potrebbe dimostrare, a vantaggio della prossima missione, l’efficienza presunta di una simile metodologia di scansione paesaggistica e rilevamento ad alta quota, tramite l’inclusione di versioni sovradimensionate o veri e propri “rover volanti” (per un approfondimento di questo specifico componente della missione, invito a leggere il mio precedente articolo dell’agosto scorso sull’argomento.)
Nel suo complesso, ad ogni modo, il nuovo rover Perseverance sembrerebbe rendere omaggio al suo nome, con un peso maggiorato 1025 Kg contro gli 899 del fratello, impiegati tra le altre cose al fine di garantirgli una superiore solidità strutturale, in modo particolare per quanto concerne le ruote, create con una maggiore quantità di alluminio ed un diametro maggiorato, al fine di prevenire il danneggiamento subito da Curiosity a fronte degli ormai nove anni di funzionamento pressoché privo di contrattempi degni di nota. Una lunga vita d’impiego questa, garantita dalla presenza a bordo del sistema di alimentazione comune ad entrambi i veicoli del Generatore Termoelettrico a Radioisotopi MMRTG, vera e propria batteria nucleare capace di garantire una vita minima di 14 anni, ma che può estendere la propria capacità di operare addirittura molto, molto più a lungo: vedi il caso delle sonde Voyager 1 e 2, ancora capaci di rispondere all’invio di un segnale dalla remota epoca del 1977. Apparirà evidente, a questo punto, il valore aggiunto offerto dalla collocazione di un vero e proprio agente robotico a simili distanze dalla nostra collettività in entusiastica ed al tempo stesso indifferente attesa, sebbene il consenso presso chi possiede tutti i pezzi del puzzle sia che la discesa storica di dopodomani possa rappresentare, in ultima analisi, un importante punto di svolta per la storia dell’esplorazione spaziale. Soprattutto, s’intende, per quello che potrà accadere Dopo…
Già è previsto nel programma di missione di Perseverance, dunque, il processo di raccolta e preparazione al futuro recupero di una serie di campioni di rocce giudicati particolarmente interessanti, un’ipotesi destinata idealmente a concretizzarsi entro il 2026, tramite l’impiego di un ulteriore rover capace di collaborare con un sistema orbitale dotato del carburante necessario a fare ritorno presso i nostrani lidi terrestri. Sempre che non riesca a concretizzarsi, ancor prima del concludersi di questa decade, il sogno tanto pubblicizzato del facoltoso uomo d’affari Elon Musk, i cui enormi investimenti nel settore dei trasporti e futuri viaggi spaziali tante strade hanno aperto, e continuano ad aprire, verso l’evolversi di un così fondamentale settore tecnologico. E quale spinta possiamo immaginarci, alla realizzazione di un così difficile obiettivo, dalla possibile scoperta immaginata dalla NASA a seguito del lancio della sua più recente missione: che non soltanto ci fu vita su Marte ma per quanto ne sappiamo, batteri estremofili o altri microrganismi potrebbero ancora agitarsi in brulicante attesa, sopra o sotto le ampie sabbie, di essere trovati da coloro che appropriatamente “perseverano” a sognare fin quaggiù. Il sogno di un domani destinato a sopravvivere ogni sconvolgimento possibile, compreso il catastrofico ed inarrestabile inaridimento di un intero pianeta. Ma non fasciamoci, come si dice, la testa prima del tempo. Per quanto possiamo immaginare, un giorno si spera non troppo lontano, potremmo giungere a possederne ben due.