Fresca, dolce, chiara ed attraente stracciatella. Chi non ama dare un morso a quel gelato? Chi non vuole assaporare il voluttuoso gusto dell’estate? Ma in inverno il ghiaccio è solamente quello: ciò che guardi ma non tocchi, mantenendo quel contegno gelido e distante. Acqua congelata, vade retro, piuttosto che subire lo scivolamento resto a casa! Io, l’umano… Ma se fossi nei tuoi panni chitinosi, in linea puramente ipotetica, piccolo collembolo del sottobosco offuscato dall’effetto della luce che riscalda, non esiterei ad emergere in siffatto modo. Strisciando, danzando, amando nel mio modo la stagione. Assieme a qualche migliaio, se non dieci volte tanto, dei miei simili dagli occhi spalancati, scagliosi e zampettanti come il mostriciattolo di un vecchio sparatutto della sala giochi.
Il bello di questi entognati esapodi facenti parte del gruppo dei Paraentoma, assieme ai Protura e Diplura, è che nonostante le apparenze non appartengono affatto alla grande classe degli artropodi che prende il nome d’insetti. Né a quella degli aracnidi, benché abbiano abitudini ragionevolmente comparabili a quella dei cari amici acari, inquilini inevitabili delle nostre case. Giungendo quindi ad occupare, piuttosto, un ramo meramente parallelo del grande albero della vita, che nonostante le apparenze vanta un periodo d’esistenza almeno abbastanza antico, se non addirittura antecedente al resto del consesso artropode macroscopico. Databile, in buona sostanza, fino al periodo Devoniano (416 – 359 milioni di anni fa) come ampiamente dimostrato grazie al ritrovamento di esemplari fossili all’interno dello strato geologico del Lagerstätte di Rhynie, in Scozia, perfettamente immortalati alle alte pressioni dei processi trasformativi del sottosuolo. Del tutto riconoscibili, coi loro tre segmenti toracici, sei addominali del il protorace sporgente, simile alla testa di un vertebrato quadrupede dei nostri giorni. Ponendo le basi per un valido termine di paragone occasionalmente ripetuto, che vedrebbe i detritivori springtail (nome comune anglofono significante “coda molleggiata”) associati ai conigli della tranquilla campagna inglese, tanto inoffensivi quanto prolifici, che senza nessun predatore a regolamentarne il numero popolerebbero semplicemente l’intero spazio disponibile, replicando ad infnitum la loro perfettisima identità evolutiva. Il che assume proporzioni nettamente più serie, quando si considera come questi esseri costituiscano in maniera collettiva una delle biomasse maggiormente significative dell’intero pianeta Terra, con una densità capace di aggirarsi occasionalmente attorno ai 100.000 esemplari per metro quadro. Riuscendo a sostituire l’immagine della stracciatella con la visione fantascientifica della temibile “poltiglia grigia”, l’ipotetico agglomerato di nanomacchine sfuggite al controllo, destinate ad invadere e divorare tutto quanto. Esagerato? Senz’altro. Ma non privo di una certa base nella percezione ecologica di questi animali, che dal nostro punto di vista ci sono sempre stati, e senz’ombra di dubbio riusciranno a sopravvivere alla nostra transitoria civiltà umana. I collemboli sono del resto, a diffusione cosmopolita, benché i loro ambienti preferiti debbano necessariamente sottintendere un certo grado di umidità, a causa del loro sistema respiratorio basato sulla traspirazione, particolarmente inefficiente durante i periodi successivi alle frequenti mute. Però posseggono almeno un utile strumento per resistere all’assalto dei predatori: l’arto mobile posizionato al centro del loro addome, simile a una coda ma girato in avanti, che prende il nome di forcula e si trova normalmente posizionato a ridosso del corpo. Finché la creatura non rileva un qualche tipo di pericolo e senza particolari esitazioni, lo fa scattare in modo estremamente rapido verso il basso, balzando in aria per un’altezza nell’ordine dei 10-20 centimetri, pari a svariate centinaia di volte la lunghezza del loro corpo. In altri termini, un’impresa paragonabile a quella di uno di noi che all’improvviso decidesse di scavalcare in un sol balzo la torre Eiffel. Per poi far ritorno, senza attarsi, nel suo esatto punto di partenza. Poiché primaria è per questi esseri, la distribuzione in determinati recessi dello spazio naturale…
I collemboli vengono definiti a tal fine degli esseri soggetti a gravitropismo, ovvero la distribuzione sulla base della distanza dal centro d’attrazione terrestre. Così la loro classificazione interna, suddivisa in quattro macro-gruppi essenziali, si trova a beneficiare di specifiche condizioni di sopravvivenza. Sopra a tutti sopravvivono le specie più grandi, appartenenti principalmente ai generi Entomobrya ed Orchesella con corpi allungati capaci di raggiungere gli otto millimetri e l’abitudine occasionale ad arrampicarsi sulla cima degli alberi. Nello strato mediano della superficie ricoperta di foglie morte trovano posto le specie Atmobiotiche ed Epedafiche, dalla dimensione approssimativa di 3-4 millimetri, con pigmentazione meno pronunciata ed in probabile conseguenza di questo, ocelli meno adatti a percepire le minuzie del mondo osservabile attorno a loro. Ancor più piccoli, dal corpo tozzo e tondeggiante nonché spesso privi di una forcula funzionante, troviamo le specie Emiedafiche, in grado di occupare gli strati inferiori dell’humus, dove nessun tipo di luce raggiunge le loro forme rannicchiate per tutto l’inverno. Un comportamento diametralmente opposto, s’intende, da quello dell’Hypogastrura nivicola tra tutti i collemboli nordamericani quello maggiormente incline ad emergere in qualsiasi stagione permettendo a chiunque di osservarlo, grazie al netto contrasto creato dal suo corpo nero sul candore compatto dei soffici strati di neve.
Creature che vivono a stretto contatto coi loro simili ma al di là di questo, cercano pace ed isolamento, i collemboli non si spingono generalmente negli ambienti urbani, pur rappresentando creature invasive in grado di creare non poche preoccupazioni a chi conduce il mestiere dell’agricoltore. Alcune delle specie più voraci, infatti, sono solite aggredire con trasporto tuberi, tabacco, erba medica, legumi, cereali e barbabietola da zucchero. Mentre altre varietà si sono rivelate invece utili, aggredendo esclusivamente presenze indesiderabili come il micelio e le spore dei funghi patogenici, benché sia difficile capire l’appartenenza a l’una o l’altra popolazione prima che sia già troppo tardi. La loro costante ricerca di ambienti riscaldati dal sole o altre fonti si è dimostrata inoltre in grado di portarli, in una serie di casi ampiamente documentati, ad invadere le abitazioni di alcuni malcapitati vicini umani (vedi il celebre caso verificatosi nel 2018 presso l’abitazione di un’anziana signora a Waterford, in prossimità di Detroit). Episodio a seguito del quale diviene estremamente difficile liberarsene, viste le capacità di riprodursi, mediante deposizione strategica dello spermatoforo da parte dei maschi, fino a quantità letteralmente incalcolabili nel giro di pochissimi giorni. Talvolta difficili da individuare, prima che il cambiamento delle condizioni climatiche li porti a migrare altrove, i collemboli sono stati giudicati anche alla base di presunti casi di parassitosi delirante o allucinatoria, una condizione in cui il paziente afferma con assoluta sicurezza di essere costantemente torturato da minuscole creature pruriginose; le quali tuttavia nessun altro, per fortuna, riesce ad individuare. Ma non c’è niente di immaginifico, in questi costanti osservatori di ogni nostro movimento. Minuscoli abitatori di ogni nostro pensiero, desiderio e aspirazione in ogni breve momento di permanenza nel regno delle creature che respirano e camminano sotto lo stesso cielo.
Gli springtail quindi, come presenza costante ed ineffabile, sono riportati aver sollevato almeno un piano malefico da parte dei teorici di quel mostruoso concentrato di malvagità che è la guerra biologica moderna. Quando in un lungo periodo tra gli anni 50 e 60, presso la base segreta di Pine Bluff, in Arkansas, l’esercito americano sperimentò la praticabilità di rilasciare letterali miliardi di queste creature sui propri nemici da un aereo, preventivamente infettate con virus come quello dell’antrace, il colera e il vaiolo. Creando l’eventualità di una terribile “arma vivente a sei zampe” che non ebbe mai, per fortuna, l’occasione di concretizzarsi. L’allevamento sistematico di tali esseri continua d’altra parte ad essere praticato in ambienti artificiali ancora oggi, con l’intento di sperimentare la loro resistenza a determinati ambienti contaminanti, nella speranza di poterne utilizzare alcune specie al fine di depurare regioni particolarmente inquinate. Mentre in ambito domestico, la coltivazione dei collemboli all’interno di piccoli habitat controllati è una prassi particolarmente apprezzata dagli erpetofili, che ben conoscono l’entusiasmo gastronomico nei loro confronti da parte dei propri beneamati rettili e rane.
Il vero senso della qui presente trattazione, dunque, è che non sempre ciò che trovi ovunque serve solamente a nuocere. Ma qualche volta esiste per uno scopo ben preciso, finalizzato a dirimere problemi senza tempo. Chi mangerà quello che nessun altro può trovare appetitoso? Chi occuperà le nicchie troppo piccole per tutti gli altri? Chi, se non loro: i molleggiati eredi di un’antica dinastia. Al cui cospetto addirittura gli insetti, paiono dei giovinastri privi di un retaggio degno di essere menzionato!
1 commento su “La vera storia delle pulci che si affollano sui cumuli di neve”