Dove si colloca la linea di demarcazione tra una struttura difensiva utile, proprio perché posta in alto, ed un luogo tanto remoto e fuori dai sentieri più comunemente battuti, da trasformarsi in poco più che una dimostrazione del concetto di bastione imprendibile, per lo più finalizzato ad incutere mera inquietudine nell’operato di un’ipotetica strategia logistica d’invasione? Strutturalmente inerente risulta essere un tale concetto, nonché determinato dalle specifiche circostanze geografiche di ciascun caso preso in esame. In cui a un’estremo dello spettro potremmo porre, idealmente, i forti di pianura della Padania italiana, creati per resistere alle mire espansionistiche della serenissima Repubblica veneziana. Ed all’altra, spaziando nella nostra esplorazione, i remoti altopiani situati nella parte centro-occidentale del subcontinente indiano, all’interno del territorio facente parte di un antico e prestigioso impero. Fra tutti gli stati che compongono tale nazione, forse quello maggiormente dotato di un’identità propria e mutualmente esclusiva rispetto ai colleghi, direttamente riconducibile al personaggio storico del suo primo grande sovrano, il Chhatrapati (Re) Shivaji Bhonsale I, famoso per la guerra vittoriosa che concluse nel 1664, riuscendo finalmente ad arginare le mire espansionistiche dell’imperatore moghul Aurangzeb, in quel fatale 1664 che si sarebbe dimostrato estremamente significativo per l’India stessa. Un successo conseguito grazie alla notevole mobilità delle sue truppe a cavallo, capaci di spostarsi lungo creste montane quasi come fossero autostrade dei nostri tempi, cementando mano a mano i territori conquistati mediante la realizzazione di un particolare tipo di complessi architettonici: i leggendari forti di montagna del Maharashtra. Attribuiti alla sua figura in numero di circa 350, benché l’effettivo numero si aggiri assai probabilmente attorno a qualche decina, molti dei quali compongono parte irrinunciabile di un qualsiasi itinerario turistico della regione. Ed altri… Più che altro lo scenario vertiginoso di un possibile video su Internet, corrispondente a quel tipico genere mirato a stupire e coinvolgere lo spettatore d’occasione. Vedi l’impressionante oggetto della nostra trattazione…
È il punto centrale del celebre e difficile percorso di Alang, Madan e Kulang (spesso abbreviato in AMK) ovvero in un certo senso il suo culmine, quello che si realizza nella breve sequenza di Devendra Gogate, in cui assieme al suo seguito l’utente si avventura lungo il complicato tragitto che conduce fino alla cima piatta dell’omonima montagna. Una salita del tipo che soltanto poche persone al mondo potrebbero affrontare, se non fosse per il pratico punto di passaggio lasciato in eredità dai suoi insigni predecessori, costituito da una scala parzialmente erosa ricavata direttamente nel fianco della parete rocciosa. Una paradosso emozionante, quindi, quello che ricorderebbe le comuni metodologie di accesso a un’area da pic-nic, se non fosse per le molte centinaia di metri a strapiombo che fiancheggiano, a neanche un metro di distanza, il precario punto d’appoggio dei suoi piedi; verso il concludersi di un’esperienza che potremmo definire, senza dubbi di sorta, come ricca di quei contenuti adrenalinici che riescono a caratterizzare le più estreme situazioni d’altura. Verso il cielo ed oltre, tra le distanti cime che si perdono nella foschia, in una visita archeologica forse più conforme ad una tipica spedizione di alpinismo. Soprattutto perché molto poco resta, su ciascuna delle tre sommità citate, fatta eccezione per alcune cisterne d’acqua, una caverna, le semplici fondamenta di templi abbattuti dalla furia incontenibile del tempo. Laddove le destinazioni alternative, nel ricco catalogo dei dintorni, oltre ad essere più facili da raggiungere possiedono senz’altro un fascino più facile da essere descritto ed interpretato…
L’importanza storica dell’operato di Shivaji ed i suoi successori, considerati i primi a contrastare i molti secoli di predominio da parte del sistema di potere musulmano dei Mughal, può essere individuata nel suo rito d’incoronazione brahmanico, celebrato soltanto nel 1674 quando aveva già 44 anni, avendo portato a termine l’unificazione dei prìncipi e dei potentati che erano riusciti a rimanere indipendenti alleandosi ai diversi sultanati limitrofi, in una ragionevole approssimazione indiana dello scenario socio-politico in atto durante l’epopea della Reconquista spagnola (722-1492). Traslata in un’epoca in cui il predominio tecnologico e l’impiego delle nuove tattiche poteva riuscire, ancor prima che durante il Medioevo, a fare una significativa differenza. Così parlano a lungo, le saghe popolari create sul modello degli antichi classici come il Ramayana ed il Mahabharata, delle straordinarie gesta di colui che sarebbe diventato un simbolo d’identità indiana e del rinnovato concetto di Hindavi Swarajya, considrato il diritto di queste genti a determinare il proprio stesso sentiero. E il passaggio delle alte, irraggiungibili mura, che tanto si dice seppero arginare ogni tentativo di blocco da parte delle molte armate contrapposte alla sua discendenza, destinate a fallire nei propri obiettivi almeno fino all’arrivo della Compagnia delle Indie Orientali nel 1818, con le sue potenti macchine d’assedio di concezione europea. Stiamo parlando, in altri termini, di oltre un secolo e mezzo di stabilità in uno dei periodi storici e contesti territoriali più turbolenti della storia rinascimentale, soggetto a continui confronti di religioni e stili di vita, al punto da costare la sistematica distruzione di intere comunità cittadine e rurali. Ma quasi mai, nella sostanza, le fortificazioni militari concepite per difendere e preservare quelle preziose e rare località coltivabili all’interno di un così elevato impero, come nel caso di Rajgad o Murumdev, che per ben 26 anni continuò ad esserne la capitale. Muraglia oggi ricoperta di vegetazione, remota e tortuosa, il cui aspetto riesce ad evocare immagini di antichi conflitti e battaglie che nei fatti, mai raggiunsero questi ardui lidi; questo grazie all’apposito trattato di pace, stilato dallo stesso Shivaji con il generale mughal Jai Singh I nel 1665, per la cessione volontaria di altri 23 forti. Un caso senz’altro fortunato che avrebbe concesso a un tale luogo di sopravvivere intatto fino ai nostri giorni, diventando una sorta di trappola per turisti avventurosi, che a fronte di un’ardua trasferta di svariate ore possono raggiungerne l’ingresso, per sperimentare, prendere nota e (si spera) acquistare gli immancabili souvenir del caso.
Tutt’altra atmosfera rispetto all’inaccessibile avventura del percorso AMK, rivolto espressamente a un pubblico di escursionisti ancor più esperti, benché non manchi l’opportunità su Internet di prenotare una visita organizzata per il prezzo di circa 3400 rupie, corrispondenti a 38 euro ed inclusivi di un indimenticabile pranzo consumato sulla sommità piatta del massiccio montuoso. Per rivivere, almeno in linea di principio, quella stessa emozione e senso di trionfo che doveva aver colpito i primi colonizzatori di luoghi tanto straordinari e lontani dall’odierna percezione di uno spazio abitabile dotato di apprezzabili potenzialità d’impiego. In modo che continui ancora a dirsi, in una vasta selezione di possibili contesti: “di necessità, virtù…”
Oggi parzialmente ed in buon numero abbandonati, causa l’effettiva difficoltà nel rifornire simili recessi montani, i forti del Maharashtra parlano di un diverso tipo di patrimonio culturale ed architettonico. Fondamentalmente diverso da qualsiasi altro e proprio in funzione di ciò, prezioso. La difficoltà nel reperimento di fondi per la conservazione da parte dell’odierna entità amministrativa corrispondente, di contro, sembrerebbe aver posto le basi per una rischiosa iniziativa di privatizzazione, già riportata dall’Hindu Times a settembre del 2019, mirata a concedere i diritti di restauro e sfruttamento per 22 delle fortezze storiche della regione, a svariate aziende turistiche dalla comprovata esperienza in materia. Il che potrebbe andare di pari passo con l’auspicabile inserimento di simili tesori di montagna all’interno di indici internazionali come quello dell’UNESCO, benché tale opportunità continui ad apparire ad oggi purtroppo assai remota (diverso il caso delle vicine grotte di Ajanta, assai più antiche e fotogeniche grazie ai numerosi affreschi e bassorilievi databili fino al V secolo d.C.)
Ampiamente nota all’interno del repertorio folkloristico dell’India intera, la storia dei discendenti di Shivaji sarebbe quindi andata successivamente incontro ad epoche travagliate. Come dimenticare a tal proposito le ardue battaglie combattute, ed a più riprese perse, dai suoi figli Sambhaji and Rajaram, per non parlare della sofferta storia personale del VII peshwa (primo ministro) dell’impero Maratha, quel Baji Rao I (1700-1740) il cui controverso matrimonio con una donna di religione musulmana avrebbe portato l’intero ordine politico della nazione fino al bilico della scissione. In una vicenda recentemente fatta oggetto di uno spettacolare film in costume, proveniente dalla fiorente industria della capitale dello stesso Maharashtra, niente meno la celebre città di Mumbai (a.k.a. Bollywood). Un ulteriore importante risorsa, nella tutela e divulgazione di un ricco patrimonio che sembrerebbe aver attraversato ragionevolmente intatto, sulle distanti vette delle montagne, almeno un mezzo giro della grande ruota delle Ere.