Tra le scoscese valli della regione di Powys, al confine tra il Galles e l’Inghilterra, è possibile avvistare una razza di animali dall’aspetto particolarmente distintivo, frutto di una linea di sangue ininterrotta allevata da oltre un secolo per assolvere a uno scopo ben preciso. Bianca come una nuvola per quanto concerne il corpo, la coda e la sommità del capo rigorosamente privo di corna, questa notevole esponente del genere ovino si distingue dai suoi simili per le macchie ad alto contrasto che campeggiano in corrispondenza delle sue ginocchia, il muso, le orecchie e gli occhi. Altrettanto notevole la lunghezza del pelo dal collo in su, naturalmente minore dando maggior risalto al muso allungato dall’aspetto vagamente equino. Nel 2014, Sarah E. Beynon e colleghi pubblicavano uno studio connesso alla XXII Conferenza sul Genoma di Piante ed Animali, intitolato “La struttura e la storia delle razze di pecore gallesi” nel quale tra ben 14 alternative, veniva individuata una linea comune tra la Beulah testanera di Eppynt, Llanafan Fawr, Abergwesyn e la qui presente alternativa dotata di un pattern così distintivo, originaria soprattutto dell’omonimo villaggio “Kerry Hill” situato a poca distanza dalla cittadina di Newtown. Un tipo di quadrupede dal fisico resistente, ottima salute ed una resistenza invidiabile al clima spesso rigido di queste latitudini, particolarmente apprezzato per il carattere mansueto e la notevole rapidità di crescita, perfetta (ahimé) per farne una profittevole fonte di carne. Il che non può prescindere, comunque, da un certo valore riconosciuto alla sua lana calda e morbida, di cui un esemplare adulto arriva a produrre fino 2,75 Kg per singolo evento di tosatura, condotto in genere una media di due volte l’anno. Valore aggiunto, particolarmente apprezzato in determinati ambienti, è inoltre la frequenza con cui questi animali sembrano conseguire il primo premio nei concorsi di bellezza delle sagre e feste rurali, grazie all’innata eleganza che giungono a possedere quando adeguatamente lavate, pettinate ed abbellite secondo le prassi frutto di una ricca e continuativa esperienza nel settore.
Un’intrigante bellezza frutto di questa livrea particolare tutt’altro che insolita anche in natura, che possiamo ritrovare concettualmente riproposta in maniera simile nel panda, l’orca assassina e per certi versi anche la zebra, la cui effettiva ragione d’essere in ciascuno dei tre casi sembrerebbe derivare dall’esigenza di passare inosservati: con metodologia mimetica, per la creatura ursina mangiatrice di bambù, vista la soluzione di compromesso tra la colorazione scura degli animali boschivi e quella candida di coloro che vivono in pianura. Indubbiamente conforme ad esigenze di counter-shading per il cetaceo carnivoro, finalizzato a confondersi tra luci ed ombre in bilico sopra il confine dell’abisso. Ed otticamente utile, per l’equino d’Africa per massima eccellenza, a creare un’illusione che confonde i carnivori e potenzialmente allontana il morso soporifero della pericolosa mosca tze-tze (gen. Glossina). Tre metodi distinti ma dagli obiettivi simili, che d’altra parte difficilmente potremmo riuscire a ritrovare nello stile di vita della pecora contemporanea, ormai addomesticata da un periodo stimato attorno ai 10.000 anni. Ecco dunque comparire, nella sequenza logica degli eventi, quella cognizione spesso trascurata eppure così essenzialmente adattabile ad ogni varietà possibile di circostanza: che gli animali frutto di accurati incroci e selezioni artificiali raramente posseggono caratteristiche che siano il frutto indubitabile dell’evoluzione. Quanto piuttosto, il segno e l’influenza di quel gusto arbitrario che è l’estetica umana, che sarebbe poi il più benefico di tutti i tratti, in senso universale, per prolungare l’esistenza della propria genìa sul pianeta Terra. Dove una specie, tra tutte, domina il senso ultimo delle epoche presente e future…
L’effettiva origine della pecora di Kerry Hill viene quindi individuata, nello studio Beynon et al. da tratti somatici ed il patrimonio di caratteristiche importate direttamente dal continente, potenzialmente durante l’epoca di dominio da parte dei romani attorno all’ultimo periodo del Mondo Antico. La vera e più riuscita diffusione delle ancestrali razze da cui deriva l’attuale biodiversità degli ovini presenti nell’intera regione avrebbe tuttavia trovato le sue radici soltanto attorno al XIII secolo, con l’allevamento sistematico dei nuovi incroci chiamati collettivamente “pecore gallesi di montagna” nei monasteri ed abbazie cistercensi come quelli di Strata Florida, Basingwerk, Margam e Tintern. Entro un periodo di circa 3 secoli, quindi, il valore economico di questa particolare industria avrebbe assunto un ruolo di primo piano nell’economia gallese, attraverso il preciso sistema di attribuzione dei pascoli da parte delle corti regionali, metodologia particolarmente utile per l’implementazione annuale della transumanza. Così spostando le greggi, tra l’inizio e il termine della stagione estiva, le pecore di queste terre avrebbero assunto uno stretto e indissolubile legame con il carattere geografico della nazione, mentre le hafod (spartane residenze montane dei pastori) finivano per trasformarsi gradualmente nelle loro abitazioni principali. Nel 1840 , quindi, troviamo una descrizione dell’aspetto di questi animali nel resoconto di un autore di nome William Youatt, che aveva compiuto un viaggio in Glamorganshire: “Alcune bianche, altre a metà tra un bianco sporco ed il nero. La testa piccola, il collo lungo, eretto e delicato; la parte davanti del corpo leggera, con spalle strette; i fianchi snelli di un animale dotato di notevole agilità sui percorsi scoscesi.” Ciò detto, un’effettivo ovino rispondente alla descrizione della pecora di Kerry Hill non sarebbe comparso negli albi del settore fino al XIX secolo, con il nome in lingua gallese di Dafad Bryniau Ceri (a.k.a. Kerry).
In epoca moderna, dopo un periodo di riduzione di numero fino all’inserimento nell’elenco delle razze a rischio di sparizione, l’animale avrebbe trovato ampia diffusione nell’intero Regno Unito e di lì a poco, l’Olanda, la Danimarca, la Germania e persino gli Stati Uniti, dove esistono ampi allevamenti dal notevole successo commerciale. Ben poche sono, d’altra parte, le alternative comparabili a queste creature tanto simili, eppur diverse, da alcuni dei più notevoli esponenti in bianco e nero del mondo animale contemporaneo.
Nel suo paese d’origine, nel frattempo, la pecora di Kerry Hill continua a rivestire un ruolo di primo piano nel settore a scopo alimentare di un’industria da 11 milioni di creature, corrispondente al 20% di tutta la produzione agricola gallese. Attorno a cui ruotano elementi assolutamente degni di nota, quali il significativo contributo pecuniario riconosciuto ai più addestrati esponenti della razza canina del pastore gallese (anche detta Ci Defaid Cymreig) in grado di raggiungere un valore d’asta sul mercato internazionale superiore ai 10-13.000 dollari. Tutto questo, in considerazione dell’inerente difficoltà nella gestione di uno di questi greggi, soprattutto nel terreno inerentemente complesso degli ambienti montani a loro maggiormente cari. Verso il domani di un’industria che oggi, alla stima economica di un mondo post-Brexit, viene considerata in bilico sopra un crepaccio da cui potrebbe non riuscire mai più a salvarsi, dato l’inevitabile aumento dei costi d’esportazione e conseguente riduzione della base. Il che potrebbe, conseguentemente, compromettere la continuativa sopravvivenza e/o prosperità di una razza che già fu, per lungo tempo, piuttosto rara.
Non deve perciò per forza essere in conflitto, il naturale rapporto che persiste tra caratteristiche considerate utili ed aspetti meramente esteriori di una razza frutto dell’allevamento artificiale. Rappresentazione inerente, e qualche volta collaborativa, di quelle tendenze che sono il prodotto vagamente ineffabile del sistema di selezione delle specie, unite alla necessità da parte dell’uomo di accrescere per quanto possibile i suoi presupposti d’immediato e continuativo profitto.
Metodologia al margine della quale, la propagazione su Internet di una serie di fotografie e video non può che rappresentare un pregio ulteriore, valido ad incrementare la percezione di particolari linee di discendenza! Ed in conseguenza di ciò, ottimi presupposti di continuazione al confine del belante testimone… Perché se l’altalenante destino del panda gigante ci ha insegnato qualcosa, è che tutto diventa possibile, persino l’impossibile, una volta che viene riconosciuto il merito di mantenere in vita qualcosa (o qualcuno). Specialmente direi nell’ambito, davvero familiare, delle nostre amiche pecore, soffici creature che girano segretamente le viti agrarie del mondo.