Il 7 febbraio 2021 nel giorno più importante dello sport statunitense, mentre una rara versione collaborativa dell’inno nazionale finiva di essere cantata da Eric Church e Jazmine Sullivan, un tuono roboante si è abbattuto sulla cittadina floridiana e l’intero Golfo del Messico. Ma si è trattato, alquanto stranamente, di un evento tutt’altro che imprevisto, accompagnato da un’immagine accuratamente composta per sollevare un senso di patriottismo ed orgoglio nazionale anche nei cuori maggiormente induriti dall’epoca spoetizzante che stiamo attraversando. Tre sagome dall’alto contrasto, tre velivoli riconoscibili come altrettanti cavalieri dell’Apocalisse, un signum celeste che è anche un concentrato di tecnologia e munificenza della portata difficile da valutare immediatamente. Si, nient’altro che l’annuale flyby o flypast che dir si voglia, organizzato dalle Forze Aeree in occasione della finale di campionato della NFL. E si, davvero organizzato in una simile maniera; niente aerei d’epoca, niente caccia supersonici, soltanto tre incredibili giganti. Per un totale numerologico stranamente (casualmente?) significativo: B-1+B-2+B-52=55 (LV) ovvero il numero dell’edizione di questo strano, quasi surreale Super Bowl. Con lo stadio pieno soltanto a metà per via dell’attuale situazione pandemica ed anche gli aeromobili localizzati in quel cielo profetico, ridotti a una frazione del consueto numero impiegato in precedenza. Il che ha portato, di contro, a incrementarne il “peso”; e non sto parlando solo delle circa 200 tonnellate possedute da ciascuno di questi giganti dei cieli, bensì anche del messaggio rappresentato da una simile presenza sotto i riflettori del mondo, in questo particolare momento geopolitico e politicamente disagiato. Occorre considerare a tal proposito la maniera in cui, nell’AD 2021, siano rimaste solamente tre nazioni in grado di schierare, e condurre fino all’obiettivo in qualsiasi recesso del globo terrestre, la razza in estinzione del grande bombardiere strategico, un’arma nata in bilico tra le due guerre mondiali e che ha trovato una continuazione tattica nella teoria bellica del “triangolo nucleare” (missili intercontinentali, sottomarini, aerei) utile ad assicurare la mutua distruzione reciproca in caso di terza ripetizione, piuttosto che l’annientamento di una mera e deludente parte della popolazione umana attualmente preoccupata per altri problemi. Ma né la Cina, e di sicuro non la Federazione Russa, possiedono la storia mediatica e il servizio di un’ufficio stampa, collegato ad ogni livello della macchina comunicativa nazionale, capace di dare una simile visibilità ad un gesto tanto costoso ed esistenzialmente vacuo. Ma possiamo giungere davvero a definirlo, come osservatori esterni, del tutto superfluo? Dipende. Dall’interpretazione che vogliamo dare, in merito ai suoi tre ferrosi, fiammeggianti, alati protagonisti.
Una visione iconica, quasi un’impossibile allegoria. Giacché mai in precedenza, fuori da particolari esercizi a breve termine, tre aerei tanto differenti avevano trovato una ragione per volare nella stessa formazione celeste. A partire dal ponderoso B-52 Stratofortress, per usare un’ordine cronologico d’entrata in servizio nel remoto 1955, per certi versi il più “noioso” della triade, per quanto possa definirsi tale l’unico aereo al mondo dotato di un carrello sterzante anche nelle ruote posteriori, costretto ad atterrare come un granchio in situazioni ventose data la poca autorità direzionale del suo timone. Ma spinto innanzi dagli otto poderosi turbogetti Pratt & Whitney TF33-P-3/103, per una spinta complessiva di 608 Kn, tale da permettergli di condurre a destinazione l’intero arsenale di bombe, missili ed ordigni nucleari a disposizione del più temuto paese d’Occidente, senza dimenticare la salvaguardia dei suoi cinque membri dell’equipaggio grazie ad un sistema d’eiezione piuttosto originale: due verso l’alto, tre verso il basso. Il che non rende particolarmente difficile immaginare quale siano state le postazioni preferibili, durante il passaggio a quota relativamente bassa sopra il Raymond James Stadium!
Segue nell’impressionante showcase d’imperitura e potenziale ira bellica, la forma decisamente più affusolata del Rockwell B-1 Lancer, quella che potremmo definire per certi versi la “bestia nera” del comparto di aerei d’attacco schierati dalle forze armati statunitensi. Un aereo portato a termine, dopo numerosi ritardi e nuove considerazioni sulla sua presunta utilità, soltanto nel 1986, quando ormai l’ipotesi che potesse sfuggire grazie alla sua velocità massima in grado di abbattere la barriera del suono agli intercettori sovietici era ormai passata in secondo piano. Ciò per la crescente, indubbiamente problematica diffusione di una nuova tipologia d’arma: il missile a ricerca terra-aria (Surface-to-Air-Missile o più in breve, SAM). Cionondimeno il significativo investimento sostenuto, unito al prestigio diplomatico di essere l’unico paese in grado di schierare un moderno bombardiere supersonico, avrebbe portato successivamente a un’ordine dell’amministrazione Reagan nel 1981 ad una rivalutazione complessiva del progetto, verso l’elaborazione di un modello migliorato (l’attuale B-1B) destinato a raggiungere i cento esemplari di produzione. Che avrebbero visto il tetto della loro velocità massima sensibilmente ridotto, ma conseguentemente aumentata la capacità di operare a quote relativamente basse, nella consapevolezza di come ciò avrebbe contribuito a renderli difficili da rilevare in anticipo e colpire prima di aver colpito il bersaglio prefissato. Fu tuttavia stimato, attorno al 1985, come circa il 75% dei B-1, ed una percentuale comparativamente ancor più bassa delle Stratofortress rimaste ancora in servizio, sarebbero potuti sopravvivere a un eventuale attacco in pieno territorio nemico. Venne perciò deciso che una soluzione migliore fosse necessaria e quella soluzione giunse finalmente a coronamento nell’anno 1997, con l’entrata in servizio del magnifico Northrop Grumman B-2 Spirit.
Il velivolo con configurazione ad ala volante, concepito come evoluzione aerodinamica degli svariati prototipi dell’epoca coincidente e successiva alla seconda guerra mondiale, vedi il lavoro di Jack Northrop negli Stati Uniti, Walter Horten in Germania e Geoffrey T. R. Hill nel Regno Unito. Una forma stranamente funzionale anche visto il profilo basato sulla natura, perfettamente coincidente a quello di un falco pellegrino in volo. E di cui abbiamo parlato in maniera più approfondita già su queste pagine (vedi articolo) in osservanza alla sua straordinaria rilevanza ingegneristica e quasi futuribile nel suo complesso. Largamente definito come l’aereo più costoso del mondo con un prezzo unitario di poco superiore al miliardo di dollari, ulteriormente connotato da tariffe operative stimate attorno al 200/300% degli altri due membri della flotta di bombardamento statunitense. Poesia in movimento ed al tempo stesso un puro terrore volante, data l’abilità ipotetica di filtrare attraverso la copertura radar di una nazione avversaria, scaricando senza particolari problemi il suo intero carico di 80 bombe Mk 82 da 500 lb, 16 Mk 84 da 2.000 oppure 36 ordigni a grappolo, capaci di radere al suolo un’intera città da qualche centinaia di migliaia di abitanti (e ciò senza entrare nel merito, s’intende, di vere armi di distruzione di massa basate sulla fusione nucleare). Un monito serio ed impossibile da soprassedere, nel contesto di una simile dimostrazione di splendore militare aeronautico ed al tempo stesso, inamovibile fermezza in materia di difesa preventiva ed utili (si spera) deterrenti.
“Eccoci, noi siamo… Questo!” Sembrò quindi risuonare il tono dei motori all’unisono, alimentati da una spesa complessiva in materia di carburante e manutenzione paragonabile all’intero PIL annuale di un piccolo paese appartenente al cosiddetto Sud del mondo. Considerate a tal proposito, come una stima del Washington Post relativa al passaggio di una squadriglia di F-18 durante il Super Bowl del 2011 seppe configurarsi sui 450.000 dollari complessivi. Un totale che mi sentieri di vedere pari o persino superiore nel caso dei tre poderosi titani fatti volare in questo roboante inizio di un nuovo anno d’ipotetiche battaglie. Spesa, intendiamoci, tutt’altro che superflua e non mi riferisco solo all’inerente messaggio su scala internazionale. Simili opportunità diventano, infatti, l’occasione logistica per i piloti e i loro equipaggi di coordinare la propria presenza sopra un obiettivo specifico al secondo esatto, eventualità d’addestramento particolarmente complessa nei casi in cui, come quest’anno, l’episodio coinvolga aerei tanto diversi per caratteristiche ed effettivi ruoli nel disparato cielo terrestre.
Verso l’accrescimento ed ulteriore miglioramento di un braccio armato che rimane, al nostro attuale punto di svolta storico, sostanzialmente in bilico verso un crescente senso d’irrilevanza. Per il superamento del concetto ormai superfluo della triade nucleare, ma anche a causa della semplice età dei tre apparecchi in questione, ciascuno dotato di un’avionica risalente ad epoche ormai trascorse, mentre la stessa amministrazione americana parla da tempo di decommissionare l’intera flotta dei 59 B-1 Lancer rimasti ancora in servizio (“Non sembrano anche a voi piuttosto rovinati? La vernice si è un po’ sbiadita. Sarà ora di un cambio…” si chiedono a vicenda i capi di stato maggiore) non appena sarà pronto il nuovo Northrop Grumman B-21 Raider si spera entro la metà della decade a venire. Un’evoluzione, se vogliamo, ancor più efficace e furtiva del B-2 Spirit, dotato inoltre di un prezzo unitario sensibilmente inferiore. Che non dispiace mai a nessuno. Perché appare ormai a tutti chiaro come la guerra del domani sarà combattuta, in maniera sempre più importante, su di un piano per lo più economico piuttosto che armato. E ciò vale anche per l’ultima ratio dell’impiego di bombardieri strategici sul campo, sperando che nessuno giunga mai a concretizzarne l’effettivo schieramento in una terza grande battaglia universale. Poiché altrimenti, come disse qualcuno di particolarmente informato in materia, potremmo già iniziare a tirar fuori pietre e bastoni per la quarta. E qualche foglio A4 da piegare attentamente con forme aeronautiche, prima dell’ultimo Hunger Games. Non si sa mai…