Perennemente intricati in una danza selvaggia, i due dragoni di Oriente ed Occidente s’inseguono a vicenda, nel tentativo di afferrare la sfuggente gemma che conduce all’illuminazione. Uno sopra e l’altro sotto, quindi uno sotto, e l’altro sopra; Ying & Yang, princìpi contrapposti dello stesso principio generativo e trascendente. Chi capisce, lo sa. Tutti gli altri riescono a comprenderlo istintivamente, trascinati nell’arcano maelstrom degli eventi. Ma se l’uomo alla guida, invece di osservare, scegliesse di essere una parte integrante del processo attivo, egli non avrebbe altra scelta che percorrere quell’arcano viadotto secondo i metodi venuti dalla conoscenza degli antenati. Fino al punto di trovarsi, a un certo punto, spiazzato… Poiché non è sempre dritto ciò che sembra tale. E qualche volta, l’unica scelta possibile è riuscire ad adeguarsi a una contrapposta visione delle circostanze!
Questa è una storia fantastica che inizia nel 2002, quando nel corso della Terza Conferenza Cina-Hong Kong per la coordinazione dei grandi progetti venne sollevata una fondamentale questione: sarebbe stato possibile per la città insulare ritornata cinque anni prima nel dominio del Regno di Mezzo (Zhōngguó – 中國) continuare a beneficiare unicamente dei limitati punti di collegamento costruiti fino a quel fatidico momento? Oppure sarebbe occorso, in tutta fretta, intraprendere la costruzione del più lungo ponte della Terra, destinato a ricevere il nome Hong Kong–Zhuhai–Macao (perché unisce, per l’appunto, i tre poli della grande megalopoli situata presso il Delta del Fiume delle Perle) 26,9 Km di campate stellate, alti pilastri decorativi ed isole artificiali di collegamento… Una realtà destinata a realizzarsi, e che avremmo commentato in diretta anche su queste pagine, nell’ormai lietamente distante 2018, quando ancora il mondo poteva costruire qualcosa di nuovo senza andare incontro al terrore incombente della pandemia. Non prima, tuttavia, che infiniti concorsi, proposte ed appalti collaterali paventassero sul corso della storia strane strade alternative, tentativi ambiziosi ed idee prive di precedenti, capaci di far sollevare più di un sopracciglio presso gli enti preposti a trovare una soluzione capace di mettere tutti d’accordo.
Progetti come quello, totalmente privo di predecessori o fisiche realizzazioni successive, dello studio olandese NL Architects, presentato ben 8 anni prima del traguardo con un’intrigante slide-show, le cui prime immagini parlano di “opportunità” ed “un’umile proposta” non ancora elaborata fino ai requisiti più profondi di una fisica realizzazione in-loco. E si può ben comprendere, in effetti, il bisogno di una simile dichiarazione, quando si considera l’avveniristica portata dei contenuti a seguire. Il Ponte a Collana del Fiume delle Perle, o come più prosaicamente chiamato su Internet all’epoca il “ponte flipper” (non tanto con riferimento al gioco da bar, quanto in osservanza del significato del verbo “to flip“) vede la suddivisione dei due sensi di marcia contrapposti trasformati in altrettanti viadotti, che annodandosi a vicenda si sollevando ed infilano l’uno sotto l’altro. Permettendo a chi guidava sulla destra di spostarsi a sinistra, e viceversa. La ragione di un simile approccio futuribile è quindi facilmente individuabile nell’esigenza di fondo, per cui l’intera città di Hong Kong e l’ex-colonia portoghese di Macao, rimaste tanto a lungo soggette a regole della strada differenti, hanno sempre guidato sul lato britannico dei propri viali di collegamento. Diversamente da quanto fatto sulla terraferma del più grande paese d’Asia dopo la Russia, dove s’impiega la stessa soluzione imposta da Napoleone al resto degli stati europei. Un bel problema, per chi veniva da (o andava verso) gli urbani universi antistanti di Shenzen & Zuhai…
La questione del lato su cui si guida fu sempre un punto di cesura, anticamente, tra popolazioni “barbare” ed il mondo per così dire civilizzato, che in un particolare contesto storico, veniva istantaneamente identificato con il territorio imperiale dei Romani. I quali erano soliti spostarsi a cavallo sulle loro famose vie consolari tenendo le redini con la mano sinistra, mentre la destra rimaneva libera per salutare, porgere oggetti o in caso di necessità, impugnare rapidamente la spada immancabile al fianco del viaggiatore abitudinario. Il che li portava, naturalmente, a tenere la sinistra. Un sistema tanto efficace da essere impiegato anche per l’intero Medioevo e per quanto fosse possibile imporre uno standard in tal senso prima dell’epoca moderna, obbligatorio per legge in molti paesi fino all’epoca della Rivoluzione Francese. Fu successivamente e al termine di quel conflitto che la stessa figura di Napoleone, che era mancino, avrebbe imposto l’inversione dei sensi di marcia per una possibile scelta di tipo personale. Oppure col solo scopo di fare il contrario rispetto a quanto previsto nella terra dei suoi nemici, gli odiati Inglesi. Altre interpretazioni, forse più probabili, affermano piuttosto che un simile cambiamento fosse in effetti stato reso meramente necessario, dalla progressiva diffusione dei carri con cavalli multipli ed affiancati per cui il cocchiere, tenendo il frustino con la mano destra, aveva la necessità di mantenere il corrispondente lato nel corso del suo tragitto per avere una migliore visione della strada. Una questione tanto diffusa che oggi la maggior parte dei luoghi che hanno mantenuto la guida a sinistra sono per lo più isole, o interi continenti, rendendo pressoché nullo il problema risolto nella proposta di ponte della NL Architects per la zona di Hong Kong–Zhuhai–Macao. Ciò detto, c’è almeno un altro luogo al mondo in cui un simile metodo avrebbe potuto trovare l’applicazione: la Thailandia, che guida sul lato opposto rispetto ai suoi tre più immediati vicini: Cambogia, Laos e Myanmar.
Ciò detto, lo strano e surreale sogno non avrebbe mai trovato i natali tangibili, venendo gradualmente sovrascritto da soluzioni di tipo decisamente più convenzionali. Le ragioni immaginabili sono molteplici, non ultima quella della presentazione non propriamente risolutiva dell’intera faccenda. Gli architetti olandesi in fase di concept, scelsero infatti in modo chiaro e dichiarato una serie di rendering che mostravano la versione “ideale” del ponte, posizionata a pochissimi metri di altezza dalle acque della baia, senza preoccuparsi di mostrare il modo in cui ciò sarebbe stato possibile senza andare incontro alla furia delle onde e delle maree. Nella breve keynote, quindi, essi parlarono di “presentazione estetica” ed “esposizione panoramica” senza particolari menzioni delle complesse esigenze strutturali ed il costo significativo di una simile meraviglia dell’ingegneria, meramente teorica ed evanescente. Un’approccio che molto evidentemente non dev’essere piaciuto in modo particolare al celebre pragmatismo cinese, portando all’accantonamento del Ponte Collana in favore del tipo di proposte che avrebbero, successivamente, portato all’attuale aspetto del ponte Hong Kong–Zhuhai–Macao. Il che conduce all’inevitabile di quale sia stato, esattamente, il sistema scelto per risolvere la situazione. E come fanno gli autisti che provengono da un lato, a ritrovarsi magicamente su quello corretto delle strade che li aspettano al di là?
La risposta è purtroppo deludente e mostra il sentiero poco ambizioso di team d’ingegneri e architetti che hanno convenuto, con piglio comprensibilmente diretto, di non risolvere affatto il problema. Sul vero ponte di Hong Kong–Zhuhai–Macao si guida infatti, semplicemente, a destra. Punto. Le ragioni della convenienza pratica, potremmo affermare, hanno ancora una volta prevalso ed ingombranti aree di smistamento, ai due punti estremi dell’interminabile viadotto (Zuhai/la Cina si trovano in mezzo) permettono agli automobilisti di riorientarsi secondo le modalità previste. Il che resta comunque un’esigenza per lo più teorica, data la rarità degli utilizzatori non professionali provvisti del permesso speciale, o la rara patente di guida che permette di operare in tal senso, piuttosto che dover lasciare semplicemente l’automobile parcheggiata, per prendere i trasporti pubblici fino alla propria destinazione finale purtroppo situata all’altro lato del grande ponte. Che forse non a caso, secondo i rari reportage di cui ci è dato disporre, resta ad oggi soggetto a un uso largamente inferiore a quello originariamente previsto.
Vista la soluzione le cui implicazioni, in ultima analisi, sono piuttosto facili da capire: perché investire per complicate variazioni di viabilità contrapposte quando comunque Hong Kong e Macao, prima o poi, dovranno adattarsi al volere supremo del dio Drago? Ogni tentativo di mantenere le vecchie metodologie infrastrutturali diviene quindi soltanto superfluo e temporaneo, nonché conveniente al budget, quando la frenetica marcia di un’omologazione futura incombe… Ce lo aveva insegnato, del resto, lo stesso Napoleone. Ma non c’è volere più forte ed inevitabile, di quello di una fortissima Maggioranza.