Al culmine della solenne cerimonia, la guida mascherata del villaggio smise di avere alcunché di umano: la forma sfocata del suo profilo, ornato dal copricapo erboso e l’abito dalla livrea multicolore continuò a oscillare, ed oscillare fino diventare quasi trasparente. In quel fatale momento il segnale venne recepito dai presenti, che persero all’unisono ogni forma di controllo residuo sulla mente e l’arsenale delle proprie membra. La luna diventò enorme tra la forma delle rocce frastagliate che svettavano nell’aria notturna. Ora tutti danzavano, cercando qualche forma di contatto visivo con la maschera divina dello sciamano che ruotava vorticosamente, simile talvolta a un cervo, certe altre ad un’ape mostruosa della Preistoria. Le forme fungine strette tra le sue mani, raccolte nel corso dell’ultima settimana dai suoi molti aiutanti, sembrarono moltiplicarsi, coprendogli le braccia, le spalle, ogni punto rimanente del suo strano corpo. La musica sincopata dei tamburi divenne rossa, poi verde. Il colore degli alberi era dolce. Il suono della notte si fece acre ed intenso. Con un grido breve ma intenso, egli alzò la mano, indicando che era giunto il momento. Così che gli artisti, sollevassero scalpelli e i recipienti di ceramica ricolmi dei pigmenti sacri. Era giunta l’attesa ora. Era tempo di render manifesta l’immagine di spiriti e Dei…
Tassili n’Ajjer è un altopiano situato al confine tra Algeria, Niger, Libia e Mali, che si solleva con piglio maestoso al di sopra delle sabbie senza tempo del Sahara. Letteralmente sovraffollato di formazioni rocciose d’arenaria, erose dal tempo e dagli elementi fino a formare un paesaggio quasi alieno, con oltre 300 archi e strani monoliti che per un periodo non del tutto chiaro, furono considerati sacri dagli antichi ed ignoti popoli di queste terre. Così che era già largamente noto ai locali, fin dall’inizio del Ventesimo secolo, che in questo luogo fossero presenti una grande quantità di pitture ed incisioni parietali risalenti ad epoche straordinariamente remote, quando nel 1933 e 1940, in due occasioni successive, il giovane tenente della Legione Straniera Charles Brenans realizzò una serie di schizzi con alcuni dei soggetti maggiormente interessanti. Sottoposti dapprima al direttore del museo Bardo d’Algeri, tali disegni fecero rapidamente il giro del mondo, giungendo fino alla scrivania del celebre archeologo francese Henri Lhote. Nelle decadi successive, dapprima accompagnato dal militare e poi soltanto con la guida di alcuni tuareg reclutati localmente, Lhote si sarebbe quindi occupato di catalogare, suddividere e tentare una datazione di molte delle oltre 15.000 opere più antiche del concetto stesso di un popolo e una nazione. Fu il periodo, tra gli anni ’50 e ’70, in cui l’altopiano di Tassili diventò celebre in taluni ambienti accademici e non solo, come uno dei luoghi più artisticamente rilevanti della Terra. Le tecniche impiegate dal francese, non sempre eticamente irreprensibili (si ritiene, ad esempio, che alcuni dei disegni siano stati danneggiati per ricalcarli) gli permisero tuttavia di giungere ad una cronologia approssimativa, che viene tutt’ora impiegata nel tentativo di dare un senso a tutto questo. La cui origine tanto antica, databile attorno al 12.000 a.C, permetterebbe di scorgere attraverso i soggetti artistici dei nostri antenati alcuni dei più significativi mutamenti geologici, climatici ed evolutivi attraversasti dall’Africa settentrionale fino all’epoca corrente. Ma è il secondo dei periodi da lui citati e parzialmente sovrapposti, quello delle cosiddette teste tonde (8.000-6.000 a. C.) ad aver sollevato il maggior numero d’interrogativi, vista la stranezza variegata dei suoi soggetti: forme vagamente umanoidi con crani bulbosi, corpi evanescenti e simili a fantasmi. Strane divinità gigantesche, con corna o bicipiti sporgenti, venerate da un popolo in apparente stato di trance mistica danzante. Immagini di sacerdoti o divinità fluttuanti, come il famoso uomo dei funghi dalla faccia di ape o cervo, il cui ruolo rituale possiamo soltanto tentare d’immaginare in maniera estremamente vaga. Mentre possiamo affermare con comparabile sicurezza, secondo l’opinione di molti studiosi, che in quest’epoca l’uomo avesse scoperto e pienamente dimostrato l’effetto dei funghi allucinogeni, andando incontro a profonde modifiche negli stessi concetti pre-esistenti di ritualità e religione…
Nota: l’illustrazione di apertura mostra lo sciamano o Dio dei funghi nella celebre illustrazione dell’etnobotanica statunitense Kat Harrison Mckenna, una reinterpetazione parziale della figura originale, purtroppo erosa e rovinata dal tempo.
Il principale fautore di una simile ambiziosa teoria è l’italiano Giorgio Samorini, che nel 1989 scriveva a proposito della strana figura titolare, diventata negli anni popolare come un logotipo e riprodotta sul merchandising di più diversa natura. Oltre all’ampia schiera dei suoi simili, raffigurati nell’intera sezione Tin-Tazarift del sito archeologico di Tassili, ciascuno in qualche modo ibrido, o interconnesso, alle forme riconoscibili di una particolare specie fungina. Sarebbe difficile in effetti negare una certa somiglianza, delle sagome che ricoprono la veste dello sciamano come quelle tenute in mano dai danzatori, o talvolta indossate come una sorta di surreali copricapi, con il reale aspetto dello Psilocybe cubensis, basidiomicete dall’alto cappello famoso per gli effetti psicotropici del suo principio attivo, in grado di creare allucinazioni, ilarità, amplificazione dei sensi e sinestesie. In alcune delle pitture ed incisioni parietali quindi, gli utilizzatori dei funghi sembrano intenti a portarli alla bocca, mentre una sorta di doppia linea sinuoseggiante sembra scaturire da essi andando a finire dritta verso la loro testa; per associazione forse per il metodo mediante cui venivano assunti, o addirittura una percezione istintiva che proprio quella dovesse essere la sede e l’origine del pensiero umano. Altrettanto interessante l’associazione in alcuni pittogrammi della figura del fungo con quella di pesci di varia dimensione e natura, certamente difficili da reperire in un luogo situato nel più estremo entroterra del Sahara.
Altri protagonisti e soggetti ritratti sulle rocce dell’altopiano, nel frattempo, risultano di più facile interpretazione, benché non minore rilevanza. Nel periodo antecedente a quello delle teste tonde, chiamato dei cacciatori-raccoglitori (10.000-6.000 a.C.) compaiono i tipici rappresentanti della megafauna africana, tra cui giraffe, rinoceronti, elefanti e ippopotami, ancora presenti nell’area prima che il clima raggiungesse la secchezza dell’epoca odierna. Assieme ad essi, creature da lungo tempo estinte come l’uro (antenato del bue) ed il bubalus (bufalo primordiale) dinnanzi ai quali compaiono figure umane, forse per dare il senso della scala, armate di arco, frecce e strani bastoni ad angolo simili al boomerang australiano. Tra il 7.200 e il 3.000 a.C. la situazione cambia di nuovo, con gli strani Dei alieni che lasciano il passo ad immagini pastorali di popoli che avevano imparato a sfruttare la natura: gli uomini e donne, questa volta più grandi e centrali nelle figure, vengono accompagnati da animali domestici e composizioni geometriche che potrebbero rappresentare attività agricole di vario tipo. In quest’era, iniziano ad abbondare rappresentazioni dalla tematica sensuale ed erotica, lasciando intendere un maggiore benessere sociale. La situazione si complica nuovamente tra il 3.200 ed il 1.000, quando il soggetto principale diviene invece la guerra, con numerosi guerrieri dall’armamento e la tenuta libica, molti dei quali rappresentati a cavallo o a bordo di varie interpretazioni del carro da guerra. Uno strumento, probabilmente, del tutto inutilizzabile sul territorio accidentato dell’Africa ai margini del Sahara, e perciò utilizzato soprattutto come simbolo onorifico di potere o dominio. Conclude a questo punto la sequenza cronologica di Lhote, l’epoca cosiddetta dei cammelli (2.000-1000) in cui gli equini vengono sostituiti gradualmente da raffigurazioni del prototipico animale del deserto, esemplificativo del progressivo inaridimento climatico di queste terre.
Lungamente citato come una prova possibile del contatto tra umani e civiltà aliene, il periodo delle teste tonde è stato in modo particolare soggetto allo scrutinio reiterato sia della scienza convenzionale che di svariate controculture in perenne disaccordo. Soprattutto il famoso archeologo svizzero Erich von Däniken, autore di saggi come Chariots of the Gods? (Carri degli Dei?) e Erinnerungen an die Zukunft (Gli Extraterrestri torneranno) ha più volte tentato di associare lo strano aspetto dei soggetti ritratti a Tassili con quello d’inusitati astronauti o creature provenienti da pianeti lontani. Un’interpretazione capace, assi prevedibilmente, di catturare con straordinaria efficacia l’attenzione del grande pubblico, sebbene in maniera per lo più speculativa e necessariamente priva di un valido fondamento.
Iscritto agli elenchi dell’UNESCO come patrimonio dell’umanità fin dal remoto 1982, il sito di Tassili n’Ajjer è oggi straordinariamente celebre nel mondo culturale e scientifico, benché relativamente sconosciuto nella cultura di massa. Per fortuna, la sua natura remota ed irraggiungibile ha impedito lo sfruttamento turistico eccessivo, benché si ritiene non pochi manufatti siano stati sottratti nelle decadi successive agli anni ’70, quando le prime ondate di curiosi poterono esplorarlo in maniera pressoché indisturbata e senza nessun tipo di supervisione attenta. Un’attività particolarmente imperdonabile quando si considera il valore molto superiore, ed insostituibile, di tali conoscenze ed averi all’interno del loro specifico contesto. Fatto in egual misura di roccia, cielo e funghi dal gusto indefinibile. Ed ancor più strani effetti.