L’elegante castello che cementò il prestigio transnazionale del re d’Ungheria

Ci sono luoghi che, come le persone, nascono con un destino ben preciso. Ed uno di essi può essere individuato nella collina dell’antico győr o geuru (cerchio) degli alberi di dió (noci) menzionato per la prima volta nel 1200, all’interno del poema epico sulla storia antica dell’Europa centrale, Gesta Hungarorum. Secoli prima che il nome dell’insediamento fosse abbreviato con il singolo toponimo Diósgyőr e che lo st esso re Béla IV (r. 1235-1270) sopravvissuto alle cruente invasioni dei Mongoli e la sconfitta di Muhi soltanto grazie alla sua fuga nella fortezza Dalmata di Traù, ordinasse di costruire una piazza d’arme sopra “Ogni colle o montagna d’Ungheria”. E fu così che successivamente al 1241, il forte di tronchi che serviva a sorvegliare la città venne trasformato nella prima versione di una fortezza che avrebbe attraversato i secoli senza subirne in alcun modo l’effetto, ma piuttosto accrescendo la sua fama fino a diventare un vero e proprio simbolo della sua regione. L’attuale castello di Diósgyőr, più volte ampliato e ricostruito, avrebbe tuttavia assunto l’attuale configurazione in stile gotico durante il regno del monarca successivo, noto alla storia coi nomi di Luigi I, Lajos, Ludwik o Ľudovít o più semplicemente “Il Grande”. Uomo nato nel 1326 possedendo, anch’egli, un fato particolarmente significativo: quello di ereditare dal padre Carlo Roberto d’Angiò la corona d’Ungheria e dalla madre Elisabetta Lokietkówna, quella della Polonia. Per un’eventualità tutt’altro che rara in epoca medievale, quando le unioni personali potevano determinare l’accorpamento, più o meno temporaneo, di regni nettamente distinti ed il conseguente fiorire d’interscambi commerciali e culturali tra nazioni storicamente distinte. Fatto sta che il sovrano guerriero, coinvolto nei primi anni di regno a partire dal 1370 in un’acceso conflitto territoriale in Dalmazia, Bosnia e Bulgaria, avrebbe ben presto determinato la necessità d’individuare un centro del suo potere politico e militare che si trovasse tra i due regni dei suoi genitori, scegliendo a tal fine la regione strategicamente rilevante già individuata all’epoca di re Bela. Il castello di Diósgyőr quindi, attraverso un lungo periodo che si sarebbe esteso fino all’erede dinastica del sovrano, sarebbe sorto secondo i crismi architettonici e canoni francese ed italiano, con quattro alte e formidabili torri, mura sopraelevate, un fossato ed il vasto cortile interno. Le sale del piano terra sarebbero state usate come magazzini o caserme, mentre quelle sopraelevate avrebbero assunto il ruolo di residenze dei potenti e membri della sua corte, mentre in corrispondenza del lato nord avrebbe trovato posto la più grande sala dei cavalieri nell’intero ambito mitteleuropeo medievale, misurante 25 metri per 12 di larghezza. Il castello, favorito dal sovrano anche per la sua vicinanza alle riserve di caccia della grande foresta di Bükk, si sarebbe a quel punto trasformato nella sua residenza e luogo di ritorno prediletto, al termine delle numerose campagne belliche intraprese nel corso del suo dominio…

Molte delle fortificazioni di Diósgyőr furono aggiunte attraverso il lungo incedere dei secoli, tra cui il barbacane sul lato est, che doveva tenere sotto il fuoco costante eventuali assedianti nemici. Anni d’incuria ed abbandono, purtroppo, avrebbero portato alla rovina progressiva di queste mura.

Oggi ancora situato sulla sommità della sua collinetta di forma circolare, benché l’originale fossato sia ormai stato da tempo prosciugato, il castello di Diósgyőr costituisce la principale attrazione turistica della città di Miskolc, con una popolazione complessiva di 294.000 abitanti. L’edificio, con una superficie complessiva di circa 6.000 metri quadrati, è stato trasformato negli anni ’60 dello scorso secolo in un museo medievale e centro utile a manifestazioni culturali e rappresentazioni teatrali, con alcuni diorami con statue di cera miranti a ricostruire diversi episodi e momenti significativi della sua storia. Vedi la celebrata occasione in cui il doge di Venezia in persona dovette recarsi nel 1381 per firmare un trattato dopo aver perso la guerra di Chioggia contro Genova e i suoi alleati ungheresi, cedendo le proprie città in Dalmazia e promettendo a Luigi I che ogni domenica e giorno festivo la sua bandiera sarebbe stata fatta sventolare in piazza San Marco. Lo stesso sovrano, di suo conto, aveva mosso più volte la guerra in territorio italiano ed in modo particolare contro il regno di Napoli, successivamente alla morte in circostanze sospette del fratello Andrea nel 1345, poco tempo dopo che era andato in sposa alla regina Giovanna I d’Angiò. Sconfitto infine per l’attrito di guerra e la stanchezza delle sue truppe in territorio straniero attorno all’anno 1350, Luigi avrebbe almeno ottenuto che la vedova venisse processata da papa Innocenzo VI ad Avignone, se non che egli l’avrebbe assolta, in cambio della cessione definitiva del controllo di quella città alla chiesa. Successivamente alla dipartita di suo nonno il re Casimiro III di Polonia, che non aveva avuto eredi maschi diretti, ricevette finalmente la corona di Polonia, decidendo tuttavia di lasciare l’amministrazione di quel paese alla madre Elisabetta, fino al giorno della sua morte nel 1380. Un’esperienza il cui successo avrebbe influenzato significativamente le sue politiche in materia di successione e con esse, il destino dello stesso Diósgyőr, destinato a diventare famoso come “Il castello delle Regine”.
Essendo fermamente convinto ed avendo agito secondo il concetto atipico per la sua epoca che le donne potessero governare, Luigi I divise il regno nel suo testamento effettivo a partire dal 1382, quando le due figlie superstiti Maria ed Edvige ereditarono, rispettivamente, la corona di Ungheria e Polonia. Finì in tal modo la lunga e proficua unione personale tra le due nazioni ma non i frequenti incontri politici e diplomatici, destinati a tenersi presso le alte e fortificate mura dell’ancestrale cerchio dei Diós. Nei lunghi secoli a seguire, il castello passò di mani in diverse occasioni, diventando progressivamente la residenza di sei diverse regine, che lo ricevevano in dono come parte della loro dote. Per questa ragione, il suo soprannome sarebbe diventato quello di “abito da sposa” delle interconnesse dinastie passate per quelle splendenti sale. Almeno fino alla venuta dell’Impero Ottomano quando, successivamente alla tragica sconfitta nella battaglia di Mohács (1526) alcuni membri della nobiltà locale si asserragliarono nella fortezza di re Luigi I, che era stata recentemente restaurata e potenziata dalla famiglia dei Balassa con il beneplacito di re Ferdinando, per tentare di resistere all’invasione. Se non che il piccolo castello, concepito originariamente come residenza regale, si dimostrò privo delle risorse necessarie a sopravvivere a un assedio scientifico di tipo rinascimentale e cadde assai presto.

I progetti futuri per la “seconda” e “terza” ricostruzione del castello, originariamente fissato per l’anno 2021, includono significativi cambiamenti e ripristini di vaste sezioni scomparse da tempo. Inevitabilmente, un simile approccio sembrerebbe aver sollevato le critiche dei puristi.

Seguono lunghi anni di abbandono, con il crollo di una buona parte delle mura e la parziale disgregazione delle svettanti torri quadrate, almeno fino al 1962 quando, sotto la supervisione del rinomato archeologo Ilona Czeglédy, il castello fu sottoposto ad un lungo ed articolato intervento di restauro. Di particolare interesse anche le strutture antistanti del mercato in stile medievale e la piazza dei tornei, usata regolarmente a partire dal 2014 per un’ampia serie di eventi di ricostruzione e sportivi, tra cui gare equestri di varia natura. La fonte sotterranea che un tempo riforniva il fossato, recentemente riscoperta, sarebbe stata nel frattempo utilizzata per una piscina pubblica, creata forse per rivaleggiare con il famoso Barlangfürdő (“Bagno Caverna”) della città di Miskolc, con la sua caratteristica tettoia a forma di conchiglia ombrosa.
Ormai circondato da grossi edifici di cemento e antenne per le radiocomunicazioni, il castello Diósgyőr riesce nonostante tutto a mantenere il suo antico fascino, con un’ostinazione paragonabile a quella di coloro che lo resero grande. Poiché nulla, neanche l’irrefrenabile succedersi dei secoli, può cancellare il segno di un antico destino. E ciò che fu un tempo splendido, tenderà insistentemente a sorgere di nuovo.

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