Col fermarsi momentaneo del vento, l’aria tacque in mezzo agli alberi della foresta di Boemia. L’uomo con la bandana, cogliendo l’auspicabile momento, impugnò quindi un’intera manciata delle armi necessarie per la sua sessione di addestramento. Piccole, simmetriche, appuntite shuriken. Quindi il cinque volte campione di lancio istintivo dei coltelli e 4 volte iscritto nel libro dei record Adam Celadin, tenendo lo sguardo fisso verso l’obiettivo, iniziò a correre tra i tronchi, poggiando in rapida sequenza le sue scarpe da ginnastica sulla corteccia dell’uno e l’altro fusto, per darsi lo slancio necessario a sollevarsi fino ai rami più bassi della selva in paziente attesa. Ed ogni volta, un lampo di luce, seguìto da un sibilo dell’aria separata per il transito di un affilato oggetto. Destinato a conficcarsi, con un tonfo spietato, nel bersaglio nudo del suo immaginario nemico. Faggio veterano, ricoperto dalle cicatrici dei lunghi anni di addestramento. E con più stelle di un intero albero di Natale. Al sesto lancio, l’atleta si fermò per qualche istante a meditare. E aperti nuovamente gli occhi, raccolse dalla sua riserva l’arma distruttiva usata per concludere il conflitto immaginario: la croce di metallo a quattro punte, dal peso complessivo paragonabile a quello di un’ascia da guerra. Caricando il colpo e misurando attentamente la distanza, iniziò il gesto utile a condurla verso l’obiettivo. E…
Molte disquisizioni variabilmente colte sono state spese in merito all’effettiva esistenza pregressa del ninja (忍者) o shinobi (忍び), il leggendario guerriero furtivo del Giappone feudale. Una tradizione legata almeno in apparenza all’esigenza percepita, da parte dei signori che si fecero la guerra per oltre dieci secoli, fino alla sofferta unificazione dell’arcipelago, di sfruttare metodi non propriamente convenzionali ed ortodossi, che tendevano spesso ad includere lo spionaggio, la diffusione di false informazioni e l’assassinio. Finché attorno al XVI secolo, o almeno così si dice, la pratica di tali arti non venne formalizzata in una serie di precise scuole d’arti marziali, ciascuna tramandata da una precisa linea di sangue, affine al concetto propedeutico di un clan. Ciascuna particolarmente specializzata, benché nell’ideale comune contemporaneo, ancora oggi, persista uno stereotipo ideale del tipico appartenente a questa misteriosa categoria professionale che include alcuni elementi esteriori continuativi nel tempo: furtivo ed invisibile, vestito completamente di nero e con il volto coperto dal tipico cappuccio. Armato di tutto punto, con la spada, vari tipi d’implementi atipici con corda/catena e soprattutto, attrezzi da lancio dalla foggia estremamente riconoscibile, pensati per ferire o rallentare gli eventuali inseguitori nemici. Il termine shuriken (手裏剣 – letteralmente: lama della mano nascosta) viene in genere attribuito ad un’intera classe di coltelli dalla forma in realtà piuttosto varia, che oltre ad includere gli hira shuriken (平手裏剣) dalla forma piatta, ovvero le caratteristiche stellette ninja, vedeva spesso l’impiego di sottili pugnali dritti come un bastone, chiamati per l’appunto bō shuriken (棒手裏剣). Armi, quest’ultime, certamente in grado di arrecare un danno maggiore di quanto si potrebbe essere indotti a pensare, come ampiamente dimostrato dal moderno praticante Celadin, benché l’impiego su un bersaglio in movimento dovesse risultare necessariamente più difficoltoso rispetto a quello effettuato ai danni di un povero tronco indifeso. Tanto da giustificare l’ulteriore leggenda secondo cui i suddetti attrezzi venissero preventivamente bagnati in vari tipi di veleno, oppure immersi nella melma per garantirne la contaminazione da parte dei micidiali batteri del tetano, per garantire la futura dipartita del proprio avversario. Una visione tanto improbabile, quanto conveniente alla propagazione del mito…
Per comprendere a questo punto l’effettivo ruolo, e probabile diffusione dello shuriken in quanto tale, potrebbe esserci di particolare aiuto un altro video della nostra vecchia conoscenza Jinichi Kawakami, ultimo depositario del famoso clan Koga (久我), una delle famiglie discendenti dai Minamoto del primo seggio shogunale che, assieme agli Iga (伊賀) dell’odierna prefettura di Mie, furono i principali praticanti delle arti e tecniche ninja fino all’epoca turbolenta delle guerre civili, destinate a raggiungere la loro unica possibile conclusione con la battaglia finale sulla piana di Sekigahara (1600). Ma non prima che infinite missioni segrete, spesso culminanti con drammatici tentativi più o meno riusciti d’assassinio, venissero portate a termine dai suggestivi guerrieri delle ombre, accrescendo un senso di costante terrore latente che si diceva costituire una delle loro armi più temibili e funzionali. Lo stesso primo grande unificatore e spesso odiato condottiero Oda Nobunaga (1534-1582) fu più volte il bersaglio di cecchini ed avvelenatori, scampando per un pelo al destino che avrebbe finito per compiersi soltanto nel tempio infuocato di Honno-ji, per il tradimento del suo vassallo più fidato. Per non citare il suo agguerrito nemico Uesugi Kenshin (1530 – 1578) signore della provincia di Echigo, che secondo la leggenda sarebbe stato trafitto mortalmente da un ninja che si nascondeva all’interno del suo gabinetto, costituito all’epoca da una capiente buca nel terreno.
Ciò che l’esperto praticante discendente di tali ninja, uno dei pochi rimasti al mondo, ci tiene quindi a specificare nella sua breve esposizione è come l’impiego dello shuriken non fosse tanto pervasivo e fondamentale nella realizzazione dei propri obiettivi quanto anni di cinematografia di genere, romanzi e cartoni animati hanno tentato d’inculcare nella percezione pubblica di quel mondo. In primo luogo, per la difficoltà d’impiego con finalità ulteriori al semplice metsubushi (目潰し – chiusura degli occhi) ovvero tattiche di dissimulazione del nemico. Ma anche per la quantità necessariamente ridotta di simili implementi che il ninja potesse portare in battaglia, data l’esigenza di mantenere la segretezza e muoversi con agilità adeguata. Va inoltre considerato come la stella o pugnale da lancio, per sua implicita natura, richiedesse di essere realizzato con del costoso metallo, per un uso singolo e senza nessun tipo di possibilità di recupero successivamente al completamento della missione. Forse anche per questo, le tecniche dello shurikenjutsu (手裏剣術 – arte dello shuriken) non compaiono affatto sui pochi rotoli della tradizione shinobi giunti fino alla nostra epoca, occupando piuttosto alcuni capitoli delle diverse scuole di spada, frequentate normalmente dai samurai. Una classe sociale a cui nella maggior parte dei casi, occorre ricordarlo, appartenevano gli stessi riceventi dell’addestramento conforme all’idea del ninja. Particolarmente rilevante, a tal proposito, può ad esempio dirsi la tradizione della scuola contemporanea Negishi-ryū, che può far risalire la sua linea ininterrotta fino alla Tenshin Shōden Katori Shintō-ryū del XIV secolo, rivelata all’umanità per intercessionen divina del Kami guerriero del tempio di Futsunushi. Ed il cui più celebre praticante Saitō Satoshi (1922-2014) è stato per lungo tempo il principale teorico e praticante delle tecniche per il lancio dei coltelli giapponesi di ogni foggia, forma e dimensione.
Che uno sportivo moderno come Adam Celadin, nell’interesse del suo popolare canale di YouTube ed il fornito negozio di articoli bellici di cui è testimonial (o proprietario?) metta in pratica la versione spettacolarizzata di questa precisa e antica tecnica non deve essere in alcun modo considerata un tradimento dei suoi molti ed importanti anni di storia. Dopo tutto, come ogni altro sistema concepito per un obiettivo altamente specifico, ed ormai necessariamente decaduto, lo shurikenjutsu merita di essere preservato. Così come farebbero, secondo alcune interpretazioni, molte forze speciali dei paesi di tutto il mondo, le cui versioni tascabili e richiudibili dell’arma in questione costituiscono una parte significativa dell’arsenale dell’uccidi-alberi della Repubblica Ceca. Così come riesce a farlo, del resto, il “mulino a vento della morte” così eccezionalmente conforme allo sproporzionato Fūma Shuriken (風魔手裏剣) un’arma strettamente interconnessa alla figura storica realmente esistita di Fūma Kotarō (風魔 小太郎) il guerriero della notte direttamente responsabile, secondo le cronache, della morte del famoso capo delle spie Tokugawa, il ninja e samurai della provincia di Iga, Hattori Hanzō. Nonché un personaggio, largamente reinvetato, del lungo franchise multimediale Naruto, responsabile di buona parte della popolarità recentemente riconquistata dal mondo dei ninja nella cultura popolare dei nostri tempi.
Con il volto coperto, l’abito nero ed invisibile nel buio di una notte senza stelle. Capaci di “sdoppiarsi” (perché accompagnati, in realtà, da compagni non visti) ed attaccare da qualsivoglia angolazione e distanza, sebbene la realtà storica lasci sospettare che il lavoro di costoro consistesse semplicemente nel passare inosservati, facendo il possibile per raccogliere informazioni a vantaggio del proprio signore. Ed il celebre costume potesse essere, nei fatti, una mera affettazione folkloristica derivante dal mondo del teatro kabuki, dove gli assistenti di scena, così vestiti al fine di passare inosservati, intervenivano talvolta nella rappresentazione, per espletare il fato finale di un personaggio particolarmente malefico e indesiderato.
Successivamente alla pacificazione del paese per l’effetto della battaglia di Sekigahara, tuttavia, la tradizione guerriera dei ninja avrebbe trovato in epoca Edo una nuova applicazione: quella di messaggeri, agenti speciali quindi poliziotti, sotto il comando diretto del bakufu (幕府) il governo finalmente centralizzato dello Shōgun. Ruoli assolvendo i quali, gli shinobi avrebbero continuato a mutare perdendo definitivamente le antiche prerogative di assassinio. Verso un’interpretazione più moderna che, per quanto potremmo ragionevolmente sospettare, viene praticata tutt’ora.