“Te l’avevo detto una quantità infinita di volte: stringi e succhia ci avrebbe portato sfortuna. Perché non potevi per una volta, anche tu, impiegare il metodo giaci e trascina?” In tutta risposta Bolino si rivolse a Pleuro con sguardo di rimprovero, orientando le ciglia della sua membrana in senso longitudinale al suono tanto invitante, eppur così lontano della risacca-che-da-la-salvezza. “I tuoi tentacoli, eh? Sempre a parlare di quei tentacoli? Eh, se soltanto potessi capire che alcuni di noi sono nati con la forma bilobata, e per questo possiedono il segreto di una bocca dotata di auricoli funzionali a uno scopo. E soltanto quello! Un fiero ctenoforo non deve, per forza, far finta di essere una medusa!” Il sole allo zenith, mai stato così forte nell’intera vita delle due masse gelatinose finite a disseccarsi sulla spiaggia di Orange County, aveva fatto sparire del tutto l’ombra del molo di Portsmouth, che per qualche tempo aveva minacciato di prolungare la loro agonia. “Ah si, allora vai a fare a stringi e succhia tra gli angeli in Paradiso… Vedrai che accoglienza ti riserveranno, per aver fagocitato tanto a lungo l’acqua di mare. Orribile…Massa…Gelatinosa dalla forma irregolare!” Un granchio di Dungeness, Metacarcinus magister, passò zampettando dinnanzi alle due creature semi-trasparenti, trascinate fin lì dall’alta marea e poi lasciate lentamente a morire. Per un attimo sembrò ignorarle. Quindi, voltandosi, iniziò a spalancare le chele…
Presentazione propedeutica dell’alba di un giorno diverso, senz’altro, è stata quella che si è presentata per la visita occasionale delle ampie spiagge due giorni prima della vigilia, da parte di Calli Murray, proprietaria del negozio produttore di gioielli di recupero Salty Soul Sea Glass. La quale, essendo come al solito in cerca di pezzettini di vetro anticati nei lunghi anni dall’acqua salmastra del Pacifico, si è trovata d’un tratto innanzi a un paesaggio letteralmente trasformato. Dalla presenza di centinaia, se non letterali migliaia, di biglie trasparenti del diametro approssimativo di 2 centimetri e mezzo, che soltanto a una successiva analisi, e cauta prova tattile di consistenza, hanno rivelato di essere caratterizzate da una forma gelatinosa e morbida, come altrettante piccole caramelle gommose. Fortuna quindi che, pur assomigliando vagamente a meduse urticanti, non soltanto le creature universalmente note come “ribes di mare” (Pleurobrachia pileus) risultano prive di cellule velenifere o spiacevoli nematocisti, ma sono anche dotate di una consistenza sufficiente a preservare la loro forma dalle successive ondate delle coste continentali. Per presentarsi al mondo, in tale occasione surreale, con tutte le caratteristiche visuali necessarie a concludere un surreale 2020.
Benché intendiamoci, la parte migliore dello spettacolo fosse a tutti gli effetti già compiuta, a quel punto, dato l’arcobaleno di colori generato da simili creature di un phylum totalmente distinto, nelle occulte profondità marine dei mari di tutta la Terra. Quando la luce distante, penetrando attraverso la superficie, colpisce variabilmente le ciglia che sono l’unico strumento deambulatorio delle Pleurobrachia, creando l’illusione continuativa nel tempo di trovarsi di fronte a un tipico ornamento a led stagionale, o striscia decorativa per l’interno di una macchina informatica per videogiocatori…
Il ribes di mare, assieme all’inseparabile collega di habitat, la medusa oblunga a pettine (Bolinopsis infundibulum) è quindi il più studiato e probabilmente diffuso rappresentante corrente degli Ctenophora, un’intera classe di creature marine che si ritengono aver deviato nel corso dell’evoluzione dalle spugne attorno all’epoca del Cambriano (542,0 ± 1,0 Ma) grazie ai fossili ritrovati letteralmente “stampati” sulla superficie liscia dei lagerstätten, depositi sedimentari pedemontani presso i siti di antichi mari oramai prosciugati. Ciò detto, per una categoria di esseri dalla quantità di specie relativamente contenuta, questi caratteristici abitanti degli oceani dei nostri giorni non potrebbero dimostrare una quantità di conformazioni fisiche, strategie di caccia ed approcci alla riproduzione maggiormente diversi tra loro. Come esemplificato dalle due tipologie che tanto spesso convivono all’interno della stessa colonna marina, inseriti non a caso nei rispettivi generi dei Pleurobrachia e dei Bolinopsis. Così che il primo dalla forma sferoidale, unico vero protagonista dell’evento di spiaggiamento californiano, è solito attendere la spontanea cattura del plankton più grossolano inclusi cobepodi e gamberetti, destinato a rimanere invischiato nei suoi tentacoli lunghi fino a 15 volte l’intero diametro del proprio corpo. Mentre la controparte situata a poca distanza, dotata comparabilmente di una forma oblunga simile a quella di un piccolo cetriolo, sfrutta la particolare disposizione di una parte delle proprie ciglia natatorie, per generare la corrente di risucchio che condanna le più infinitesimali larve di pesce, rotiferi e altri micro-abitanti passivi delle oscure profondità marine. I due presentano, del resto, anche elementi fisici in comune, tra cui la presenza di un doppio strato esterno di cellule protettive rivestite di muco, rispetto a quello singolo e assai più sottile posseduto dal phylum cognato degli cnidari (meduse, coralli, anemoni di mare). Per non parlare del capiente stomaco al termine della “faringe” un condotto che lo collega all’organo fagocitatore della fluttuante creatura. Tutti gli ctenofori risultano essere, inoltre, privi di un cervello propriamente detto benché dotati di una sorta di rete neurale, potenzialmente capace di una sua limitata propensione cogitativa, distribuita lungo l’intero corpo dell’animale. Strumento necessario ad elaborare le informazioni di contatto rilevate dai tentacoli, se presenti, ed orientarsi mediante l’impiego delle ciglia natatorie che costituiscono il principale dispendio calorico nel corso di una comune giornata di caccia. Unico altro organo sensoriale, lo strumento concettualmente non dissimile da un accelerometro della statocisti, ampolla all’interno della quale galleggia un singolo grano di carbonato di calcio, grazie alla quale il gelatinoso essere galleggiante può comprendere la sua posizione in corrispondenza dell’orientamento gravitazionale terrestre. Sconosciuto risulta, nel frattempo, il metodo mediante il quale lo ctenoforo aumenta o diminuisce la profondità, un obiettivo probabilmente perseguito mediante regolazioni intenzionali della propria pressione osmotica interna.
Creature estremamente diffuse in tutti e sette i mari (più l’Antartide) i ribes di mare e i loro simili possono fare affidamento sulla capacità di proliferazione offerta da una serie di ottime strategie riproduttive. Tra cui la loro natura di ermafroditi, tale da poter fecondare ed emettere al tempo stesso le uova, operazioni effettuate mediante la liberazione del corrispondente materiale genetico attraverso i pori della propria membrana esterna, e una doppia “età riproduttiva”, per così dire, che gli permette di generare una prole ancor prima del raggiungimento della forma adulta, quando sembrano possedere ancora tutti la forma approssimativa di un piccolo Pleurobrachia, temporaneamente tondeggiante ed ovoidale.
Dal punto di vista della predazione, andiamo di nuovo incontro a un punto cieco, data la facilità con cui simili creature vengono dissolte quasi subito dagli acidi gastrici dei loro nemici, avendo fatto credere a lungo ai naturalisti che in effetti fossero lasciate in pace da tutti, semplicemente perché prive di alcun valore proteico o nutritivo. Almeno finché non si è scoperto come l’estrema densità per metro quadro, in determinati ambienti, sia sufficiente a farne un cibo prediletto da parte di pesci e tartarughe, per non parlare dell’indole cannibale del genus denominato Beroida, capace di fare a brandelli con le sue labbra appiccicose i membri del suo stesso insieme d’insolite creature. Altri pericoli, capaci d’impedire il compiersi naturale dell’arco di vita degli ctenofori, includono varie tipologie di parassiti tra cui larve di anemoni, vermi solitari e il Phronima, il mostruoso essere in grado di trasformarle in involucri vuoti e cavalcarli attraverso i mari, cui si ritiene che l’artista svizzero H.R. Giger possa essersi ispirato per la progettazione del vorace mostro cinematografico di Alien.
Mentre il granchio affilato, comprensibilmente vendicativo nei confronti dei suoi tanti figli allo stato larvale consumati senza esitazioni da esseri perfettamente identici Bolino e Pleuro, si apprestava a farli finalmente a brandelli, l’inaspettato influsso del Natale ebbe a compiersi sul finire della fatale mattina illuminata dalla possibile stella dell’avvenire.
Mani titaniche del colore approssimativo di una cernia, appartenenti ad un essere torreggiante che si stagliava contro i cielo, scansarono via l’iracondo crostaceo, per sollevare rispettivamente la piccola gelatina sferoidale e quella bilobata, deponendole infine dentro il tipico barattolo trasparente da laboratorio. “Te l’avevo detto, amico mio dalla forma oblunga, finché c’è vita c’è speranza.” Disse allora la prima, agitando le ciglia e i tentacoli con una ragionevole approssimazione oceanica dell’alfabeto morse. “Purché si riesca a trovare in se la forza di smettere, almeno per qualche attimo, di stringere e succhiare!”