La ricerca di un significato nelle cose mondane è il principio caratterizzante di una lunga serie di discipline umane, sia scientifiche che filosofiche, nonché religiose. Ed esistono bisogni che caratterizzano l’esistenza dei popoli in maniera comparabile, indipendentemente dalla regione geografica, l’etnia e la cultura di provenienza: primo tra questi, è la ricerca di un presagio. Ovvero l’interpretazione di un segno, il flusso e il corso naturale, il metodo in cui gli eventi stessi cercano di prepararci all’indomani se soltanto ci fermiamo per un attimo a osservarne le più nascoste e largamente interpretabili implicazioni. Come il triste quanto inevitabile destino di un pollo ed una capra, sacrificati per il bene collettivo sul granitico elemento paesaggistico, che caratterizza e definisce l’intera cultura religiosa della regione di Seme, contea kenyota di Kisumu, coste occidentali del lago Vittoria. Per un obiettivo perseguito da principio, nella maggior parte dei casi, con l’esperienza di una serie di visioni, toccate in sorte ai membri più influenti ed anziani dei clan, che all’unisono ricevono istruzioni dagli spiriti e gli antenati secondo cui le cose potranno soltanto peggiorare, a meno che qualcuno interceda per il bene immediato della collettività. Ciò che segue è un rapido consulto, al culmine del quale si decide, senza perdite di tempo, di recarsi al cospetto del sommo dio Nyasaye, anche detto il creatore ovvero “colui che prega” sorvegliando e per quanto possibile, tentando di guidare l’umanità.
Ci sono, questo è noto, molti modi per individuare la manifestazione terrena di un essere supremo e superno, sulla base degli elementi e materiali a disposizione; per alcuni, il trascendente risiede nella raffinatezza e nell’arte, negli splendidi edifici che gli antichi, tramite uno sforzo non indifferente, scelsero di costruire come anticamera del loro senso di rispetto religioso. Oppure nelle danze, nei racconti orali di genti nomadiche, per cui l’affezione alle cose terrene non può che essere necessariamente transitoria. Per la parte locale del gruppo di genti nilotiche chiamate a seconda dei casi Luo, Joluo o Jaonagi, esso trova invece residenza nella natura stessa, per come si manifesta nel costrutto ineccepibile e pesante di Kit-Mikayi. La “Roccia della Prima Moglie” (c’è una storia in quel nome…) Ovvero l’iconico affioramento di macigni sovrapposti alto all’incirca 40 metri, chiamato geologicamente un tor, che al ritirarsi del sostrato terreno è stato esposto lungamente agli elementi, acquisendo gradualmente i presupposti di sacralità sempiterna. Questo in quanto mai nessuna tempesta, tornado o inondazione riuscirono a causare il crollo della sua forma, per quanto apparentemente instabile, costituendo la più chiara manifestazione del volere primordiale di Nyasaye.
Una volta determinato il bisogno di consultare la pietra, quindi, si procede alla scelta degli animali destinati al sacrificio, che può talvolta includere una pluralità di polli e sostituire la capra con una pecora o mucca, a seconda delle disponibilità. Il primo degli uccelli verrà quindi scagliato a morte sulla base del macigno, per poi procedere ad accompagnare il quadrupede di turno fin sotto l’ombra della lapide senza tempo. Prima di procedere, per qualche tempo, ad osservarlo. Se l’animale, infatti, urinerà, ciò vorrà dire che nell’immediato futuro le cose miglioreranno sensibilmente; altrimenti, soltanto orribili disgrazie attenderanno lo sventurato popolo dei Luo.
In altri termini, si consiglia di riprovare, non appena concesso dalla progressione cronologica dei calendari…
L’importanza culturale e religiosa della pietra Kit-Mikayi non può essere, dunque, tanto facilmente sopravvalutata. Come reso chiaro a chi di dovere dal mito posto alla sua origine, che la vede anticamente adorata da un importante membro anziano del villaggio, che era solito recarsi in sua presenza per trascorrere giornate in lieta e profonda meditazione. Al punto che la sua consorte, volendo assisterlo in qualche maniera, prese a portargli da mangiare presso la caverna poco profonda entro cui si era stabilito, iniziando a rispondere, a coloro che gli chiedevano dove fosse andato a finire lui, che si trovava a far visita alla sua “prima moglie”. Un’espressione in alcun modo ironica o denigrante, quando si considera come il popolo dei Luo pratichi la poligamia e sia per questo normale che le abitazioni vengano costruite come dei veri e propri complessi, entro cui ciascuno ha un posto attribuito dalle usanze tradizionali della tribù. Così la roccia composita di Kit-Mikayi diventerebbe, secondo una metafora particolarmente pregna, una famiglia formata dal macigno-marito centrale (Ngeso) che sostiene la roccia-moglie più grande (Mikayi) con a seguire sulla destra quella della seconda (Nyachira) e la terza (Reru). Mentre di fronte al complesso totalmente naturale poggia, lievemente da una parte, la stele del loro figlio primogenito (Simba). Secondo il principio magico e mimetico dell’approssimazione tra gli eventi incontrollabili ed i rituali frutto di antiche tradizioni, nel rendere omaggio alla pietra i suoi devoti non soltanto rivolgono un pensiero al dio creatore Nyasaye, ma alla stessa struttura che caratterizza la loro esistenza sociale e con essa, i presupposti di un possibile miglioramento futuro.
Il complesso sistema di rituali, profezie e pellegrinaggi spesso interreligiosi che caratterizzano al pietra più imponente della regione di Seme vengono quindi, ancora oggi, praticati con una sufficiente autenticità e continuità attraverso i secoli da aver giustificato l’inserimento del tor nei patrimoni culturali catalogati dall’UNESCO, incrementando in modo significativo il suo interesse di natura turistica all’interno di questa specifica regione del Kenya. Nuovi sviluppi sociali, nel frattempo, hanno portato a una deriva particolarmente interessante del suo antico e insostituibile ruolo rituale. Sto parlando dell’affermazione, all’inizio degli anni ’60, della chiesa di matrice cattolica della Legio Maria, che interpretando a suo modo le tre segrete verità di Fatima è riuscita ad individuare un’ulteriore manifestazione terrena di Cristo entro i confini della propria nazione situata in Africa Orientale. Nella persona dell’eterno mediatore spirituale Baba Simeo Lodvikus Simeo Melkio Ondetto, una parte del cui spirito terreno risiederebbe assieme a quello della moglie, secondo alcuni, all’interno dell’oscura caverna che si trova all’origine del mito di Kit-Mikayi. Rendendo manifesta la propria fede con digiuno e preghiera, piuttosto che mediante i sacrifici animali della tradizione locale, i devoti del culto cattolico continuano quindi a venerare lo stesso luogo con un raro sincretismo, che ne dimostra la natura trascendente priva di connotazioni o limiti arbitrari per il grande peso della sua sacralità.
I caratteristici rituali della Legio Maria, ripetutamente screditati dai devoti di una religione cattolica maggiormente rigida e conforme, costituiscono in effetti un importante punto d’incontro tra la soddisfazione spirituale immediata e la ricerca di un possibile miglioramento della propria condizione in terra, prima ancora della promessa di un Paradiso o resurrezione finale.
In tal senso, rendere omaggio alla pietra di Kit-Mikayi ha lo stesso identico significato, per chi compie il sacrificio di sangue tradizionale e tutti coloro che si recano piuttosto fin qui a pregare in quieto raccoglimento, facendo affidamento sullo stesso potere tanto arbitrariamente attribuito a questo specifico agglomerato mega-cristallino di feldspati. Capace di essere il più grande, nonché pregno, di tutti i macigni nella sua regione d’appartenenza. E proprio per questo, la prima e al tempo stesso ultima speranza di un’umanità in disperata attesa. Perché come si usa dire, non importa davvero se ci credi o meno. Quello che conta davvero, sono le benefiche intenzioni di coloro che praticano il solenne rituale! A meno di essere un pollo, s’intende. O una capra.