Sulle remote coste brasiliane, il bianco deserto dei centomila laghi

Dune o per usare la metafora ufficiale, candide lenzuola: ondulati movimenti paesaggistici, che s’inseguono in maniera regolare, almeno fino al punto in cui è possibile esplorare con lo sguardo. E sotto di esse un pesce lupo (Hoplias malabaricus) totalmente immobile nel sottosuolo inumidito, nell’attesa che la situazione torni adatta ad esplorare il mondo acquatico di superficie. Tutto questo finché un giorno, gli accurati chemiorecettori facenti parte del suo corpo per gentile concessione della natura, non riescano a concedergli la prova che il momento è giunto di risorgere dal fango, fino alla gloriosa ed invidiabile luce del Sole. Poiché l’acqua è puntualmente precipitata, dove un tempo c’era solo quell’avvallamento secco e (relativamente) privo di vita. E con “Un tempo” intendo, sia per tutti chiaro, il periodo annuale che si estende tra gennaio e giugno: l’estate. Già perché la scena in questione si svolge presso la costa nord-occidentale brasiliana, dove non soltanto le stagioni sembrano essere invertite, ma anche le aspettative ragionevoli di “cosa” possa trovarsi “dove” e soprattutto, “in quali condizioni”.
Una stranezza che compare straordinariamente evidente già dal momento in cui si fa girare il mappamondo digitale d’ordinanza, per focalizzare l’attenzione preso quello spazio di approssimativamente 155.000 ettari situato nello stato di Maranhão, tra gli estuari dei fiumi Parnaíba e São José. Corsi d’acqua che si sono occupati, sin dall’epoca del Tardo Quaternario (2,588-0,005 milioni di anni fa) di depositare una copiosa quantità di sabbie e sedimenti provenienti dall’entroterra presso le increspate acque dell’Oceano Pacifico. Le cui rabbiose correnti, piuttosto che accogliere quel materiale, si sono dimostrate pronte a disperderlo e restituirlo all’indirizzo del mittente, sparpagliandone l’essenza lungo un ampio tratto costiero, con l’aiuto del vento e delle maree. Immaginate ora un simile processo, che si compia per un tempo immemore lungo il placido ruotare delle Ere: ce n’è abbastanza per cambiare dal profondo le caratteristiche di un intero paesaggio. Creando una zona incuneatasi tra il tipo di vegetazione costiera che prende il nome di restinga e la vasta savana tropicale, ricca di biodiversità nota localmente con il nome di cerrado. Mostrando tuttavia caratteristiche che non appartengono a nessuno dei due biomi, possedendo piuttosto quelle adatte ad essere selezionato dall’industria cinematografica hollywoodiana per rappresentare il remoto pianeta Vormir nel film Avengers: Infinity War (2018) con tanto di pietra dell’anima per il guanto dell’inevitabile catastrofe finale. Contingenza fortunata sufficientemente significativa da riuscire a rendere evidente, per quanto concerne il parco nazionale denominato Lençóis Maranhenses, di trovarsi innanzi a un luogo totalmente unico al mondo, privo di effettivi termini di paragone al di fuori di questo specifico contesto paesaggistico e continentale. Proprio perché tra tutti i micro-mondi capaci di incorporare in se stessi le palesi caratteristiche di un vero e proprio deserto, soltanto questo riceve oltre 250 millimetri di pioggia annuali: abbastanza da risvegliare i dormienti pesci sotterranei, nelle tenebre dell’eterno silenzio…

In determinati periodi dell’anno, alcune delle lagune più famose dei Lençóis finiscono per assomigliare ai sovraffollati resort marittimi della zona di Ostia, sebbene vantino un vantaggio significativo: la vicinanza d’innumerevoli lagune temporanee, altrettanto valide a scacciare l’arsura insistente di queste latitudini tropicali.

Uno dei pastori delle capre che vengono accompagnate in questi luoghi, dai vicini villaggi di Queimada dos Britos e Baixa Grande viene riportato aver detto: “Tutto sembra essere sempre lo stesso. Ma se osservi la sabbia con attenzione, noterai che ciascuna duna si è spostata leggermente rispetto al giorno precedente.” Alludendo in modo programmatico all’implicita natura dell’esplorazione, che non sempre necessita uno spostamento all’altro capo del mondo, per comprenderei segreti più profondi della natura. Un punto di vista grazie al quale, nella regione protetta di Lençóis Maranhenses possono apparire chiare le salienti regole di un sofisticato ecosistema, tale da permettere l’esistenza coincidente di almeno quattro specie a rischio d’estinzione: l’ibis scarlatto (Eudocimus ruber) la lontra neotropicale (Lontra longicaudis) il tigrillo o cunaguaro (Leopardus tigrinus) e il tricheco dei Caraibi (Trichechus manatus). Vantando inoltre la presenza di ulteriori 112 specie di uccelli e 42 di rettili, per non parlare delle 133 di piante, concentrate probabilmente in corrispondenza dei suoi sabbiosi confini. Ma non sono certo questi gli aspetti in grado di attirare i circa 60.000 turisti che visitano le Lenzuola ogni anno, nonostante la collocazione estremamente remota e non proprio raggiungibile di quest’ultime, che prevede l’arrivo in aeroporto presso la città di Barreirinhas, situata a 185 Km da Parnaíba sul confine dello stato di Piauí. Per poi trovare un posto a bordo di una delle numerose corriere fuoristrada o altri veicoli 4×4 in grado di attraversare l’accidentato percorso fino agli ultimi confini di un continente. Giungendo a soddisfare la richiesta, alquanto comprensibile & condivisibile, di poter vedere con i propri occhi le grandi lagune permanenti di Azul e Bonita, oltre all’insieme labirintico delle molte altre temporanee, pronte a scomparire col periodi inaridirsi progressivo del clima secondo la progressione predeterminata dei mesi. Un tipo di turismo che l’UNESCO stesso ha ritenuto sostenibile, scegliendo nondimeno di catalogare questo luogo tra i patrimoni naturali dell’umanità, sebbene attraverso le ultime decadi la situazione in essere sembri essere incline ad un progressivo inasprirsi dei problemi inerenti. Vedi l’abitudine da parte di aspiranti autisti fuoristrada, severamente vietata ma non per questo bloccata al 100%, a inscenare veri e propri rally o piccole corse di tipo Baja oltre l’estendersi delle sabbiose dune, distruggendo i nidi degli uccelli e disturbando le lucertole e gli altri piccoli animali. Il che non implica, del resto, neanche una frazione del senso di condanna paventato dal progetto, già più volte riproposto in parlamento, per uno sviluppo turistico più significativo della regione, con tanto di costruzione di hotel e resort in corrispondenza delle antiche comunità locali, aggiungendo al probabile danno ecologico quello, pienamente acclarato, di tipo antropologico e sociale. L’ulteriore riconferma, se vogliamo, dell’involontaria maledizione contenuta nell’inserimento all’interno delle liste sacre all’Organizzazione delle Nazioni Unite, che in tanti casi prima di questo sembrerebbe aver focalizzato eccessivamente l’attenzione degli imprenditori locali nei confronti dei più preziosi beni paesaggistici locali. E noi sappiamo fin troppo bene quale sia il rapporto del Brasile con questi ultimi, sotto il segno pregresso dell’olio di palma ed altri innumerevoli “tesori” dell’odierna industria agroalimentare.

Come un labirinto creato dalla pioggia, il sistema delle dune Maranhenses diventa il luogo ideale per testare veicoli acquatici, come il qui presente surf elettrico e motore. Un’attività praticabile in modo legale, assai probabilmente, soltanto previa acquisizione di un permesso speciale.

La lezione che possiamo trarre dall’esistenza preistorica di un tale luogo giunto fino a noi senza significative alterazioni di sorta, è che non esiste un “carattere” specifico appartenente ad un particolare pianeta. Semplicemente perché ciascuno di essi, per quanto possiamo desumere dalla nostra Terra, può incorporarne di multipli e divergenti. Come ragioni d’esistenza ulteriori, sostanzialmente indifferenti ad ogni tipo di elucubrazione arbitrariamente architettata dalla mente umana. Perché è sempre il pesce lupo a dover trovare un metodo per adattarsi alle rapide acque del suo fiume d’appartenenza. Mentre non si verifica mai, per quanto possa riecheggiare il suo ululato nelle pregne notti di luna piena, l’esatto contrario!

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