La tempesta di proiettili, spade e punte di lancia infuriò approssimativamente per un periodo di quattro mesi, nonostante il clima relativamente temperato dell’isola, finché al diradarsi delle nubi, e il provvidenziale sbarco della flotta mista spagnola ed italiana da Occidente, i soldati ottomani furono respinti da quel territorio strategico che nonostante il diritto storico da loro percepito, a partire dal 1310 era stato occupato dai Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di ritorno dalla Città Santa di Gerusalemme, che qui avevano costruito le loro imprendibili fortezze. Al sicuro contro chiunque, tranne gli oltre 40.000 uomini che esattamente 255 anni dopo sarebbero stati condotti fin qui da Solimano il Magnifico in persona, fermamente intenzionato a ricacciare tutta la cristianità entro lo spazio che il mondo aveva iniziato a definire “Europa”. Si trattò, dunque, di un confronto sanguinario, e dispendioso in termini di vite umane, durante cui molti dei circa 500 cavalieri, assistiti da una milizia composta da appena 6.000 combattenti ausiliari, restarono a più riprese feriti mentre impugnavano le armi con la forza della disperazione, dalle alte mura merlate degli insediamenti di Birgu, Sant’Angelo e San Michele. Una condizione che avrebbe coinvolto anche, verso le ultime battute della lotta, niente meno che l’ormai settantenne Jean Parisot (1495-1568) gran maestro dell’Ordine che si dice nel momento dell’insperato trionfo, giacesse tra lenzuola insanguinate in attesa della sua inevitabile dipartita. Se non che una volta tornati in possesso dell’isola, i suoi fedeli sottoposti poterono accedere alla roccia benedetta che si trovava a largo della vicina isola di Gozo e con essa il suo tesoro vegetale, offrendo al loro amato condottiero un’ultima speranza di avere in salvo la vita.
Misterioso, maleodorante, assai probabilmente magico; il “fungo” di Malta sembrava essersi guadagnato, attraverso le decadi trascorse, una meritata fama di miracolosa panacea di tutti i mali, grazie alla sapiente distribuzione da parte dei controllori militari della sua unica fonte acclarata presso le maggiori corti d’Europa, dove costituiva un dono degno dei sovrani più rinomati. Largamente noto alle popolazioni arabe e nordafricane con il nome di tartuth, poiché piuttosto comune alle più basse latitudini mediterranee, esso aveva infatti l’unico punto d’origine a portata di mano dei cristiani proprio in quel particolare scoglio, nella baia di Dwejra, le cui pareti erano state rese scivolose artificialmente al fine di evitarne l’eventuale furto da parte di coloro che aspiravano a ricchezze del tutto spropositate. Tra le doti fantastiche attribuite a una tale escrescenza semi-sotterranea, con l’aspetto rossastro, vagamente fallico e bulboso, possiamo citare: fermare il sanguinamento ed il vomito, curare le malattie a trasmissione sessuale, rinforzare la virilità e gli organi interni, bloccare l’ipertensione o la mestruazione irregolare. Egualmente utile a uomini e donne, tale bizzarra esistenza veniva quindi estratta con cura, sminuzzata e trasformata in una spezia, dal valore pari o superiore a quello dell’oro. E se a questo punto doveste sorgere in voi l’assolutamente condivisibile obiezione, secondo cui uno spesso sostrato micologico sia particolarmente difficile da spiegare, in uno scoglio dall’aria salmastra e battuto per 12 mesi l’anno dal cocente Sole meridionale, sarà indubbiamente il caso di chiarire come tutti i cavalieri, gli ecclesiastici ed i rinomati filosofi naturali di quei tempi avessero nei fatti compiuto un madornale errore; poiché ciò che oggi trova il nome scientifico di Cynomorium, un composto in lingua greca che allude al pene dei cani cui viene metaforicamente posto in associazione, non è in effetti un fungo nonostante l’apparente somiglianza esteriore, bensì il fiore di una pianta parassita assai particolare, concepito per attrarre l’interesse delle mosche verso il diabolico, dispendioso perpetrarsi del suo inquietante approccio alla vita…
La prima fonte letteraria a discutere delle presunte doti benefiche dell’altrimenti detto “pollice del deserto” fu quindi attorno all’anno Mille il grande medico e filosofo dell’attuale Uzbekistan, Ibn Sīnā, noto ad Occidente con la traslitterazione italianizzata del suo nome, Avicenna. Avendo anch’egli classificato il Cynomorium come un fungo, proseguiva quindi a paragonarne l’efficacia come farmaco astringente dalla potenza paragonabile a quella dei semi del melograno, molto valido se usato successivamente a un parto complicato riuscendo spesso a salvare la vita della madre. Esso poteva inoltre, secondo il suo Canone della Medicina (o Qānūn) restituire la tonicità del fegato e gli altri organi interni, guarendo un ampio ventaglio di afflizioni largamente inspiegabili ai suoi tempi. Sarebbe quindi stato solamente il suo insigne successore Ibn al-Baytar (1197-1248) a lasciare ai posteri una descrizione in cui si notava, per la prima volta, la tendenza dell’escrescenza vegetativa a crescere sempre in prossimità di una pianta specifica e soltanto, lo stesso cece (Cicer arietinum) che oggi popola le nostre minestre di legumi. Ciò in quanto, come sarebbe apparso chiaro soltanto nei secoli a venire, l’evoluzione di questa pianta inserita nel vasto clade tassonomico delle angiosperme l’aveva abituata ad abbarbicarsi proprio alle radici della sfortunata controparte, eliminando totalmente la necessità di ricorrere alla clorofilla. Ragion per cui non v’è la benché minima traccia di verde sul suo gambo né l’infiorescenza rossa spesso ermafrodita dall’odore simile al cavolo, unica parte destinata ad emergere in superficie, perfettamente abile a produrre un frutto simile a una piccola noce. Assieme al polline necessario alla riproduzione, comunemente diffuso dall’opera instancabile di piccole mosche ed altri insetti volanti. Con una classificazione lungamente dubbia, causa le caratteristiche insolite e l’unicità di questo genere, il “fungo” maltese è stato quindi classificato soltanto in epoca moderna come un’insolita rappresentante dell’ordine delle Saxifragales, che include tra le altre cose numerosi fiori ornamentali, arbusti e piante grasse. Di tale essere sono state individuate, inoltre, due specie distinte, il C. coccineum largamente diffuso nel Mediterraneo meridionale con popolazioni separate in parte della Sardegna e la Spagna, dove risulta oggi a rischio d’estinzione, ed il C. songaricum particolarmente rappresentativo dell’Asia Centrale e la Mongolia, nonché associato ad una storia particolarmente rilevante per i cinesi.
Si narra a tal proposito che il grande generale del VII secolo d.C. Xue Rengui, uno dei conquistatori di territori al servizio del potente imperatore Tang, si fosse trovato circondato a un tratto dai suoi implacabili nemici presso la città sulla Via della Seta di Ming’an, fondata in epoca remota dall’Imperatore Wu degli Han (epoca 111 a.C.) in un notevole parallelismo con il caso dei cavalieri di Malta, quindi, il suo esercito dovette sopravvivere ad un lungo assedio asserragliato dentro la fortezza, potendo nutrirsi unicamente di una pianta medicinale che cresceva da quelle parti, nota alle popolazioni locali con il nome di suǒyáng (锁阳) per la sua capacitò di “bloccare” e “potenziare” l’energia maschile, identificata per l’appunto con il termine taoista di Yang. Ed a tal punto tale fonte insperata di calorie si rivelò capace di capovolgere la situazione, grazie ad un tardivo arrivo dei rinforzi, che da quel momento in poi lo stesso agglomerato cittadino in questione venne rinominato Suǒyáng Chéng, alludendo al misterioso ed insapore frutto normalmente usato nella medicina tradizionale ma pur sempre valido a fornire nutrimento, prima di arrendersi o passare a miglior vita.
Molti insegni ricercatori successivi all’invenzione del metodo scientifico, quindi, hanno analizzato a fondo le presunte capacità curative del Cynomorium, tentando d’individuare l’origine della sua chiara fama. Con un’ampia e reiterata sperimentazione sui roditori da laboratorio, atta a dimostrare un’effettivamente apprezzabile (tutt’ora discussa) capacità d’accrescere il vigore riproduttivo, oltre all’aumento della resistenza in situazioni di sforzo fisico continuativo nei topi, come il nuoto. Se ciò sia traducibile anche in termini umani, tuttavia, resta ancora da dimostrare, benché per lo meno sia ormai stata dimostrata al di là di ogni dubbio la totale non tossicità della pianta, allontanando ogni timore di potenziali effetti collaterali indesiderati: più di quanto sia possibile affermare, nella cruda realtà dei fatti, per molti presunti “rimedi alternativi” della medicina tutt’altro che convenzionale.
Ripreso finalmente il possesso della sua isola, e miracolosamente guarito dal famoso fungo che cresceva solamente in essa, l’anziano Gran Maestro Jean Parisot diventò d’un tratto l’eroico guerriero che aveva protetto dal male la Cristianità unita. Ricevendo i più importanti onori e riconoscimenti su scala internazionale, tra cui l’offerta del papa Pio IV, che si disse disposto a nominarlo cardinale in Vaticano. Posizione che fu pronto a rifiutare, in quanto riteneva giustamente che i guerrieri non fossero in alcun modo degni di predicare la parola di Dio. Una volta riguadagnate le sue forze, l’anziano soldato decise quindi di fondare una nuova città, inizialmente identificata con la locuzione latina humilissima civitas Valettae. E fu durante l’opera necessaria per portarne a termine i banchi palazzi marmorei che all’improvviso, colpito da un’insolazione alla veneranda età di 73 anni, morì. Una condizione da cui neppure il sacro fungo dello scoglio segreto, con tutto l’aiuto della grazia di Dio, si dimostrò in grado di offrirgli un’effettiva via di scampo.