Quando si considerano gli aspetti orografici del territorio, non si è soliti prendere in considerazione l’entità della minaccia custodita nel particolare rapporto tra gli elementi sotterranei e l’esistente falda acquifera, normalmente raggiungibile soltanto tramite un’approfondita trivellazione, subito seguente alla prima costituzione dell’insediamento umano. E così sarebbe andata, per un tempo ragionevolmente lungo, anche nel più nuovo dei continenti, inteso come terra coloniale dell’impero inglese, presto destinata a trasformarsi nella nazione australiana. La questione si sarebbe palesata, quindi, un po’ alla volta, per la progressiva rimozione di uno stato in essere delle pre-esistenti cose. Ed alberi, cespugli, siepi dalle radici naturalmente profonde. Tali da mantenere un più proficuo tipo d’equilibrio…
Di laghi come quelli che compongono il gruppo effimero che persiste, ormai da tempo, qualche chilometro a sud-est della città di Perth nello stato di WA (Western A.) ve ne sono parecchi disseminati nell’intera regione ed anche oltre, propensi a comparire a seguito di piogge intense e quindi rimanere in essere per tempi sufficientemente lunghi da guadagnarsi un nome. Ma non abbastanza, nella maggior parte dei casi, per comparire sulle guide turistiche internazionali. E così questo particolare cluster, fotografato assai probabilmente via drone e pubblicato periodicamente su diversi social network, finisce per diventare la simbolica costellazione di un’antica serie di cause ed effetti, che con il procedere dei giorni non potrà fare altro che raggiungere le sue più estreme conseguenze finali. Milyunup, Racecourse, Munrillup, Balicup (e molti altri privi di un appellativo) compaiono per questo in asse l’uno rispetto all’altro, come residui molto successivi dell’antico corso di un fiume ormai scomparso, e di una serie straordinariamente varia di tonalità distinte: rosso, arancione, azzurro, persino viola. Le quali tendono a scomparire e ricomparire in base alle condizioni ambientali, qualche volta scambiandosi di posto. Perché conche come queste, a meno di 100 Km dalla costa, sono soliti funzionare come punti di raccolta dell’aria salmastra proveniente dal Pacifico, entro cui nei secoli dei secoli riesce a concentrarsi una quantità di sodio sufficiente a generare una vero e proprio ecosistema. Di alghe alofitiche come la Dunaliella salina, la Dangeardinella saltitrix e molti altri organismi pirrofiti, inclini a pubblicizzare la propria presenza tingendo in modo variegato le accoglienti acque d’appartenenza. E se questo fosse il nesso dell’intera questione, nonché il suo solo effetto, non ci sarebbe poi granché di cui preoccuparsi. Ma l’equilibrio salino del suolo australiano è da sempre una problematica sotto stringente sorveglianza, in modo particolare da quando, verso l’inizio del Novecento, una grande quantità di terreni agricoli iniziarono a diventare progressivamente meno fertili. Prima di essere riconquistati, progressivamente, dall’estendersi dei vasti deserti dell’entroterra. Con una motivazione che potremmo ricercare, ed individuare, proprio nel processo sito alla base della loro stessa implementazione nelle decadi antecedenti. Poiché l’uomo, con intento prevalentemente agricolo, aveva provveduto al disboscamento previa definizione dei terreni destinati alla produzione del suo sostentamento. E sempre l’uomo, continuando a fare quel che gli riesce meglio, ha continuato a costruire tutto attorno vasti insediamenti e veri e propri agglomerati urbani. E per quale ragione in ultima analisi, tutto questo avrebbe mai dovuto essere del tutto privo di conseguenze?
Il problema delle falde acquifere dell’intero continente australiano escluso il piovoso Queensland, particolarmente nella zona estremamente arida dell’intera parte meridionale del paese è come in assenza del drenaggio e la capacità d’assorbimento forniti dalle pre-esistenti piante dotate di radici profonde, l’acqua delle falde ha iniziato progressivamente a riemergere, formando i variopinti laghi come quelli fin qui mostrati e… Qualcos’altro, di decisamente più gravoso per un sereno proseguir dei giorni.
Considerate, a tal proposito, la quantità di sale necessaria a riempire un gruppo lacustre come quello di Milyunup et al, quindi applicatelo a ogni singolo chilometro quadrato di terreno, più o meno ingombro di edifici costruiti con finalità di tipo abitativo o simile fin’oltre i confini di un grande spazio metropolitano, come quello della città di Perth. Quello che comporta la normale risalita notturna d’umidità e condensa, come avviene spesso persino in questo luogo affine al concetto di un quasi-deserto, si arricchirà quindi di una certa quantità di sale, destinato a depositarsi presso le fondamenta e le pareti stesse degli edifici. Con conseguenze drammaticamente semplici da immaginare; poiché le microparticelle composte dall’idrossido di sodio possiedono la dote molto rinomata di attaccarsi alle cose, almeno in apparenza solide, riuscendo gradualmente a penetrare all’interno. Per corroderle in maniera ineluttabile, nel giro di un tempo relativamente breve. Al punto che, con una quantità depositata variabile tra le 0,5 e 2 tonnellate per ettaro l’anno, in determinate zone della WA è comune dover effettuare significativi interventi di manutenzione ogni trascorrere di mezza generazione. Entro il 1999 quindi, secondo le stime effettuate in epoca recente, una quantità stimata di 2,5 milioni di ettari d’Australia si erano già intrisi di sale in maniera irreversibile, diventando essenzialmente inutili all’agricoltura. Mentre, già da qualche anno a quella parte, il governo aveva implementato una serie di progetti finalizzati allo studio ed il contenimento del fenomeno tra cui il National Dryland Salinity Program (NDSP – 1993) e l’immediatamente successivo National Action Plan for Salinity and Water Quality (NAPSWQ – 2000) collettivamente responsabili della costituzione di una serie di linee guida funzionali all’arresto dell’espansione, o per lo meno il rallentamento della terribile “zona d’esclusione” salina. Approcci quali la propagazione artificiale di piante con un alto grado di tolleranza e per questo capaci di restituire l’equilibrio di un tempo, (vedi Atriplex amnicola, il cespuglio del sale) opere di deviazione idrica per evitare l’accumulo delle acque provenienti dalla falda e inevitabilmente, il divieto tassativo di procedere con il disboscamento di terreni soltanto in apparenza validi per la coltivazione intensiva. A tali istituzioni si sono quindi affiancate iniziative locali ed autogestite come la no-profit Landcare e il collettivo Saltwatch dello stato di Vittoria, entrambi altrettanto validi al fine di registrare e in qualche modo contrastare l’accumulo eccessivo di sale. Molti dei gruppi lacustri straordinariamente variopinti fin qui citati, creazione collaterale di un simile processo continuativo nel tempo, si sono quindi trasformati in punti di riferimento ed attrazioni del territorio, contribuendo indirettamente allo stanziamento dei fondi necessari a renderli un fenomeno più circoscritto e prevedibile. Assieme a quel pesante, irrimediabile bagaglio delle implicazioni già note.
In tutto questo, la deriva climatica intrapresa da questa particolare epoca planetaria non sta certo aiutando. Così mentre la quantità di centimetri di pioggia cala col trascorrere degli anni causa l’estendersi delle zone meteorologicamente aride sopra la terra d’Australia, la quantità percentuale di sale depositato da molti millenni nelle falde acquifere continua progressivamente ad aumentare. Fino a un aumento stimato, per prendere ad esempio le acque del fiume Murrumbidgee nel Nuovo Galles del Sud, del 48% entro l’anno 2070, quando molte delle più celebri città d’Australia saranno diventate, come la Cartagine auspicata da Marco Porcio Catone a seguito delle remote guerre puniche, circondate di cristalli bianchi e perciò incapaci di coltivare alcun tipo di materia commestibile vegetale. Mentre coppie di camion con lunghe catene percorreranno come già succede le distese candide come l’osso, nel tentativo di radunare e in qualche modo contenere il disastro.
Sarebbe assai tardivo lamentare questa situazione, ad oggi, dato l’intento e la natura di coloro che ne hanno causato l’incombenza. Sempre noi, sempre affamati, sempre folli. Perché crederci, talvolta, non è sufficiente ad ottenere dei risvolti positivi da un barattolo di sale da cucina. Altrimenti il mondo non sarebbe un sistema così complesso. E nessuno avrebbe nulla da obiettare, se scegliessimo di definirci simili agli Dei.