L’incerto futuro delle lumache variopinte dell’isola di Cuba

Astuta semplificazione delle circostanze, il ricorrente assunto in base al quale la bellezza troverebbe posto unicamente “Dietro gli occhi dell’osservatore” quando tutti possono apprezzarne la presenza intorno al guscio deambulante del soggetto sottoposto, di volta in volta, ad un’analisi più approfondita. E soprattutto sfortunatamente, nella mano dell’umano che non può riuscire a trattenersi, ma ogni cosa deve avere, possedere, se possibile indossare attorno al collo, legare sul braccio e sul cappello che indica la propria professione. Cacciatore… Di frodo… Di lumache Polymita, tanto spesso dette “dipinte” perché sembrano a tutti gli effetti, beh, dipinte. Tutto questo nonostante la precisa protezione normativa, come esseri facenti parte del CITES (convenzione delle specie a rischio d’estinzione) che funziona molto bene in aeroporto, nelle città, sulla carta e sulla cellulosa dei filmati informativi. Mentre come tutti ben sappiamo anche eccessivamente bene, poco conta tutto questo innanzi alle insistenti norme della cupidigia. Specie in luoghi dove la disparità sociale riesce ad essere, notoriamente, un forte peso che impedisce di percorrere le scale interne della società civile. Così che può capitare, a un semplice turista di passaggio, d’imbattersi nei banchi o i venditori che offrono gioielli ed accessori, con totale nonchalanche, il cui elemento costitutivo di base non è altro che il guscio svuotato di queste creature, in dozzine se non centinaia d’esemplari. Una triste e risaputa verità dei nostri giorni.
Così che le sei diverse specie (P. brocheri, muscarum, picta, sulphurosa, venusta e versicolor) tutte quante a rischio d’estinzione, alcune critico, restano ad oggi concentrate unicamente nella parte occidentale dell’isola, la provincia nota come Oriente dove sopravvivono nutrendosi di uno speciale sostrato di muffa fungina e licheni che cresce unicamente sugli alberi di Chrysobalanus icaco, Coccoloba retusa, Metopium toxifera e Bursera simarouba. Creando l’anomalia atipica, ed accumulando il karma positivo, di una delle poche tipologie di mollusco di terra che non nuoce in alcun modo alle piante, ripulendole piuttosto da una vasta collezione di possibili parassiti. I quali nella loro forma variabilmente vegetativa vengono considerati, ad oggi, la fonte diretta degli straordinari pigmenti che s’inseguono nella spirale del loro guscio, particolarmente nella specie picta (dipinta) che prevede oltre 15 varianti possibili con fasce dai multipli colori che si susseguono nella creazione d’ineccepibili, variopinte armonie. Con vantaggi evolutivi ignoti, nonostante l’evidente opera di selezione naturale, giacché non si è mai sentito parlare di aposematismo nelle lumache né ci è possibile catalogare la presenza di alcun predatore endemico, capace d’inseguire simili molluschi sulla cima degli arbusti, dove un tempo erano soliti godersi un’esistenza priva di pericoli nel quotidiano. Almeno fino all’introduzione, per lo più accidentale, di specie ostili come il nibbio beccouncinato (Chondrohierax uncinatus) il cui strumento d’offesa riesce ad essere perfetto per estrarre lo strisciante fantasma nel guscio, conducendolo ad un fato ancor più gramo di quello dei criminali di una società distopica dell’imminente futuro. Per non parlare dell’ermellino (Mustela erminea) capace di arrampicarsi fin lassù ed usare le sue piccole mani assassine, al fine di contribuire all’annientamento sistematico di tali rare, preziose e piccole creature. Mentre noialtri continuando ad agire come l’ago di una bilancia sottoposta a sollecitazioni imprevedibili, continuiamo a costituire il cardine, e la dannazione, dell’intero schema delle circostanze isolane…

La triste verità è che ancora oggi, risulta molto più facile controllare e bloccare l’esportazione di esemplari vivi che potrebbero, almeno in via teorica, contribuire alla propagazione futura delle specie. Mentre prospera indefesso il mercato assolutamente lesivo ed imperdonabile, dei gusci privati in anticipo del loro occupante.

Esseri come dicevamo per lo più arboricoli, le lumache del genere Polymita possono se non altro fare affidamento su un ciclo ben collaudato, che le vede entrare con estrema regolarità nella stagione degli accoppiamenti a partire dal mese di maggio. Evento a seguito del quale possono fare affidamento, come molti altri occupanti della stessa pagina del grande libro dei molluschi, sulla propria inerente natura ermafrodita, permettendo a ciascun singolo esemplare di accoppiarsi con qualsiasi altro membro della stessa specie. Il che non significa, del resto, che entrambi si equivalgano nella divisione successiva dei compiti, vista l’essenziale fase preliminare che prevede il tentativo reciproco di pungersi con lo speciale dardo calcareo, contenuto all’interno del loro corpo, oggi ritenuto capace d’inoculare nel perdente della tenzone un’efficace dose feromonica, finalizzata a favorire la sopravvivenza del proprio patrimonio genetico fino alla fecondazione interna delle uova. Così che la/il partner dopo i mesi più secchi e caldi dell’estate, risvegliatosi alla prima caduta delle piogge secondo il proprio istinto primordiale, possa correre il rischio di percorrere il tronco verticale fino a terra, dove si occuperà di deporre le fondamentali capsule semi-trasparenti in corrispondenza del sostrato di foglie più o meno secche offertagli dal propedeutico stato naturale delle cose. Centinaia o in casi estremi, addirittura migliaia d’imminenti pargoli, che tuttavia verranno in buona parte mietuti ancor prima di venire al mondo dagli insetti, dalle piogge e dal vento, permettendo solamente ad una minima percentuale di sperimentare l’intero ciclo esistenziale della lumaca, che si estende normalmente per il periodo relativamente breve di soli 15 mesi.
Viene un punto, tuttavia, in cui persino un simile sistema ben collaudato non riesce più a contrastare la marcia inesorabile dell’entropia, particolarmente per creature dalla natura necessariamente sedentaria come simili lumache, il cui stile di vita prevede a volte l’immobilità per un periodo di settimane o mesi, in attesa che le giuste condizioni climatiche inducano di nuovo l’istinto a vivere un’esistenza in qualsivoglia modo produttiva.
Indicativo dello stato delle cose, risulta in modo particolare essere l’apprezzamento sulla base di precise indagini in merito a quali due, esattamente, costituiscano le specie maggiormente a rischio d’estinzione in questo genere variegato, ovvero la P. sulphurosa e P. versicolor. La prima delle quali a causa della diffusione in un’area di piantagioni e pascoli, ovvero al di fuori delle riserve protette secondo precise norme nazionali. E le seconde a causa della natura particolarmente decorativa del guscio, ricoperto da gloriose strisce spiraleggianti, particolarmente prezioso per il mercato illegale della decorazione personale e dei souvenir. Il che risulta incredibile quando si considera come il divieto alla cattura e l’esportazione delle Polymita sia in effetti vigente presso l’isola di Cuba dai remoti anni ’70, anche grazie all’opera continua di svariate organizzazioni naturalistiche. La cui torcia è stata ad oggi formalmente raccolta, grazie ad un riuscito articolo comparso l’estate scorsa sulla rivista americana National Geographic, dalla figura della naturalista e biologa Norvis Hernandez, probabilmente tra i maggiori esperti al mondo di questi animali ancora insufficientemente oggetto di studi che possano dirsi realmente approfonditi. Conduttrice, tra le altre cose, del programma della Ruffor Foundation per la tutela e la divulgazione preventiva in merito a un così speciale patrimonio isolano, la cui straordinaria biodiversità sembrerebbe aver portato questi splendidi animali fino a margine della coscienza collettiva, fino alla creazione di situazioni paradossali. La scienziata raccontava ad esempio lo scorso luglio dell’esperienza vissuta all’epoca della sua gioventù, durante una gita scolastica presso una piantagione, nel corso della quale i bambini e le bambine uccidevano indifferentemente le splendide lumache al fine di raccoglierne il guscio con il beneplacito degli insegnanti, perché semplicemente nessuno si preoccupava di conoscere l’aspetto delle creature protette da un effettiva legge dalla portata e precise implicazioni internazionali.

“Possibile” chiede il commento all’unico video offerto su YouTube di un esemplare in movimento: “Che il guscio della lumaca sia stato dipinto?” Ed è triste pensare che probabilmente, per questa lumaca e le sue sfortunate consorelle, sarebbe stato (molto) meglio così.

Così l’evoluzione è quel processo che prosegue lungo strade molto spesso imprevedibili, particolarmente quando si valuta le implicazioni di un particolare tratto di fronte all’effetto dirompente della cultura e società umana. Chi avrebbe mai potuto immaginare, d’altra parte, anche ammesso e non concesso che in tutto questo possa esserci lo zampino di un demiurgo superno, una moda del mondo moderno & contemporaneo tanto macabra a pensarci.
Consistente nel vestire il proprio aspetto mediante l’impiego dei poveri resti di una variopinta lumaca! Oh, l’irresistibile effetto ipnotico della spirale… Come resistere al richiamo esoterico di quella strisciante presenza… Se non rispettando al tempo stesso e di pari passo, tutto ciò che ci circonda precorrendo il ritmo irregolare della nostra volontà. E sappiamo fin troppo bene, quanto difficile possa riuscire ad essere un tale proposito dell’Ego.

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